Il Marchesato di San Tommaso

Le ville di Gesico e Goni sono quelle che costituiscono questo marchesato.
Il Re Don Pietro, volendo remunerare la servitù di Antonio di Pulgalt, ovvero di Podio alto, con sua patente 24 febbraio 1362 gli accordò in feudo, per lui e i suoi eredi, le ville di Samatzai e Goni in cambio di lire 400 annue di Barcellona, che aveva assegnate di pensione, pagabili sopra i redditi dei feudi, che si sarebbero incorporati al regio patrimonio.
In un incendio succeduto nel Castello di Cagliari essendo stato consunto il diploma del 1362 spedito in favore del Podio Alto, il Re Don Giovanni nel 1390 e successivamente il Re Don Martino nel 1396, emise nuova patente che aveva la stessa forza della prima. E quindi il 10 dicembre del 1396, il Re Don Martino ne mandò un’altra di ampliazione a favore di Giovanetta figlia del predetto Podio alto e moglie di Marco di Mombuy.
A costei, il padre Antonio aveva fatto donazione di tutti i suoi beni con istrumento del 31 luglio 1391 per il matrimonio che aveva contratto con Marco, figlio di Giovanni di Mombuy, governatore di Sardegna e Corsica; e così pure Sibilla sua madre aveva fatto donazione avendo lei il diritto sopra lo stagno reale, ossia la peschiera di Cagliari: il diritto all’undecimo sopra le terre di Santa Gilia di Luto Sisterna ed altre vicine a detta città e le ville, che da essi giugali però erano in comune possedute, di Serrenti, Samassi, Barella, Goni, Massai e Gesico, feudo questo pervenuto ad Antonio per concessione avutane dal Re Don Pietro con diploma 14 agosto 1368.
A questo si aggiunge la suddetta ampliazione personale del 1396 a Giovanetta sopra i feudi.
Venendo ora alla discendenza di Marco e Giovanetta di Mombuy, da loro nacquero tre figliuoli: il primo, che successe nei feudi, chiamato Giovanni, il secondo Antonio Matteo e il terzo Marco. Giovanni (che ebbe un figlio chiamato similmente Giovanni) per istrumento del 27 aprile 1415 fece donazione a Marco suo fratello terzogenito di tutti i suoi beni sia feudali che allodiali. A Marco il Re Don Alfonso, con diploma 25 ottobre 1421, concesse sopra le ville di Gesico, Goni, Samassi, Serrenti, Barella e Massai il mero e misto imperio.
Giovanni di Mombuy II (figlio di Giovanni I che aveva donato al fratello Marco i feudi), per istrumento 19 giugno 1450 fece vendita con assenso del procuratore reale delle stesse ville e dell’altra di Pirres al viceré Don Francesco d’Eril per il prezzo di 1.500 fiorini d’oro di Aragona, dicendo nella narrativa che a lui spettavano in vigor di sentenza del 28 gennaio 1433, pronunciata dal luogotenente governatore Lodovico Aragal nella causa vertita tra i procuratori di Giacomo Tagamont suo tutore ed il curatore di Bernardo di Mombuy figlio del fu Marco. Ed il contratto fu poi approvato dal Re Don Giovanni con suo decreto 4 luglio 1460.
Infatti tra Giovanni II e Bernardo (figlio di Marco) era stata agitata una lite per i detti feudi; il Bernardo pretendeva di succedervi non solo come figlio ed erede di Marco, ma anche come erede di Pietro suo fratello; ma poi, per istrumento 6 gennaio 1457, essendo seguito tra le parti un compromesso con cui si rimettevano all’arbitrato di Don Giacomo Carroz e di Bartolomeo Derous e nel caso che i due arbitri non avessero concordato, si rimettevano alla decisione di Pietro de Belloc, alla qual cosa poi aderì il Re Don Alfonso con suo privilegio 22 febbraio susseguente, uscì in conseguenza una sentenza arbitralmente sotto il 15 marzo dello stesso anno, con cui fu dichiarato spettare dette ville al Giovanni di Mombuy ed il mero e misto imperio sulle medesime al Bernardo.
Ed è qui da osservarsi che fra le altre cose espresse in detto arbitramento fu anche detto che Bernardo dovesse accontentarsi di ciò che egli aveva proposto rispetto alle rendite, frutti, primizie ed emolumenti della giurisdizione civile e del mero e misto impero, massimamente per riflesso ai 500 ducati della donazione fatta dal Giovanni al Marco di Mombuy; giacché una siffatta espressione sembra non possa aver altro senso se non quello che era stata considerata nulla detta donazione per non essere stata insinuata ancorché eccedente detta somma dei 500 ducati.
