Acquisizione e consolidamento del patrimonio feudale attraverso logiche familiari: gli Amat

 

Il primo giorno di luglio del 1789 vengono celebrate a Cagliari le nozze fra Giovanni Amat Manca ed Eusebia Amat Vico. Lo sposo, ormai trentacinquenne, è il marchese di San Filippo, ma è destinato a diventare altresì, alla morte della madre Maddalena Manca Masones, marchese di Albis, barone (1) di Ussana, barone di Bonvehì, barone di Montiferru, signore di Austis, Teti, Tiana e signore del “vinteno” e del “cabesaje” (2) di Alghero. La sposa non ha ancora 17 anni e la morte del suo unico fratello maschio, avvenuta nel gennaio, l’ha destinata ad ereditare dal padre, Giuseppe Amat Malliano, la baronia di Sorso e Sennori e la signoria di Olmeto; dalla madre, Speranza Vico Zapata, il marchesato di Soleminis e la signoria della “carra” di Sassari (3).
L’endogamia, tradizionalmente praticata con lo scopo di assicurare alla chiusa casta dei feudatari sardi la permanenza dei possessi feudali, già istituzionalmente indivisibili per effetto del maggiorascato, trova in questo avvenimento la più raffinata espressione: il progetto di accorpamento feudale, evidentemente sotteso a questa unione matrimoniale, si realizzerà infatti nella persona del loro primogenito Vincenzo Anastasio (4) che pure riunirà in se stesso due dei tre rami della casata, quello dei marchesi di S. Filippo e quello dei Baroni di Sorso.
Vincenzo Anastasio emerge quindi come figura emblematica, quasi il compendio di quella sagace politica matrimoniale che ha permesso alla famiglia di accrescere, di secolo in secolo, i propri possedimenti feudali per consegnarli, infine, al suo ultimo rappresentante. Né pare casuale il matrimonio di questi, avvenuto nel 1811, con Emanuela Amat Manca, sorella di quel marchese di Villarios che rappresenta il ramo principale della casata stessa: la possibilità di accentrare i tre rami della famiglia, e con essi tutti i possessi feudali, non si poté di fatto realizzare e, del resto, l’istituto feudale aveva ormai i giorni contati.
La storia di questa famiglia (5) ha origini antiche che riportano al principato di Catalogna e si fa risalire al capostipite Bonucio Amat, vissuto nel X secolo. I suoi discendenti avrebbero affiancato i conti di Barcellona, poi re d’Aragona, nelle guerre contro i mori: per i loro meriti in tali imprese sarebbero stati ricompensati, già all’inizio dell’XI secolo, col feudo di Castellbell. Successivamente Galcerando e Pietro di Castellbell avrebbero partecipato alla conquista della Sardegna, facendo poi ritorno in patria. All’inizio del Quattrocento un Ramon Amat fu consigliere di Barcellona ed ambasciatore presso il Re di Francia; sposò Maria Aymerich dei marchesi di San Vicente e ne ebbe due figli, Pietro e Giovanni. Il primogenito, sposato con Isabella di Terrè, fu padre di Giacomo. Furono proprio Giovanni Amat Aymerich e suo nipote Giacomo Amat Terrè a lasciare la Catalogna per passare in Sardegna, separandosi definitivamente dal ceppo catalano degli Amat, che continuò a prosperare sul feudo di Castellbell, eretto in marchesato all’inizio del Settecento, e dal cui seno uscirà Manuel Amat Junyent che per 10 anni, dal 1761, sarà viceré del Perù.
Giovanni Amat Aymerich si stabilisce dunque in Alghero insieme a suo nipote: entrambi accomunati dal rango di cadetti, devono guadagnarsi quegli onori che spettano di diritto ai loro fratelli primogeniti. L’appartenenza ad una delle più illustri famiglie di Catalogna appiana il percorso e, mentre lo zio, nel 1506, è governatore e riformatore del capo di Sassari e Logudoro, Giacomo Amat Terrè nel 1507 è chiamato da Carlo V, seppure temporaneamente, a sostituire il viceré Desay (6).
Di Giovanni Amat Aymerich si perdono le tracce: probabilmente anziano e scapolo, morì di lì a poco senza lasciare discendenza.
