Articoli su esponenti della nobiltà sarda (Sec.li XIX e XX)
Arborio Mella Alberto (1880-1953)
(tratto da La Nuova Sardegna: 21.3.1953)
Ieri notte alle 0,40 è morto nella sua abitazione nella Città del Vaticano mons. Alberto Arborio Mella di Sant'Elia. Mons. Alberto Arborio Mella di Sant'Elia da molti anni non aveva più che il titolo di maestro di camera del Pontefice perchè, rimasto in parte paralizzato da un grave malore che l'aveva colpito nel gennaio del 1945, aveva dovuto lasciare le sue funzioni di regolatore delle udienze papali a mons. Callori di Vignale che gli era succeduto come pro-maestro di Camera. Era nato nel 1880 a Sassari e la sua nobile famiglia si era trovata a dare, contemporaneamente, un maestro di camera al Papa e un maestro di cerimonie al re d'Italia, nella persona del conte Luigi. Prima di farsi prete mons. Arborio aveva conseguito la aluera in giurisprudenza ed aveva vestito l'abito spagnolo dei camerieri di spada e cappa. Dopo aver frequentato, ormai ai limiti della giovinezza, i corsi dell'Accademia dei nobili ecclesiastici, era entrato in Vaticano come cameriere segreto partecipante di Pio X, posto che tenne fino al 1935 quando successe, come maestro di camera, al milanese mons. Camillo Caccia Dominioni che in quell'anno era stato fatto cardinale.
Arcayne Michele (1836-1902)
(tratto da La Nuova Sardegna: 9.11.1902)
L'avv. cav. Michele De Arcayne, ieri deceduto, aveva 66 anni. Si può dire senza essere adulatori che colla sua morte è sparita l'individualità più spiccata che per intelligenza e coltura onorasse la città di Alghero. Laureatosi in legge a Sassari, giovanissimo entrò a combattere nell'aringa forense in cui si acquistò fama indiscussa. Nelle lotte amministrative che dal 1882 agitarono la città nostra egli a capo dei progressisti raggiunse il potere e fu sindaco fino al 1886. In quel breve tempo egli portò nell'amministrazione civica il soffio vivificatore della sua splendida intelligenza nel concepire, della sua ardita iniziativa nell'intraprendere, della sua ferrea e tenace volontà nell'eseguire. Fu egli che iniziò col piccone demolitore dei bastioni l'opera risanatrice della nostra città che stretta dal cerchio delle sue turrite mura quasi asfissiava. Alghero aveva sete - e chi sa per quanto tempo dovrà offrirla ancora - ed egli per davvero si occupò della risoluzione del problema dell'acquedotto che se egli fosse rimasto a capo dell'amministrazione ora sarebbe stato un fatto compiuto. Il porto doveva attirare nella città ricchi commerci di esportazione ed egli pensò a far classificare il nostro porto in quella categoria che gli dava diritto il movimento di tonnellaggio dell'ultimo decennio. I dintorni della città sparsi di spalti e fossati l'avvolgevano di un cerchio di miasmi ed egli li trasformò in un amenosissimo giardino che oggi forma uno dei più belli ornamenti d'Alghero. Fu Presidente della Congregazione della Carità e anche lì portò il suo soffio innovatore (…).
Aymerich Ignazio (1808-1881)
(tratto da La Stampa: 27.10.1881)
Un dispaccio da Cagliari reca la morte del Senatore Ajmerich
Ignazio, marchese di Laconi. Egli fu la prima voce dell'Antico Stabilimento
militare sardo. Portò, nel 1845, il voto delle popolazioni per l'incorporazione
amministrativa della Sardegna al Piemonte. Promotore delle ferrovie sarde, fu
antico deputato al Parlamento subalpino, più volte presidente del consiglio
provinciale di Cagliari. Era uno dei senatori più anziani.
Il marchese di Laconi fu uno degli uomini più benemeriti della Sardegna, perchè fu uno di quelli che l'amarono di più e con più intelligenza.
I Sardi ricorderanno sempre con riconoscenza la gran parte che egli ebbe nel 1869, all'epoca della tanto promettente ma infruttuosa Commissione d'inchiesta.
Presa a Cagliari l'iniziativa di un Comitato popolare per esporre alla Commissione parlamentare le condizioni dell'isola, egli fece interrogare amministrazioni comunali e Comitati locali, e quindi fece compilare una relazione da lui firmata come presidente.
In quella relazione si esponevano tutti i mali dell'isola, e si davano gli schemi di parecchi importanti progetti di legge.
Non contento di ciò, il senatore Aymerich, per poter essere più libero nel suo dire, faceva un importante lavoro personale sullo stato della Sardegna e suoi bisogni specialmente riguardo alla proprietà e all'agricoltura, e manifestava con molta franchezza le sue opinioni, criticando tanto i Sardi quanto il Governo, ed esponendo crudamente i mali dell'isola.
