Dizionario Onomastico Familiare
Personaggi e famiglie vissute nel Castello di Cagliari dal 1572 – 1699

di Marcello Lostia

PREFAZIONE

LA NACIO’ SARDESCA

Gli anni tra la fine del XVI secolo e la fine del XVII secolo furono quelli nei quali sorse e si venne elaborando, tra i sardi, la concezione di una naciò sardesca come contratto sociale, scaturito non da un rapporto do ut des tra sudditi e sovrano ma da una concordia popularis attorno ad un ideale di vita non più di dipendenza, ma di parità.
Mentre il REGNUM SARDINIAE si era caratterizzato, soprattutto agli inizi, come una struttura giuridico militare entro la quale gli stretti legami che legavano i sudditi al sovrano si basavano sulla fedeltà e sul concetto di cavallo armato (1), la concezione naciò sardesca si formava in una compartecipazione elettiva, e non coatta, dei cittadini attorno ad una realtà ideale, entro la quale la figura del suddito era destinata a sparire, sostituita da quella di Patriotos, come dirà qualche secolo do$po il poeta Mannu.
Tutto ebbe inizio, forse nel 1572, quando don Giacomo de Castelvì y Aymerich, divenuto 4° conte di Laconi per la morte del padre don Artale e subito dopo, del fratello Luigi, e del nipote, anch’esso Luigi, manifestò da subito tutto il suo carattere fiero, ambizioso e decisionista Fu ben presto a tutti evidente che se si attendeva l’uomo in grado di dare una svolta alla politica aragonese in Sardegna, quell’uomo era proprio don Giacomo de  Castelvì. L’accordo su di lui e su i suoi progetti. anche se non immediato, fu unanime. Dopo un lento avvicinamento tra le famiglie dei notabili, al quale molto contribuì un’accorta politica matrimoniale, non solo le grandi famiglie nobiliari, ma anche quelle dei Commiss reali, quali i Fabra, i Masons, i Garçet, i Bonfant e i Bonfill, per citarne solo qualcuna, entrarono nello schieramento de Castelvì. rimanendovi fedeli.

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Il lavoro che segue, redatto non secondo i tradizionali canoni storici, cronologici o generazionali, frutto di lunghe ricerche d’archivio, di confronti e di deduzioni tratte dalla consultazione di numerosa bibliografia sull’argomento e riportata in Repertorio, ricostruisce la vita dei principali personaggi che furono vicini a Castelvì nella lunga opera di costruzione della naciò sardesca.
Di essi si espongono i principali tratti della vita e della famiglia cui appartenevano.

Tutte le famiglie, in numero di 220, sono riportate in ordine alfabetico e, ciascuna, con successioni generazionali di circa trent’anni.
La trama è costituita dai primi nove libri della parrocchia di Santa Cecilia, chiesa primaziale del Castello di Cagliari, ove sono registrati i battesimi,  le cresime, le nozze e le morti, una sintesi della vita di coloro che abitarono nel Castello durante il periodo indicato.
Le notizie tratte dai Quinque Libri di Castello sono state integrate con dati tratti dalla consultazione dell’Archivio di Stato di Cagliari, dell’Archivio Diocesano di Cagliari, dai Quinque Libri di Villanova e de la Marina, e da pubblicazioni, puntualmente segnalate in nota.
Le notizie biografiche comprese tra il 1572 e il 1699 sono state, nella quasi totalità, reperite e controllate sulle fonti originali. Per quelle dei periodi precedenti e posteriori ci siamo serviti delle notizie tratte da altre pubblicazioni
Il Dizionario si propone di fornire agli addetti ai lavori un prontuario di facile consultazione riguardante molti personaggi,  e le loro famiglie, vissute nel XVI e XVII secolo nel Castello di Cagliari, dei quali offre uno scorcio.

 

INDICE

Note:
CAVALLO  ARMATO. In età medioevale si distingueva il cavallo armato da quello alforato.  Il primo era una unità militare, strumento di battaglia, costituito da un cavallo di notevoli proporzioni, ricoperto da barde difensive in ferro e montato da un cavaliere, anch’esso bardato di ferro e  armato da armi da offesa e da difesa, Il cavallo alforato aveva dimensioni più modeste, era ricoperto da una gualdrappa di cuoio e aveva solo armi d’offesa. Il costo del cavallo armato era il doppio di quello del cavallo alforato. Quando il sovrano concedeva un feudo, richiedeva al signore  uno o più cavalli armati o alforati.
Quando Pietro IV d’Aragona, nel 1355, secundum morem feudorum Italiae, concesse a Huguet de Saint Just, in remunerazione dei molti suoi servizi, il Feudo di Villagreca, sito nell’isola di Sardegna, gli impose il servizio perpetuo di un cavallo armato e di uno alforato, più due cavalieri muniti di sufficiente armamento, da fornire su richiesta del Sovrano o del suo Luogotenente per tre mesi ogni anno, a proprie spese; la richiesta poteva essere ripetuta per altri tre mesi.
Poiché il documento andò perduto, Giovanni I concesse che venisse rinnovato nel 1357.
Col passare del tempo questa usanza venne meno, e già nel 1400 il re non chiedeva più il contributo militare, ma il pagamento di una somma di valore  pari ai due cavalli.
Durante il Parlamento de Elda, nel 1603, l’usanza fu ufficialmente abolita. Così avvenne che il cavallo armato cessò di essere un contributo militare per diventare un’unità di costo, moneta virtuale multiplo del danaro, come del resto lo erano il ducato ed il doblone.