Giacomo Amat Terrè, invece, pone salde radici nell’Isola e, dopo aver sostituito il viceré Dusay, ottiene l’incarico di ricevitore del Riservato, cioè delle rendite del Marchesato di Oristano. Rimasto vedovo di Angela Zatrilla e morto anche suo cognato Ramon Zatrilla, signore dell’incontrada del Montiferro e del Gerrei, ne sposa la vedova Isabella de Sena Piccolomini da cui nasce, nel 1521, il loro unico figlio, Pietro. Rimasto presto orfano di padre (Giacomo morì nel 1524), Pietro vive in Alghero con sua madre ed i suoi due fratelli uterini, Gerardo e Salvatore Zatrilla, che rivestono nella vita di Pietro un’importanza eminente. Li troviamo infatti consentire al matrimonio di Pietro con la sassarese Brianda Cariga Manca, che porta una dote di 4.000 lire, e tutti insieme accomunati nel privilegio di Nobiltà concesso da Carlo V nel 1547 (7).
Pietro si sarebbe distinto al servizio di Carlo V in Germania e nella difesa di Alghero contro Francesi e Turchi (8). Anche suo figlio si sarebbe distinto nella difesa di Alghero, essendo incaricato delle opere di fortificazione della città nel momento in cui, ripresa la Goletta da parte dei Turchi (1574), più imminenti parevano i pericoli di un’invasione. Preso prigioniero dai turchi sbarcati a Porto Conte al comando del moro Attaraix nel 1585, sarebbe stato riscattato per il prezzo di 5.000 ducati (9). Da Giovanni, sposato con Eulalia de Ferrera che portò in dote 10.000 lire e la scrivania della vicaria di Alghero (10), nasce Francesco, che, avendo pur egli provveduto alle fortificazioni di Alghero, sarebbe stato ricompensato col feudo, col titolo di conte, di Villanova del Rio, ovvero Villarios (11).
All’inizio del Seicento si apre dunque, con Francesco Amat de Ferrera, un nuovo e più importante capitolo della storia della famiglia. L’investitura feudale, al di là delle rendite che essa possa assicurare, si rivela infatti la condizione essenziale per nuove strategie matrimoniali che, costrette fino ad allora, nell’ambito delle pur distinte famiglie degli ufficiali regi, potranno d’ora in poi estendersi all’ambito, ben più importante, delle famiglie feudali, permettendo così l’acquisizione, per via ereditaria, di un cospicuo numero di feudi e titoli.
Il cumulo dei feudi, d’altronde, non si deve attribuire, o non solo, alla insaziabile smania di ricchezza dei feudatari, ma è funzionale ad assicurare alla famiglia durevoli condizioni di benessere. Se è vero infatti che l’istituto maggiorascale assicura l’unità del feudo in capo ad un unico erede, è altrettanto vero che i frutti del feudo competono, in mancanza di beni liberi, anche ai figli cadetti ed alle figlie cui spetta, sia che si sposino, sia che scelgano il convento, una dote adeguata (12).
E’ quindi evidente che, data la numerosa prole delle famiglie feudali e, per contro, le scarse rendite dei feudi, condizionate da cattivi sistemi di coltivazione e di allevamento, un unico feudo non potesse essere sufficiente a garantire il benessere dei discendenti nell’avvicendarsi delle generazioni. Ciò vale soprattutto per i feudi di piccola e media ampiezza, con rendite proporzionali a tali dimensioni, nel cui ambito, di fatto, si sviluppa la storia feudale degli Amat, lontana dai grandi feudi degli inarrivabili feudatari spagnoli residenti nella madrepatria (13).
Nel 1646 dunque, il figlio del conte Francesco, Giovanni Battista Amat Font, sfruttando il momento favorevole alle investiture feudali (14), ottiene che la contea di Villarios venga eretta in marchesato, acquisendo così il titolo marchionale (15). Giovanni Battista si sposa per tre volte: la prima con Benedetta Busquet de Roma, che porta una dote di 25.000 lire (16), la terza, nel 1653, con Maddalena de Liperi Castelvì, vedova anch’essa, e signora dell’incontrada di Romangia o, secondo l’appellativo più usato, barona di Sorso. La famiglia si scinde in questo modo nei due rami di Villarios, che continua con Francesco Amat Busquet, e di Sorso, che inizia con Pietro Amat de Liperi.
