Testamento di Don Agostino Grondona e Donna Giuseppa Lopez Grondona

Pubblicato il 4 giugno 1784
(traduzione in italiano)

I.M.I.

Testamento, ed ultima volontà che facciamo noi infrascritti Don Agostino Grondona Commendatore della Sacra Religione, dei Santi Maurizio, e Lazzaro, originario di Genova, e abitante in questo Regno di Sardegna, e domiciliato nella presente Città di Cagliari, e Donna Giuseppa Loppez della città di Valenza di Spagna, e parimenti abitante in questa detta Città di Cagliari Capitale del Regno di Sardegna, marito e moglie di mutuo, e volontario consenso in caso di nostra morte nella forma seguente.
Primo – Noi sopradetti Don Agostino Grondona, e Donna Giuseppa Lopez marito, e moglie, nonostante ci troviamo grazie a Dio sani, e con tutti i nostri sensi, considerando d’essere in età avanzata, e che come mortali, di non sapere né il giorno né l’ora della nostra morte come tutti gli altri nati, e perché possiamo in quest’ora star più tranquilli, e pensare alla salvezza delle nostre anime, che è il punto più importante, come anche per la tranquillità e la concordia dei nostri amati figli, facciamo il presente testamento, e dichiariamo la nostra ultima volontà come segue.
Raccomandiamo la nostra anima a Dio Nostro Signore da ora per allora, perché con la sua infinita misericordia perdoni i nostri peccati, e accolga le nostre anime nella sua Santa gloria, che è il primo fine per cui siamo nati.
Item – vogliamo che il nostro seppellimento, e cerimonia funebre sia nella Chiesa, all’ora, e nel modo che considereranno più conveniente i nostri curatori ed esecutori testamentari che rispettivamente nominiamo in questo nostro testamento.
Item – vogliamo che subito dopo il nostro rispettivo decesso si celebrino Cinquecento messe celebrate per ciascuno di noi quanto prima sia possibile in suffragio delle nostre anime; dando subito i nostri curatori la elemosina di due reali per ciascuna.
Item – vogliamo che detti nostri curatori per ciascuno di noi che morisse diano l’elemosina di dieci scudi all’ospedale degli infermi di questa Città.
Item – vogliamo che nello stesso modo si diano dieci scudi per ciascuno di noi dopo la nostra rispettiva morte al monte nummario ultimamente eretto in questa Città.
Nominiamo erede nostro universale di tutti i nostri beni, mobili, immobili e semoventi, e di tutti i nostri diritti, voci, ed azioni, il nostro amato figlio primogenito Don Gioacchino Grondona, così nella Commenda che io detto Agostino ho fondato nella porzione dei beni indicati per essa nella baronia di Pula secondo l’ordine, e fondazione della stessa, come di tutti i rimanenti nostri beni, immobili, mobili e semoventi, come abbiamo detto, e di tutti quelli che potessero spettarci, tanto nella Città di Genova come in quella di Valenza, o in qualsiasi altra parte, e per qualsiasi diritto, causa, o ragione, con l’onere però, e vincolo perpetuo di primogenitura regolare, tanto per lui, come per tutti i suoi discendenti maschi, e femmine, preferendo sempre il maschio alla femmina in grado uguale, uniformandosi in tutto e per tutto, e regolando la successione di tutti detti beni, e la primogenitura, alle regole, e disposizioni del diritto, in puri termini di primogenitura regolare, con ciò però che non possa detto erede Don Gioacchino entrare nel godimento di detti beni se non dopo che sia avvenuta la morte di entrambi noi testatori, ad eccezione della sopradetta Commenda, poiché in quella succederà immediatamente subito dopo la morte di me Don Agostino padre, e dei rimanenti come sopra si è rappresentato, dopo la morte di entrambi, per voler, come vogliamo che colui di noi che sopravviva, sia usufruttuario di tutti essi mentre viva in abiti vedovili, e non revocando questo reciproco testamento che di comune intelligenza abbiamo ordinato per evitare dispute tra fratelli, ed in considerazione della conservazione del lustro e decoro della Casa, e famiglia, come anche riflettendo che detto Don Gioacchino, nostro figlio primogenito è stato sempre un buon figlio, docile, obbediente, e dotato di tutte le qualità di un buon figlio, e inoltre che siamo sicuri che osserverà puntualmente quanto più sotto disponiamo in questo nostro testamento rispetto agli altri amati nostri figli Don Antonio, Don Tommaso, e Donna Vittoria Grondona, e avrà per essi e li tratterà sempre come suoi amati fratelli, aiutandoli come buoni ed amati fratelli, soccorrendoli, ed amandoli, in modo che la Casa vada sempre in aumento, lavorando per essa come lo ha mostrato fino al presente con sommo zelo, e amore, e benevolenza, secondo, e come li abbiamo trattati noi fino all’ora della nostra morte, per il che siamo sicuri che mantenga l’amore, come ha dimostrato fino al presente.
