Matilde e Peppina Amat di San Filippo

Matilde (nata a Cagliari il 19.12.1879, morta il 23.9.1987) e Peppina (nata a Cagliari il 22.12.1888, morta il 10.8.1989) Amat, di Vincenzo Amat, Marchese di San Filippo, e Catterina Sanjust di Teulada.

Due persone eccezionali senza aver fatto nulla d'eccezionale. Hanno attraversato e vissuto un secolo di grandi stravolgimenti epocali, la fine di un epoca, la "loro" epoca, con partecipazione silenziosa e attenta, ferme nei loro valori, commentando tra loro con un semplice "As bistu?" (Hai visto?) e con un forte senso dell'umorismo e dell'autoironia. La fede e la famiglia- i loro cardini- la sorridente attenzione per tutti, il garbo, "il tratto" nell'avvicinarsi agli altri, il rispetto e l'ammirazione per la cultura e per chi sentivano superiore a loro, la capacità di amare e di ascoltare erano il loro stile di vita. Nate e cresciute negli agi, tra cose belle e innumerevoli familiari, hanno affrontato le privazioni e la solitudine senza perdere la loro serenità e il loro sorriso, senza fastidiosi rimpianti. Hanno lavorato per le chiese povere e insegnato il catechismo, "sa dottrina", a generazioni di cagliaritani, informandosi sempre dei loro "allievi".
Chi le ha conosciute non le ha dimenticate…e neanche noi possiamo farlo!

Le lettere che qui riportiamo sono state scritte nel drammatico periodo dello sfollamento che ha coinvolto tutta la cittadinanza e riflettono l'angoscia, l'incertezza e i sentimenti di chi ha vissuti quei tragici momenti.

Matilde (1943)

"Abbiamo una nostalgia feroce di voi e dei bambini, vedo che sono tanto carini e buoni. Noi siamo impressionate per l'inverno, le camere che abitiamo sono belle e soleggiate ma il passaggio per la cucina etc. sono all'aria aperta e quindi soffriremo molto il freddo (…) Pensa che sto imparando a filare, ho acquistato un chilo di lana per farmi il maglione, chissà cosa ne uscirà fuori! Ho bisogno di qualche cosa che mi tenga caldo (…) Pensiamo sempre a voi con immensa nostalgia, la vostra lontananza ci addolora troppo."

Peppina (1943)

"Noi siamo qui senza notizie di tutti e di tutto, confinate proprio in mezzo ai monti- senza giornali- è una vera penitenza la vita che si fa. Ma tutto offriamo al Signore per la Vittoria e per la pace."

Peppina (14.9.43)

"Non sono in grado di fare commenti agli avvenimenti di questi giorni, prima di tutto per incapacità, perché non ci capisco nulla, in secondo luogo per "pispantenzia" (nel lessico familiare significava "stordimento, perplessità"). Abbiamo tanto desiderio di sentire cosa ne dite voi, il vostro parere, il vostro modo di vedere le cose. Mi ha fatto tanto effetto ieri sera sentire alla radio tante voci straniere e non sentire parlare la nostra Italia (…) Certo che attraversiamo momenti inverosimili (…) che desiderio di trovarci con voi! Di scambiare le idee (…) Dateci notizie di tutto, sapete benissimo quanto tutto ci interessa. Non ne possiamo più dal desiderio di rivedervi. Zia Mimia dice "Il desiderio continuo di vedere voi mi fa venire malagana. Non ne posso proprio più!"
Qui vicino a noi c'è una bambina che assomiglia a Maria Giovanna, e noi la guardiamo con compiacenza (…) Quanto abbiamo sofferto tutti! Che momenti abbiamo passato e stiamo attraversando! Povera Italia nostra e povera Roma! Il non poter saper nulla di nulla ed il pensare che quello che sentiamo attraverso la radio è bugia, o può essere bugia, demoralizza troppo. Non c'è altro che rivolgersi al Signore. (…) Ieri ci ha scritto Padre Abbo. Ci dice che è stato a Cagliari per San Michele. Ha girato un po' la città ed è passato anche a casa nostra e l'ha trovata "intatta" (…) Lui dice: "Ho visto la nicchia con la celeste custode di casa Amat (…)"