L’acquisizione del feudo di Sorso avviene non senza difficoltà. Infatti Maddalena de Liperi ne è sì la titolare, ma le rendite si trovano sequestrate a favore di sua cognata Gabriella Manca Zonza, vedova del fu Barone di Sorso Giuseppe de Liperi, che deve recuperare dai frutti del feudo il valore della sua dote (17). Il feudo di Romangia deve essere pertanto riscattato ed il suo prezzo è calcolato in 20.000 lire. Maddalena de Liperi, nuovamente vedova, ricorre ancora una volta all’arma del contratto matrimoniale e, nel 1607, stipula con Ignazio Petreto, signore del feudo di Olmeto, i capitoli nuziali tra i rispettivi figli, Pietro di nove anni, e la tredicenne Vittoria Petreto de Sena. Ignazio Petreto si impegna a pagare per intero la somma per il riscatto del feudo (che gli costerà infine oltre 28.000 lire) e pone come condizione l’essere egli stesso nominato a vita reggitore e amministratore dell’incontrada di Romangia e procuratore speciale e generale della barona la quale, dal canto suo, cede a Pietro il feudo con tutti i diritti connessi (18). Il feudo di Romangia, che era stato di Rosa Gambella, intorno a cui si erano svolti i sanguinosi intrighi delle famiglie sassaresi dei Gambella e dei Marongio, e che aveva attirato le attenzioni dello stesso Viceré di Sardegna Ximene Perez Scrivà de’ Romani (19) entra dunque nella casa Amat grazie al matrimonio di Pietro con Vittoria Petreto, da cui i discendenti trarranno pure il titolo di Signori di Olmeto.
Col matrimonio, celebrato nel 1674, Pietro si trasferisce da Alghero a Sassari, dove pure vivranno i suoi discendenti (20) fino alla metà del Settecento quando, realizzando una nuova espansione feudale, Giuseppe Amat Malliano sposerà Speranza Vico Zapata, già vedova di Gabriele Nin del Castello, marchesa di Soleminis e signora della “carra” di Sassari, ponendo definitivamente la propria residenza a Cagliari.
Analoga la sorte del ramo Villarios che pure alla metà del Seicento trasloca da Alghero a Sassari in concomitanza col matrimonio di Francesco Amat Busquet con Mariangela Manca Salvagnolo. La sposa appartiene ad una delle più illustri famiglie della Sardegna e, se non feudi, porta una cospicua dote di beni mobili e immobili: denaro, pecore e vacche, 8 case terrene e 3 palazzi in Sassari, orti irrigui, tanche, censi, vestiti, arredi, gioielli; la nonna materna le ha costituito una dote di 8.000 lire, le zie paterne ne aggiungono altre 6.000. Non ci si allontana troppo dal vero calcolando in circa 50.000 lire la dote di Mariangela Manca, dei cui frutti, come è espressamente precisato nei capitoli matrimoniali, potrà godere largamente il marito, restando il patrimonio ai figli (21).
Davanti a tanta magnificenza, il padre dello sposo fa del suo meglio, concedendo a Francesco di fregiarsi del titolo di marchese di Lunafras ed i frutti di questo feudo, acquistato nel 1639 (22), calcolati in 400 scudi all’anno, oltrechè alcuni immobili in Alghero (un orto con giardino ed una casa), quadri e cristalleria.
L’erede di tanto patrimonio, Gavino Amat Manca, accresce ulteriormente i possessi feudali del ramo Villarios sposando Caterina Tola manca, contessa di Bonorva e Signora di Pozzomaggiore. Caterina Tola porta una dote del valore di 18.000 lire, comprendente denaro, case, più di 1.500 pecore, gioielli, tra cui orecchini d’oro e perle, un anello d’oro con 11 diamanti e uno smeraldo, 72 bottoni d’oro e smalto; ancora, arredi per la casa, quali un letto dorato, una cassa, un forziere, diverse pezze di damasco e biancheria; nel suo corredo personale compaiono, tra l’altro, un vestito di raso bianco con ricami di fiori d’oro composto da gonna e farsetto e un analogo vestito di raso verde. Anche Caterina Tola è vedova ed aggiunge alla propria dote un legato di 500 scudi lasciatole dal sui primo marito Francesco Sanjust (23). Il primo figlio di Gavino e Caterina, Antonio Amat Tola, sarà dunque marchese di Villarios, signore di Lunafras, conte di Bonorva e signore di Pozzomaggiore, tutti titoli di cui si fregeranno i discendenti del ramo, che si estinguerà infine, con Vittorio Amat Sanjust, nel corso dell’Ottocento (24).
Dal ramo Villarios gemma nel frattempo il ramo dei marchesi di S. Filippo, in conseguenza del matrimonio del secondogenito di Gavino Amat e Caterina Tola, Francesco, con Giuseppa Bacallar Cervellon, figlia ed erede di Vincenzo Bacallar Sanna. Per la sua instancabile opera a favore del re di Spagna e, in particolare, nel recupero della Sardegna dall’Arciduca d’Austria, ha ricevuto da Filippo V, quale massimo riconoscimento, il titolo di marchese col predicato di S. Filippo, a memoria del suo nome e della sua riconoscenza e il titolo di visconte di Fuente Hermosa (25).
