Il feudo di Ussana

Nel 1326 con la conquista del Giudicato di Cagliari da parte degli Aragonesi, il territorio fu diviso in 15 Curatorie e si introdusse il sistema feudale.
Ussana apparteneva alla Curatoria di Dolia, che comprendeva un vasto territorio collinare a nord del campidano di Cagliari, densamente popolato e con un’economia agricola abbastanza sviluppata.
I villaggi presenti entro i confini della Curatoria erano: Bacu, Bangiargia, Baratuli Santu Sadorru, Corongiu, Dolia San Pantaleo, Donori, Mogor, Monastir, Nuracadu, Nurgi, Sehanno, Serdiana, Sibiola, Sicci, Siserri, Soleminis, Sussua, Trogodori, Turris, e Ussana.
Una volta conquistata la regione, gli Aragonesi riconobbero i diritti che il vescovo di Dolia aveva sul villaggio di San Pantaleo, sede della sua residenza, mentre il restante territorio fu diviso in numerosi piccoli feudi assegnati a persone vicine alla Corona.
Tutte le concessioni furono fatte secondo il modello del more Italiae: ai feudatari venne chiesto il servizio di un certo numero di cavalli armati; ai vassalli il pagamento del feudo in danaro, grano ed orzo.
I feudi secondo il modello italico vengono dati al concessionario con facoltà di trasmetterli  ai discendenti maschi in linea retta, con l’obbligo di omaggio speciale, di servizi e prestazioni; con l’obbligo degli eredi di rinnovare ad ogni successione l’investitura e l’omaggio e di pagare certi tributi; non possono essere alienati senza consenso del sovrano e senza il pagamento, a questo, di altro tributo: conferiscono diritto di giurisdizione solo in primo grado ed anche entro certi limiti che non sono fissi, anzi mutano notevolmente da uno ad altro diploma.
Praticamente il feudo italico comportava limitazioni rispetto alle concessioni feudali che si facevano in Catalogna. Tali limitazioni, sia di carattere patrimoniale che di discendenza, consentivano la dipendenza del feudatario dal Re, che continuava a esercitare il suo diretto controllo politico e giurisdizionale, mentre il concessionario poteva imporre ed esigere tributi, servizi e prestazioni d’opera dalle popolazioni a lui infeudate.
Tutto ciò garantiva la stabilità di dominio su popolazioni assoggettate di recente, come lo erano quelle della Sardegna. Il villaggio di Ussana fu concesso, nell’Ottobre del 1328 a Clemente Salavert, per il servizio di 2 cavalli armati per 3 mesi all’anno. Costui discendeva da una famiglia aragonese, alla quale apparteneva il notaio Clemente, inviato in Sardegna con l’infante Alfonso. Dopo la cacciata dei Pisani da Cagliari ebbe importanti incarichi, come le scrivanie del porto e della dogana della città. A causa della peste del 1348 che imperversò su tutta Europa, Ussana e gli altri villaggi si spopolarono notevolmente, per cui i Salavert ottennero la riduzione del loro obbligo al pagamento di un tributo annuo di 15 fiorini. Nel 1350 vendettero il feudo a Francesco Estaper, discendente da una famiglia originaria di Barcellona.
Ancora, però, vi era guerra intestina tra Mariano IV e Pietro IV d’Aragona, per cui la regione fu di nuovo occupata e devastata dalle truppe giudicali, che male accettavano il dominio aragonese.
Il sistema feudale pareva compromesso e alcuni feudi passarono di mano: la discendenza degli Estaper si estinse per cui Ussana fu donata a Ramondetto Montpavon, di nobile famiglia catalana un cui ramo si era trasferito in Sardegna.
Nel 1366 il Dolia fu occupato dalle truppe giudicali, e, anche se il sistema dei Feudi sembrava spazzato via, il Re continuò a nominare feudatari sul territorio. Nel 1373, Ussana, ormai totalmente spopolata, fu donata al figlio di Ramondetto, Berengario Montpavon. Il territorio era rimasto quasi del tutto spopolato non solo in seguito alla peste, ma anche a causa delle guerre che continuavano tra gli Aragonesi e le truppe giudicali, che avevano fatto, di quel territorio, teatro delle operazioni belliche.
Con la scomparsa ormai definitiva dell’organizzazione giudicale, venne ricostituito il sistema feudale che assunse caratteristiche definitive: Dolia fu frantumata. Il territorio di Ussana costituì il sesto feudo. Gli eserciti vi avevano, senza dubbio, inflitto grossi danni, ma nonostante ciò, nel Gennaio 1416, Ussana fu concessa dal procuratore reale a Pietro Gomes, cittadino di Cagliari, ma originario di Barcellona, il quale, dopo la caduta del Giudicato di Arborea vantava un credito col fisco e proprio in ricompensa di ciò ebbe il feudo di Ussana, anche se completamente disabitato.
La concessione fu fatta secondo il consueto modello del more Italiae e prevedeva per il feudatario il servizio di un cavallo armato per 3 mesi all’anno.
Nell’Agosto del 1420 gli fu donato anche il territorio di Nurgi, che venne unito ad Ussana. Nel 1436 il Gomes vendette Ussana e tutti gli altri suoi territori ad Antonio De Sena. I De Sena erano una delle più illustri famiglie del feudalesimo sardo, pare discendenti dai Piccolomini di Siena, città da cui scapparono, o perchè fuggiaschi o perchè cacciati, in seguito ad un grave fatto di sangue. Antonio aveva preso parte, a sue spese, alle imprese di Alfonso V d’Aragona nell’Italia meridionale, caricandosi, così, di debiti, che fece gravare sul suo patrimonio feudale.