Nel 1533, il 7 novembre, seguì una capitolazione tra Don Antonio d’Eril e Don Salvatore Aymerich per la vendita di dette ville unitamente a quella di Ussana, Nurechi ed Asuni, in virtù di cui il d’Eril promise di venderle all’altro dopo la morte di Don Pietro suo padre e subito che ne sarebbe stato padrone, ben inteso però che le spese che si sarebbero dovute fare per la regia approvazione sarebbero state a carico del compratore; dove il contratto non fosse effettuabile o per la natura del feudo o per essere essi feudi già stati alienati da detto suo padre o pure dall’avo, in tal caso sarebbe sciolta la convenzione ed obbligato lui Don Antonio al rimborso di dette spese avanzate per l’ottenimento del regio assenso. Ma supposto che il suo contratto avesse la sua esecuzione, il prezzo delle predette ville sarebbe allora fissato a ducati d’oro larghi e di peso 12.000 pagabili in Barcellona in diversi tempi.
Approvata la capitolazione dall’Imperatore Carlo V il 4 febbraio 1541, il 7 marzo susseguente l’istrumento di vendita fu perciò stipulato, stante la morte già occorsa del Pietro padre, dal venditore, con ispiegazione per di lui parte che Nurechi e Asuni fossero da lui possedute in libero e franco allodio, e le altre tutte in feudo e dallo stesso Imperatore il contratto fu poi ratificato con diploma 10 settembre 1542, con facoltà all’acquisitore di poterle cedere, alienare o ipotecare a tempo, ovvero a perpetuità tutte o parte di esse nonostante le clausole riservative degli antichi diplomi.
Nello stesso anno 1542, il 20 dicembre, seguì istrumento di buona fede tra il predetto Aymerich e Don Pietro Sanna de Bruno, in virtù del quale, dichiarando l’Aymerich di aver comprato la terza parte di dette ville per conto del medesimo Sanna, in adempimento perciò dei patti tra loro seguiti, ritenendo per sé Ussana, Samatzay, Serrenti, Baralla, Germasi e Tradori, cedette e rinunciò ad esso Sanna le altre di Gesico, Nurechi, Asuni e Gonno e nel 1543, il 1 maggio, Carlo V vi prestò poi il suo reale assenso; in seguito, il 6 luglio, gliene fu dato il possesso dal luogotenente generale Don Antonio di Cardona.
Un altro simile istrumento di buona fede e consecutiva cessione fece l’Aymerich in favore di Don Filippo de Cervellon, per cui conto egli dichiarò di aver comprato quelle di Samatzay, Tradori e i due salti, dove anticamente era quella di Alivi, alla quale cessione S.M. prestò il suo assenso regio il 6 giugno 1543.
Il Don Pietro Sanna, con suo testamento del novembre 1545, lasciò a Tiberio suo figlio Gesico e Goni, delle quali fu poscia investito il 6 aprile 1546.
Costui, con ulteriore disposizione del 24 settembre 1580, dichiarò erede Giovanni Battista suo figlio primogenito, che ne ottenne l’investitura il 15 luglio 1581. E poiché Giovanni Battista morì senza prole, successe nei predetti feudi Don Giuseppe suo fratello, il quale lasciò dopo di sé un figlio maschio chiamato Giovanni Battista come lo zio ed una femmina di nome Benedetta, che sposò poi Don Stefano Masones.
Dal Giovanni Battista II nacquero poi un maschio chiamato Antioco ed una femmina chiamata Eulalia che fu poi moglie di Don Federico Manca, Marchese d’Albis.
Don Antioco, come erede del padre, fu investito dei feudi il 9 ottobre 1668, ed essendo venuto a mancare con una sola figlia chiamata Beatrice, da lui dichiarata erede con testamento 25 giugno 1697, allegando il fisco la natura di detti feudi retti e propri, che escludeva le femmine come incapaci di succedervi, ne chiamò ed ottenne il sequestro; sicché fu intavolata una lite in cui comparvero anche Don Felice Masones Duca di Sotomayor e Don Pietro Guiso Marchese d’Albis; il primo pretendendo alla successione come pronipote di Donna Benedetta Sanna e l’altra come nipote di detta Donna Eulalia, sorella dello stesso Don Antioco.
Ma dopo essersi proseguita molti anni la causa con calore, essendosi finalmente sopita, l’uffizio dell’intendenza generale, credendo fondata la devoluzione proposta dal fisco, per istrumento 15 luglio 1747, ne fece vendita a Donna Maria de Cervellon per la somma di 9.000 scudi sotto le varie condizioni, che furono convenute e fra le altre che Gesico e Goni avrebbero la natura di feudo improprio secundum quid onde tanto i maschi che le femmine discendenti dall’acquisitrice avrebbero potuto succedervi e sarebbe a lei facoltativo di disporne tanto tra i vivi quanto per ultima volontà a favore dei suoi figliuoli.
Il contratto, con diploma 3 settembre dello stesso anno, fu poi approvato da S.M. che con altro della stessa data, in conformità di dette convenzioni, eresse dette ville in marchesato sotto il titolo di San Tommaso, con dichiarazione che tale dignità sarebbe reale, annessa al feudo e transitoria ai possessori aventi causa da detta dama acquisitrice.

NOTA: Il titolo di Marchese di San Tommaso passò, a seguito del matrimonio tra Donna Maria de Cervellon e Tommaso Nin, alla famiglia Nin (v. albero genealogico Nin).