Essendo ambasciatore del Re di Spagna nei Paesi Bassi, Vincenzo Bacallar muore nel 1726 a L’Aja, dove pure ha battezzato nell’aprile dello stesso anno il nipote Vincenzo Amat Bacallar (26). L’eredità da lui lasciata è proporzionale all’ampiezza della sua fama; in parte viene venduta in loco (argenteria, cavalli, libri), in parte va al marchese, maritali nomine, Francesco Amat, la cui casa sassarese si arricchisce dei preziosi arredi provenienti dall’Aja.
La rappresentazione della casa di un gentiluomo sardo-iberico è tutta nell’inventario dei beni di Vincenzo Bacallar: mobili di ogni tipo, canapè, poltrone, sedie rivestite di damasco e taffettà, tende e cortine di seta in ogni camera, quadri di soggetto mitologico e sacro, ritratti diversi. Delle 56 voci relative alla quadreria del Marchese di San Filippo, Francesco Amat tiene 6 ritratti della casa reale di Spagna, un quadro di San Geronimo, un quadro raffigurante San Filippo di Venezia e ancora 6 quadri “di seta con guarnizioni di ebano”; fra i gioielli un “retrato” di diamanti del duca di Parma del valore di 1.000 fiorini, 2 orologi d’argento ed uno per il buffet; una gran quantità di libri e giochi diversi: un “birebis”, una dama, “tablas reales” di ebano. Non mancano le curiosità: un microscopio ed un cannocchiale, diverse pistole e 2 carabine, nonché teiere e tazze da tè di cui non si ha notizia in inventari coevi sardi (27).
Ma all’altisonante titolo di Marchese di San Filippo non è connessa alcuna investitura feudale. La lacuna è presto sanata: nel 1753 Vincenzo Amat Bacallar sposa Maddalena Manca Masones che porta una dote di 50.000 lire (28) ed erediterà, seppure 35 anni dopo, il marchesato di Albis, la baronia di Ussana, la baronia di Bonvehì, la baronia di Montiferru, la signoria di Austis, Teti e Tiana e la signoria del “vinteno” di Alghero, destinati tutti a suo figlio Giovanni Amat Manca (29) e, in definitiva, a suo nipote Vincenzo Anastasio Amat Amat, con cui giunge alla sua fase conclusiva la storia feudale dei marchesi di San Filippo e dei baroni di Sorso.

La storia familiare, così ricostruita, si manifesta nelle sue grandi linee come una vicenda complessiva di ascesa, da posizioni eminenti già in partenza, verso traguardi più altri, raggiunti con la tenacia e la perseveranza che accomunano, sorprendentemente, le diverse generazioni e i diversi rami della famiglia. Il matrimonio, come si è sottolineato più volte, costituisce il mezzo essenziale di tale ascesa, tant’è che la storia degli Amat, per quanto illustrata da figure maschili di primissimo piano, può esser letta, nell’aspetto feudale, come una storia sequenziale dominata dalla presenza femminile.
E’ inutile sottolineare che si tratta di donne non “comuni”, donne che, pur con storie personali indubbiamente diverse, sono tutte accomunate dall’essere domine, signore di feudi e di vasti patrimoni, pienamente capaci di amministrare in prima persona famiglia e feudi, servi e vassalli, e, in pari tempo, accomunate ai loro mariti dal rango, dalla cultura e dall’obbiettivo di conservare e incrementare potere e ricchezze.
Tale parità di condizione, determinata da pari effettive capacità di perseguire il fine comune, si manifesta soprattutto nella sfera delle relazioni sociali in cui le donne appaiono incontrastate dominatrici. Poco amanti della casa e dei bambini, affidati ad un stuolo di servitù domestica e di balie, le donne viaggiano, anche sole, e sole ricevono nel pomeriggio le amiche per gli abituali “rinfreschi”. Amano i vestiti, i gioielli e le pettinature alla moda; sanno non solo ricamare, ma anche dipingere, suonare, ballare e cantare, cosa che fanno con grande successo nelle feste destinate anche agli uomini, nei cui confronti mostrano comportamenti tanto spontanei da meravigliare i viaggiatori non particolarmente edotti della libertà delle dame sarde. Uno di questi, l’inglese David Sutherland, resterà letteralmente ammaliato dalla bellezza e dallo spirito della marchesa di Villarios Francesca Manca Aymerich, immortalando in una pagina del suo diario: “Villarias catturò il cuore di tutti noi. Io spesso avevo cercato di formarmi un’idea di Eva nel suo stato di innocenza, ma mai c’ero riuscito, finchè io non vidi questa affascinante marchesa. Ella…è la natura stessa nella sua perfezione” (30).