Item – istituiamo, e nominiamo nostri eredi particolari i nostri amati figli Don Antonio, Don Tommaso, e Donna Vittoria Grondona, della partita di sei mila scudi per ciascuno, per qualsiasi diritto di legittima che spetti loro, e così per parte paterna, come materna; con dichiarazione però che in caso di matrimonio, a detta Donna Vittoria, suo fratello primogenito, e nostro erede universale, debba consegnare, appena solennizzato il matrimonio, la partita di quattromila scudi in contanti ed in moneta corrente in questo regno di Sardegna, e degli altri duemila scudi, abbia da corrisponderle la pensione annua di cento scudi ogni anno, in ragione del 5%, sino a che detto nostro erede universale possa esser obbligato a consegnare il capitale dei detti due mila scudi prima dei sei anni successivi al matrimonio, termine per il quale assegnamo per la consegna, e il pagamento dei detti restanti duemila scudi, e sempre, e quando la sopradetta Donna Vittoria non volesse contentarsi della sopradetta pensione di cento scudi all’anno corrispondenti a detti duemila scudi di capitale all’anzidetta ragione del 5%, e così parimenti vogliamo, ed è nostra volontà che tanto detta Donna Vittoria come i sopradetti Don Antonio, e Don Tommaso nostri eredi particolari, volessero convivere col detto loro fratello maggiore Don Gioacchino, non passando però essi allo stato coniugale, sia obbligato detto Don Gioacchino, a mantenerli di Vitto, alloggio, vestiario, e servitù, nel primo modo, maniera, e decenza come noi presentemente stiamo mantenendoli, potendo questi avvalersi, per uso proprio proporzionatamente, di tutti i mobili e altro che si trova nella Casa, come buoni fratelli, e non volendo, o non contentandosi detti nostri figli, ed eredi particolari, di quanto è stato espresso sopra, sia detto erede universale obbligato a corrispondere a ciascuno la pensione annua di trecento scudi sardi corrispondenti al sopradetto capitale di seimila scudi alla ragione del 5%, e nel caso che alcuno di essi volesse ritirare il Capitale, non possiamo obbligare il detto nostro erede universale, e primogenito, al pagamento di una somma superiore a mille scudi ogni anno di detto Capitale, senza pregiudizio della pensione che corrisponderà al Capitale che resterà dovendo, e sempre e quando che detti nostri figli, ed eredi particolari non si contentassero di questa nostra disposizione, in questo caso vogliamo che al tale figlio o figli gli si dia solamente ed egli debba contentarsi della pura legittima nel modo che prescrive il diritto, e non altrimenti, comandando che questa nostra disposizione si tenga per approvata da parte dei nostri figli, sempre e quando, entro due mesi da quando abbiano avuto notizia di essa non la impugnino espressamente per via giuridica: nel caso però che un sopravvissuto di noi che volesse revocare o revocasse (che non crediamo) questo testamento, abbia da restituire tutto quello che avesse percepito in ragione del sopraddetto usufrutto che noi abbiamo istituito “ad invitem” come e vogliamo espressamente che questa revocazione non possa produrre alcun effetto in pregiudizio di colui che fosse premorto, rispetto al quale si osserverò ciò che viene disposto in questo testamento, minorando però le istituzioni, ed i legati alla portata di quanto lo comportassero i beni di quello che revocasse questa disposizione, dichiarando, ad ogni buon fine, e cautela, io testatora Donna Giuseppa Lopez, che quando mi sposai col mio attuale marito Don Agostino Grondona, questi non aveva meno, tra denaro ed effetti, per ciò che io stessa ho visto, e mi consta di una partita da cinquanta a sessanta mila scudi, come lo affermo per evitare qualsiasi disputa che possa col tempo nascere, per conoscerlo così per Dio e la mia coscienza.