Per questo suo impegno cavalleresco e finanziario ebbe dal Re molti privilegi: fu nominato regio consigliere, camerlengo e connestabile e perfino ammiraglio del Regno di Sardegna; ebbe inoltre la concessione del diritto del sale nelle marine di Cagliari.
Nel 1443 sua moglie Caterina vendette il feudo di Ussana al dottor Emanuele Santa Pau, il cui erede Ximene de Este, però, nel 1449 lo restituì ai De Sena.
Ma il De Sena era talmente oberato di debiti che, per quanto avesse basato la dote di sua figlia Antonia sul feudo di Ussana, nel 1450 lo dette in pegno a Giovanni Montbuy. Il genero di Antonio De Sena, Francesco Erill, discendente da antica famiglia catalana, fu costretto ad intervenire in ben due occasioni per pagarne il riscatto.
In seguito Ussana rimase in possesso degli Erill, ma nel Novembre 1533 Antonio, pronipote di Francesco, promise di vendere il feudo a Salvatore Aymerich, dopo la morte di suo padre Pietro. Tale convenzione fu approvata dall’imperatore Carlo V nel Febbraio del 1541 e, quando, dopo qualche mese Pietro morì, la vendita fu perfezionata.
Ma gli Aymerich si disfarono quasi subito del feudo di Ussana, vendendolo a Gabriele Bonfill, a cui erano legati. I Bonfill erano una famiglia cagliaritana di origine ebraica, che aveva accumulato un buon patrimonio, ma quando Gabriele acquistò Ussana, la gestione del feudo gli fu molto gravosa, perchè oramai le sue risorse finanziarie si erano molto assottigliate. Lasciò il feudo al figlio Cesare che, non solo lo caricò di censi e di ipoteche, ma ebbe anche noie con il Santo Uffizio e, quando morì, il figlio Antonio vendette il feudo a Giuseppe Montaner, appartenente ad una famiglia di origine catalana presente a Cagliari dal XVI secolo.
I figli di Montaner, il 18 Marzo 1594 vendettero Ussana a Gabriele Manca Guiso, di famiglia nuorese. I suoi discendenti modificarono, nel corso del XVII secolo, il sistema dei tributi, rendendolo più gravoso per i vassalli: per il pagamento della parte del feudo in grano ed orzo, i vassalli furono divisi in classi a seconda del reddito, e questo divenne, da allora, il parametro di riferimento per la determinazione del tributo. Furono introdotte le decime per le pecore, da pagare in natura, e l’affitto dei terreni da destinare all’agricoltura, da pagare in grano.
Estinti i Manca Guiso, nel Marzo del 1788, con la morte di Raffaele, il feudo di Ussana fu devoluto al fisco. A ciò si oppose la sorella del defunto, Maria Maddalena sposata con Francesco Amat, con la quale fu raggiunto un compromesso nel Maggio 1790: il feudo passò agli Amat, una delle famiglie catalane più importanti, che lo tennero fino al riscatto operato dai Piemontesi.
Nel frattempo, infatti, la Sardegna era entrata a far parte del regno Sardo-Piemontese, e il Re Carlo Alberto di Savoia, nel 1830, si convinse dell’opportunità di abolire i feudi.
In Sardegna il procedimento per il riscatto dei feudi fu avviato nel Luglio 1834, quando venne istituita una apposita commissione chiamata Regia Delegazione, col compito di accertare il reddito dei feudi esistenti in Sardegna.
Nel 1836 la Delegazione stabili che i vassalli avrebbero dovuto continuare a corrispondere i tributi al feudatario e che si sarebbe giunti al riscatto dei feudi con il concorso dello Stato, attribuendo il demanio feudale a ciascun villaggio, I feudatari non accettarono la proposta, per cui venne istituita una seconda Delegazione per dirimere i contrasti fra vassalli, feudatari e Stato.
La vera e propria fase di riscatto divenne competenza del Supremo Consiglio di Sardegna, a Torino. Si procedette con una convenzione con ciascun feudatario, stabilendo l’ammontare dell’indennità da corrispondere al feudatario stesso: le proprietà che gli sarebbero dovute rimanere, e le somme che i Comuni avrebbero dovuto pagare al fisco, in base alla loro quota di contributo al riscatto del feudo.
In un primo momento, il 7 settembre del 1836, il Barone di Sorso, don Vincenzo Anastasio Amat, aveva valutato il feudo di Ussana in lire 1.033. Si aprì, pertanto, una lite giudiziaria tra il Barone, difeso dall’Avvocato Antonio Ballero, e il Consiglio Comunale di Ussana, difeso dall’Avvocato don Giuseppe Siotto Pintor. L’oggetto della lite riguardava, soprattutto, l’ammontare della prestazione in grano ed orzo, ritenuta eccessiva dagli Ussanesi. Il Tribunale riconobbe valide le ragioni degli Amministratori.
Nel 1839 il Supremo Consiglio stipulò le convenzioni di riscatto con la maggior parte dei feudatari sardi e il 29 Luglio stipulò quella con Vincenzo Amat di San Filippo, Barone di Sorso, per Ussana, riconoscendogli lire 757, soldi 11, denari 7, per diritti feudali.
Il Comune di Ussana continuò a far parte del Regno Sardo-Piemontese fino all’unificazione d’Italia, quando, con il riordino amministrativo del territorio, divenne Comune della Provincia di Cagliari.