La presenza femminile trova ovvii limiti nella sola sfera politica esterna. Le riunioni dello stamento militare, le consorterie politiche, gli incarichi di corte, restano pur sempre appannaggio degli uomini, per quanto la grande politica sembri esulare dagli interessi degli esponenti della famiglia Amat nelle diverse generazioni. Così come non sembrano coinvolti nei fatti legati agli omicidi Laconi-Camarassa, nello stesso modo non si espongono in prima persona nella lotta fra carlisti e filippisti; solo alcuni elementi indiretti, come il matrimonio di Francesco con Giuseppa Bacallar, sono un valido indizio delle posizioni conservatrici della famiglia a tutela dello status quo ante.
L’interesse degli Amat è, più che alla politica, maggiormente rivolto alla cura dei rapporti sociali. Il trasferimento dei tre rami della famiglia da Sassari a Cagliari nella seconda metà del Settecento potrebbe intendersi nel senso di una tendenza all’allargamento ed all’arricchimento delle relazioni sociali in concomitanza col maggiore lustro acquisito dalla famiglia e, soprattutto, col maggior coinvolgimento, almeno formale, dell’aristocrazia isolana nel consenso alla politica della monarchia sabauda rappresentata dal viceré. In tale prospettiva si accettano i lunghi e costosissimi servizi presso la corte torinese (31), né ci si sottrae all’onore di ospitare in casa la famiglia reale, fortunosamente giunta a Cagliari nel tardo inverno del 1799 (32).
Resta fermo, comunque, che l’interesse precipuo dei feudatari all’amministrazione dei beni aviti, come mostrerà la dedizione totale di Vincenzo Anastasio Amat Amat alla riorganizzazione delle sue proprietà, per cui pure rinuncerà all’incarico di senatore conferitogli da Carlo Alberto nel 1848.
Liberi dagli oneri gravosi ricadenti sui primogeniti, i cadetti potrebbero, meglio di questi, esprimere le loro potenzialità. I doveri del rango li costringono a due uniche possibilità di scelta: la carriera militare e la missione sacerdotale in cui, infatti, si manifesta la lunga tradizione della famiglia che, nel corso dell’Ottocento, vede insigniti due dei suoi esponenti, giunti ai vertici della loro carriera militare, del Collare della SS. Annunziata (33) ed uno ammantato della porpora cardinalizia (34).
Ma la marchesa di Villarios, Giovanni e Luigi Amat Malliano, il cardinale Luigi Amat e, soprattutto, Vincenzo Anastasio Amat Amat sono, nelle rispettive sfere di azione, gli ultimi, seppure più illustri, protagonisti di quel mondo feudale destinato a scomparire definitivamente.

 

Note:

  1. Barone non è, nella Sardegna spagnola, un titolo di nobiltà, ma ha il significato di Signore, titolare di un feudo. Dapprima riferito ai signori di feudi concessi “more Italie”, indicherà poi, indistintamente, anche i possessori di feudi allodiali.
  2. Diritti del 20° del dazio e del macello di Alghero.
  3. Diritto di esazione dei dazi sulle merci in entrata nella città di Sassari. La “carra” era la porta carraia della città, detta poi “porta Castello”.
  4. Nato a Cagliari nel 1790, ereditò dalla madre (1808) i feudi dell’avo materno (morto nel 1807); nel 1812 ereditò i feudi dell’ava materna, iniziando ad amministrare, per cessione del padre, i feudi paterni, che ereditò nel 1818. Nel 1826, grazie ad una transazione col fisco, ottenne il riconoscimento del titolo di Marchese di Conquistas, proveniente dalla casa Vico, insieme a diverse proprietà. Fu gentiluomo di Camera del re Vittorio Emanuele I, capitano della fanteria e della cavalleria miliziana, “prima voce” dello stamento militare dal 1827 al 1833 durante la minorità del marchese di Laconi Ignazio Aymerich Ripoll, consigliere di I classe presso il Consiglio Generale della città di Cagliari (1837-38), grande ufficiale dei Ss. Maurizio e Lazzaro. Nominato Senatore dal Re Carlo Alberto nel 1848, rifiutò l’incarico per motivi di età e di salute. I suoi feudi furono riscattati nel 1839 per la somma di lire sarde 273.277, 11,8, pari a lire nuove di Piemonte 526.652,96 centesimi. A seguito del riscatto dei feudi si dedicò all’amministrazione dei suoi beni privati e, in particolare all’azienda agraria “su benatzu” di Ussana. Morì nel 1869. La sua vita e la sua opera si possono facilmente ricostruire sulla base della documentazione del suo archivio, di cui fu il primo ordinatore.