Item – nominiamo ed elegiamo come nostri rispettivi Curatori, ed esecutori testamentari, quello di noi due che sopravvivesse, restando in abiti vedovili, e in questo modo, come si è detto, resti usufruttuario sua vita durante, e non revochi questo testamento signore e padrone, come meglio gli sembri, tranne che sia obbligato a rendere conto, o conti, né possa alcuno dei nostri figli, ed eredi, chiederli, se non faccia ciò che sembri meglio fare per essere più utile a detti nostri figli, e famiglia, dichiarando io Donna Giuseppa che se mio marito sopravvivesse, sia esecutore testamentario, usufruttuario, padrone, e signore, come è senza dipendenza alcuna dai nostri figli per qualsiasi diritto che potesse spettarmi su detti beni; e io detto Don Agostino nel caso di sopravvivenza alla detta mia amata moglie, restando in abiti vedovili, voglio che sia, e la nomino curatrice, ed esecutrice testamentaria dei detti miei figli e beni, come si è sopra riferito, congiuntamente al mio sopradetto figlio primogenito Don Gioacchino Grondona, tanto unitamente che ciascuno per sé, senza essere obbligati a rendere conti né alcuno dei detti nostri figli possa chiederli; riflettendo come sopra abbiamo detto, che detto Don Gioacchino penserà sempre, per l’onore, il lustro, ed il decoro della Casa e della famiglia, come alla decenza, ed il decoro dei fratelli a cui siamo sicuri che guarderà, e difenderà in tutti i casi e circostanze, come lo faranno tutti “ad invicem” l’uno all’altro per conoscerli inclinati ad ogni bene, docili, e di sane intenzioni, come sono stati educati; e vivranno uniti come abbiamo detto, godendo ed utilizzando, tutti e quattro quando si trovino in casa, e in stato libero, tutti i mobili e l’argenteria, come tutto l’altro, secondo e come lo avevano mentre noi eravamo in vita, mentre non sia superfluamente, però beninteso che detto loro fratello Don Gioacchino lo somministri sempre, e quando sia necessario, come anche che detto figlio primogenito Don Gioacchino compia quanto sopra abbiamo disposto a favore dei tre specificati suoi fratelli, e che nessuno di essi possa chiedergli conto alcuno del denaro, né dell’argenteria, né di qualsiasi altra cosa di quanto nostra vita durante, né dopo, si trovi nella casa, come lo stesso di quanto possediamo a Pula, e di quanto ci potesse spettare per diritto in qualsiasi parte del mondo, poi vogliamo che tutti e tre si contentino, come abbiamo disposto sopra, per esser questa la nostra volontà.
Questo è il nostro testamento, ed ultima volontà, il quale vogliamo che valga per testamento, Codicillo, donazione “causa mortis”, o qualsiasi altra specie che abbia forza di ultima volontà.
Questo testamento è stato fatto in questa Città di Cagliari, e Casa del Marchesato di Quirra, sita in questo Real Castello, e via dei Genovesi nella quale attualmente viviamo, oggi che contiamo l’otto di Ottobre dell’anno dalla nascita di N.S. Gesù Cristo 1783.
Segno + di noi testatori che le sopradette cose scritte da altra mano su nostro ordine lodiamo, ratifichiamo, approviamo, e firmiamo di nostra mano.