  5. Sulla storia della famiglia esistono diverse compilazioni. In particolare si sono considerate quelle segnate con i numeri 4, 5, 7, 9, 14, 20, 59 della serie Genealogie dell’Archivio Amat, di cui la n.5 scritta alla metà del ‘600 dal licenziato Gregorio Lopez e dedicata a Francesco Amat Busquet. Si tratta di compilazioni evidentemente celebrative la cui attendibilità è da verificare. Il condizionale usato nel testo indica che la fonte non è stata verificata. Notizie sulla famiglia Amat in: El solàr català, balear, valencià, a cura di A. y A. Garcia Carrafa, S. Sebastian 1969; J. Gramunt, Los linajes catalanes en Cerdena, Barcelona 1958, pp.19-20; Origen del cavalierato y de la noblesa… a cura di Vincenzo Amat di S. Filippo, Cagliari 1977; F.Floris-S.Serra, Storia della nobiltà in Sardegna, Cagliari 1986, pp. 180-181 e D. Demurtas, Gli Amat, in Almanacco di Cagliari 1985, Cagliari 1984.
  6. Archivio Amat, Genealogie, n.20, riporta la trascrizione della C.R. 23.1.1507 con cui fu incaricato della luogotenenza. V. anche F. Loddo Canepa, La Sardegna dal 1478 al 1793, I, gli anni 1478-1720, a cura di G. Todde, Sassari 1974, p.49 e 93.
  7. Archivio Amat, Capitoli matrimoniali, n°27, del 2 marzo 1541, Sassari, notaio Antonio Serra.
  8. In Archivio Amat, Genealogie, n.14, è riportata la trascrizione parziale del privilegio di nobiltà concesso da Carlo V ai fratelli Zatrilla e a Pietro Amat in data 23.12.1547, in cui si fa riferimento al valore di questo nelle campagne di Germania a servizio dell’imperatore. Cita anche la C.R. 15.5.1558e la C.R. 20.10.1558 con cui Carlo V l’avrebbe nominato governatore delle armi di Alghero e capo del Logudoro con poteri di alternos del capitano generale, con lo scopo di fortificare le piazzeforti del regno, ed in particolare Alghero; e la C.R. 5.7.1565 con cui gli sarebbero stati confermatigli impieghi del padre. Sarebbe morto alla vigilia della spedizione di Lepanto cui avrebbe dovuto partecipare.
  9. Così in Archivio Amat, Genealogie n.14, secondo cui nel 1579 sarebbe stato nominato dal viceré capitano “a guerra” di Alghero. Nel 1578 sarebbe stato ammesso da Emanuele Filiberto di Savoia all’Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro per giustizia: se così fosse sarebbe il primo sardo ammesso all’Ordine. Secondo il compilatore di Genealogie n.20, avrebbe ricevuto con C.R. 20.2.1586 tutti gli incarichi di suo padre.
  10. Archivio Amat, Capitoli Matrimoniali n°26, del 9 maggio 1562, Alghero, notaio Antonio Montanyana. Il marito “…en contemplaciò de la virginitat de aquella ly fa donaciò eo escreix de la mitat de dita dot ques entre dot ofreix quinque milia lliures e mes la acull per la mitat en tots les robes de la sua cambra, co es de lli, llana, seda e coto que lo dia del seu obit se trobarà”. Casi analoghi riferiti, per Cagliari, da G. Olla Repetto, La donna cagliaritana tra ‘400 e ‘600, in “Medioevo, Saggi e Rassegne”, 11 (1987), p.177, cui pure si rimanda per la bibliografia specifica.
  11. Secondo il compilatore del documento dell’Archivio Amat, Genealogie n.20, Francesco Amat de Ferrera sarebbe stato governatore di Alghero e incaricato delle fortificazioni con C.R. del 24.12.1594 e ricompensato con un abito di Castiglia di 1.000 reali annui. A. Mattone, La città e la società urbana (in Storia dei Sardi e della Sardegna), cita un episodio avvenuto nel 1616 che ha come protagonista il consigliere capo di Alghero Francesco Amat. Il titolo comitale, perduto, si desume dal titolo marchionale concesso a suo figlio Giovanni Battista Amat Font.
  12. Gli ultrogeniti avevano diritto alla legittima, pari, solitamente, al 4% del valore dei frutti dei possessi feudali. Le femmine avevano diritto alla dote ed agli alimenti, surrogati alla legittima, anch’essi gravati sui beni feudali primogeniali. Sulla successione in presenza di beni liberi, v. alla n.21 il contenuto del testamento del marchese di Villarios Francesco Amat Busquet.
  13. V. B. Anatra, Economia sarda e commercio mediterraneo nel basso medioevo e nell’età moderna (in Storia dei Sardi e della Sardegna), che indica tra i grandi feudi Bonvehì e Austis; fra i medi Montiferro, Marchesato d’Albis, Ussana, Romangia, Bonorva; fra i piccoli Pozzomaggiore, Olmedo, Soleminis, Lunafras.
  14. Ibid. pp. 198-199, sul numero delle concessioni feudali fra il ‘400 ed il ‘600 e, in particolare sul venticinquennio 1622-1646.
  15. Archivio Amat, Titoli, privilegi e patenti, n.29: il privilegio concesso dal re Filippo IV da Saragozza in data 28 agosto 1646 fa riferimento al fatto che Giovanni Battista Amat Font aveva messo a disposizione delle fortificazioni di Alghero, a proprie spese, 44 pezzi di artiglieria di bronzo. Giovanni Battista Amat Font sarebbe stato cavaliere di Santiago, si sarebbe recato in Catalogna per servire il re, facendo ritorno in Sardegna nel 1642, in cui sarebbe divenuto maestro di campo generale di Alghero durante la permanenza della flotta francese in Corsica; inviato da Cagliari a Sassari come visitatore di quel Capo, durante la celebrazione del Parlamento, nel 1644 il viceré gli permette di tenere in casa un pezzo di artiglieria in bronzo proveniente da una nave francese da lui catturata con oltre 200 uomini e 35 pezzi di artiglieria.
  16. Archivio Comunale di Cagliari, Archivio Aymerich, b.207, n.D.6: capitoli matrimoniali con Benedetta Busquet del 25 maggio 1630. L’ammontare della dote è riportato anche nel testamento del marchese, citato alla nota precedente.
  17. Il contratto dotale prevede infatti che la donna maritata resti proprietaria della sua dote e che, costante matrimonio, il marito possa godere dei soli frutti del capitale; pertanto la vedova ha diritto di chiederne la restituzione. Tutti i capitoli matrimoniali che interessano questa ricerca sono contratti “a dot” e in alcuni di essi è espressamente citata la fonte giuridica degli Statuti sassaresi.
  18. Archivio Amat, Capitoli matrimoniali, n. 15, del 15 dicembre 1667, Alghero, notaio Agostino Sisini e Filippi. Vedi anche in Archivio Amat, Testamenti, n.50, il testamento di Vittoria Petreto del 29.9.1700, Sassari, notaio Bernardino Aquenza, da cui risulta essere Pietro Amat de Liberi governatore del Capo di Sassari e Logudoro.
  19. F. Loddo Canepa, La Sardegna, cit. 44-45. La vicenda si legge, romanzata, in E. Costa, Rosa Gambella, Sassari 1897.
  20. Furono questi: Ignazio Amat Petreto, nato e morto a Sassari (1680-1708), sposato con Lucrezia Vico Sanjust; Pietro Amat Vico, nato e morto a Sassari (1704-1771), sposato in prime nozze con la baronessa di Ossi Teresa Guion che morì nel dare alla luce Ignazio Emanuele, morto poi a Torino nel 1752, e in seconde nozze con Teresa Malliano del Arca; Giuseppe Amat Malliano, nato a Sassari e morto a Cagliari (1741-1807).
  21. Archivio Amat, Capitoli matrimoniali, n.24 del 7 dicembre 1654, Sassari, notaio Pietro Paolo Farina. Francesco Amat Busquet, nato ad Alghero e morto a Sassari (1634-1697), lascia al primogenito i beni vincolati, i quadri e gli specchi, al secondogenito i beni liberi: Archivio Amat, Testamenti, n.60, del 9 agosto del 1697, aperto il giorno successivo. A Francesco Amat Busquet è dedicata alla compilazione di Genealogie, di cui alla n.5.