Il Commendator Don Agostino Grondona
Donna Giuseppa Loppez

Giorno 4 giugno 1784 Cagliari

Essendo passato da questa a miglior vita l’Illustrissimo Signor Commendatore della Sacra Religione, ed ordine militare dei Santi Maurizio e Lazzaro Don Agostino Grondona di nazione Genovese, e in questa Città di Cagliari domiciliato, che il giorno 23 di Novembre dello scorso 1783 unitamente con la sua Nobile Consorte Donna Giuseppa Loppez mi consegnò un plico sigillato con tre sigilli di cera di Spagna rossa, e in essi impresse le armi della famiglia Grondona, dicendomi alla presenza dei sette testimoni che hanno firmato sulla copertina, e sull’atto di consegna di detto plico, che dentro stava il testamento e l’ultima volontà di entrambi detti coniugi, e che volevano che lo stesso non venisse aperto e si pubblicasse se non dopo la morte di uno dei detti coniugi, e del primo dei due che fosse passato a miglior vita: mi hanno incaricato, tanto la sopradetta nobile vedova donna Giuseppa Lopez, come i Nobili Signori don Gioacchino, Don Antonicco, Donna Vittorietta e Don Tommaso fratelli Grondona tutti figli legittimi e naturali dei sopradetti Coniugi testatori, perché aprissi e pubblicassi il riferito testamento, in virtù della quale istanza ho chiamato e richiesto ai riferiti testimoni, che si trovarono presenti, e firmarono l’atto di consegna, avendo potuto trovare, di quelli, solamente le persone del Dottor Don Cosimo Cao, il Dottor Francesco Fancello Bellendi (n.d.t. Berlendi), lo Scrivente Antonio Moy, e il segretario del Marchesato di Quirra Francesco Bruscu, e per quelli che mancano chiedono il Notaio Giovanni Licheri, lo scrivente Manuele Licheri, e il Notaio Giuseppe Mameli, i quali due primi sono assenti da questa Città, e l’ultimo a letto infermo, testimoni interrogati le persone dello Scrivente Sisinnio Marras, ed il Notaio Michele Corrias, che molto bene conoscono le rispettive firme di quelli per averli visti firmare molte altre volte, ed avere in molta pratica i loro scritti, e sottoscrizioni come lo asseriscono e attestano, e giurano nelle mani dell’infrascritto Notaio, unitamente a tutti gli altri testimoni che asseriscono, e affermano esser le stesse sottoscrizioni dei detti rispettivi testimoni e quelle che fecero alla loro presenza in detto giorno 23 Novembre nello stesso atto e contesto che si fece alla consegna di detto plico: e riuniti tutti nella Casa del detto Nobile Commendator Grondona, dopo aver visto, e riconosciuto il suo Cadavere che conoscevamo molto bene mentre era in vita, ho loro consegnato e rispettivamente messo in mano di ciascuno di essi il sopradetto plico, perché lo riconoscessero per essere lo stesso che i detti Nobili Coniugi mi consegnarono il detto giorno 23 Novembre 1783, e se era o no in alcuna parte variato, ovvero nello stesso stato in cui mi fu consegnato, e dopo d’averlo osservato uno per uno dei riferiti testimoni, e con molta attenzione riconosciuto tanto nei sigilli, come nelle sue firme, uniformemente rispondono esser lo stesso identico che detti Nobili Coniugi mi consegnarono nel citato giorno, esente da riparazione o aggiustatura alcuna sia nei sigilli come nelle firme, e per lo stesso affermavano che dal detto giorno nel quale mi fu consegnato, non fu mai mosso, manipolato, né in alcuna parte aggiustato, come così hanno giurato: in forza del che io passai immediatamente alla apertura, e pubblicazione del detto testamento, avendolo letto alla presenza di tutti i sopradetti Nobile vedova Donna Giuseppa Loppez, e Nobili fratelli Grondona dalla prima fino all’ultima riga, quale è lo stesso che precede il presente atto, e sentito da essi il suo contenuto, rispondono che lodano quanto è stato disposto dal loro Padre e detto Nobile Don Gioacchino accetta l’eredità con protesta dei suoi diritti come così lo affermano e firmano di propria mano ad eccezione della Nobile Donna Giuseppa Loppez che non può firmarlo per essere indisposta, e prega l’infrascritto Notaio che lo firmi per parte sua.
Presenti per testimoni a detta pubblicazione le persone del Dottor Don Cosimo Cao e Dotto Francesco Fancello Bellendi che firmano, e tutti gli altri testimoni della copertina: come anche firmano i Reverendi Pad Antonio Giuseppe Regonò ex gesuita abitante in questa (n.d.t. Città), e Michele Siloco (n.d.t. Cilloco) Parrucchiere di questa Città che firma anche lui perché si trovarono presenti alla riferita pubblicazione del “quef.”.