  22. Gli estremi e le modalità dell’acquisto in Archivio Amat, Genealogie, n.14.
  23. Archivio Amat, Capitoli matrimoniali, n.28, del 12 gennaio 1691, Sassari, notaio Bachis Venturosi Scano, con allegato estimo della dote del 6 marzo 1692.
  24. Marchesi di Villarios successivi a Gavino Amat Manca (1669-1736): Antonio Amat Tola (Sassari 1695-1771), sposato con Caterina Masones Marti; Francesco Amat Masones (Sassari 1731-Cagliari 1807), sposato in prime nozze con Francesca Aymerich Brancifort ed in seconde nozze con la nipote di questa Francesca Manca Aymerich; Antonio Amat Manca (Cagliari 1793-1819), sposato con M.Grazia Sanjust Chabod, da cui Vittorio Amat Sanjust, ultimo Marchese di Villarios, senza discendenza.
  25. Su Vincenzo Bacallar e Sanna v. E. Bugliolo, Tradizione e Innovazione nel pensiero politico di Vincenzo Bacallar, Milano, 1989.
  26. Archivio Amat, Genealogie, n.28.
  27. Archivio Amat, Inventari, n.27, del 16 settembre 1726. L’Aja, notaio Sithoff.
  28. Archivio Amat, Doti n.17, del 13.1.1764, Cagliari, notaio Frau Calvo, in cui Giovanni Manca conferma l’assegnazione dotale di lire 50.000 alla figlia, già vedova di Vincenzo Amat Bacallar. Questa erediterà i feudi paterni nel 1788, alla morte del suo fratellastro Raffaele Manca Zapata.
  29. Giovanni Amat Manca (1754-1818) è una figura originale di feudatario. Appassionato delle scienze più varie, di cui restano appunti su diversi quaderni, non era interessato minimamente all’amministrazione dei suoi feudi, tant’è che, entratone in possesso nel 1808, dopo breve tempo ne fece cessione al figlio, neppure maggiorenne, Vincenzo Anastasio.
  30. La descrizione del diario del capitano dei marines inglesi David Sutherland, che visitò Cagliari nell’estate del 1787, in M. Cabiddu, La Sardegna in appunti di viaggio di ufficiali inglesi tra il XVIII e il XIX secolo, in “Annali della facoltà di Scienze Politiche”, 8, Cagliari, 1983, pp. 306-313. La marchesa Villarios, minuziosamente descritta da Sutherland, è la diciassettenne Francesca Manca Aymerich, da pochi mesi moglie di Francesco Amat Masones, di cui alla n.24. Sorella del marchese di Villahermosa Stefano Manca, visse intensamente la vita di corte, legata da profonda amicizia a Carlo Felice e a M. Cristina di Borbone, di cui fu dama d’atours. Partecipò, a Palermo, al matrimonio dei futuri regnanti, facendo con loro il viaggio di ritorno a Cagliari. In questa occasione, poco prima dello sbarco a Orri, seppe della morte del marito. Protagonista indiscussa della vita mondana cagliaritana, frequentatrice assidua del teatro e delle “accademie” tenute dalla regina, sapeva anche dipingere, come rivelano i suoi acquisti a Genova di pennelli, matite, colori, cornici per miniature e dipinti ad olio. La sua attività a favore delle orfane non le fece perdere di vista, una volta diventata vedova, gli interessi patrimoniali e fu tutrice per lunghi anni prima di suo figlio e successivamente di suo nipote. Da D. Sutherland e nelle “carte Lavagna” è pure citata la Marchesa Pasqua, cioè Teresa Amat Vico, secondogenita del barone di Sorso Giuseppe Amat Malliano: dal primo per bellezza e verve, nel secondo testo per la sua abilità nel cantare.
  31. Il Barone di Sorso, Giuseppe Amat Malliano, gentiluomo di camera del re, svolse per il suo servizio di corte, svolto a Torino tra l’agosto del 1792 e l’agosto dell’anno successivo, lire sarde 17.781, pari a lire 28.450 di Piemonte, v. Archivio Amat, Amministrazione, reg. n.26.
  32. C.Sole, Le “carte Lavagna”, cit., p. 86: “La sera (3 marzo 1799) non vi fu luogo per tutta la Corte in Palazzo, onde alcuni principi furono alloggiati in casa dell’Arcivescovo, del Barone di Sorso (Giuseppe Amat Malliano)…”
  33. Luigi e Giovanni Amat Malliano: dell’ultimo si conserva abbondante documentazione nell’Archivio Amat.
  34. Sul Cardinale Luigi Amat v. G. Tantillo, Amat di San Filippo e Sorso Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, 2, Roma, 1960, pp. 666-668.