I lavori del senatore di Laconi dovevano essere il cardine delle riforme per l'isola di Sardegna. La Commissione d'inchiesta non approdò a nulla, ma l'eredità di Ignazio Aymerich resta per le riforme future, ed il suo spirito parlerà anche dalla tomba.
Carboni Michele (1830-1907)
(tratto da L’unione Sarda: 27.1.1907)
Il cav. Michele Carboni era nato in questa città
nel 1829 da nobili genitori. Compiuti gli studi di magistero, si diede al commercio
ove in breve si fece notare per la sua alacrità febbrile e per il sodo
criterio, dando impulso a diverse industrie affatto nuove.
Alla sua attività deve Cagliari il primo stabilimento balneare, inauguratosi
verso il 1860 oltre ad una segheria a vapore, ed una fabbrica di mobili, una
di carri e carrozze, un molino a vapore e ad altri simili stabilimenti industriali,
nei quali impiegò coi suoi capitoli, quella operosità fenomenale
che non l’abbandonò sino a questi ultimi giorni della sua onesta
vita.
Il ceto commerciale lo nominò perciò per molti anni membro e presidente
della Camera di Commercio, e l’ebbe prima giudice e poi presidente del
tribunale di commercio; distinguendosi in entrambe queste cariche per la rara
competenza e per il senno e l’equità a cui s’informavano
i suoi pareri, oltre che per la specchiata ed esemplare rettitudine.
Le elezioni del 1876 lo condussero al Consiglio comunale, ove sedette per molti
anni anche in qualità di assessore.
Nelle guerre dell’Indipendenza italiana egli si arruolava nell’esercito
sardo e prendeva parte a quelle battaglie sante della nostra libertà,
segnalando visi e meritando la medaglia d’argento. Molte società
d’incoraggiamento lo fregiarono di onorificenze con medaglie e diplomi,
e il governo del re per le sue molte benemerenze gli conferì la croce
di cavaliere.
D’indole mite, d’animo generoso e buono, visse modesto e pio, esercitando
largamente la carità e dividendo le sue cure tra il lavoro, che professò
come un culto, e la famiglia che amò e nella quale trovò spesso
conforto e ristoro alle aspre battaglie della vita.
Con il cav. Carboni sparisce il decano degli industriali e dei commercianti
di Cagliari; più ancora una spiccata individualità che in altri
tempi lasciò impronte durevoli della propria potenzialità, da
lui estrinsecata in mille modi, volti sempre al benessere cittadino più
che al proprio.
Cao di San Marco Enrico (1824-1891)
(tratto da L’unione Sarda: 3.2.1891)
Ad un'ora ant. di oggi cessava di vivere il conte Enrico Cao di San Marco, commendatore della corona d'Italia e maggiore generale nella riserva. La catastrofe temuta da molti della famiglia pure non si prevedeva né tanto prossima né così istantanea come avvenne, nella pienezza dei sensi e senza che si annunziassero i segni precursori della morte. Fu una crisi improvvisa che lo fulminò in quest'ultima battaglia della vita contro la natura: doveva morire così l'uomo risparmiato dalle palle straniere nelle dure prove sostenute dal 48 al 1866, e che ha servito sempre la patria con la serena ed imperturbabile coscienza di chi nella religione del dovere non sapeva esistessero sacrifizi. Il conte Cao di San Marco prese parte a tutti i fatti gloriosi dell'indipendenza, e combatté sempre da prode in quei campi che fumanti di sangue italiano accolsero il seme fondatore dell'unità d'Italia e nei quali si maturarono e si compirono i destini della patria. Soldato senza paura, avea l'animo fortemente temprato contro i disagi e le amarezze della vita, e trovò compenso nel campo dell'onore ai sagrifizi compiuti a pro della patria: e tutte le medaglie commemorative, tutte le onorificenze, così nazionali come estere, attestano la sua presenza in tutti i campi di battaglia: trofei del suo valore rimangono le medaglie del valor militare e la croce di Savoia guadagnata col sangue a Magenta, a Solferino e a Custoza. Oggi, spento all'età di 66 anni, lascia alla desolata vedova la memoria più cara, e la nobile e inestinguibile ricordanza dei fasti della sua vita gloriosa, nella quale sdegnò sempre di piegare ad ingiuste preferenze, abbandonando volontariamente a 52 anni il servizio: preferiva ritirarsi a vita privata, meglio che subire un immeritato affronto. Gentiluomo senza rimprovero, cittadino integerrimo, marito affezionato, godette della più serena tranquillità, compenso alla vita del giusto. Con Enrico Cao si è spenta una vita forte, generosa, gagliardamente onesta: la sua morte ha destato il rimpianto di ogni ceto di persone. La direzione dell'Unione con queste parole dettate dal cuore, intende inviare i più profondi sensi di condoglianza alla sua diletta compagna, ai parenti, a molti dei quali ci lega sentita amicizia. Il Conte Enrico Cao di San Marco era nato a Cagliari il 9 maggio del 1824. Nel 1836 entrò nell'Accademia militare, dalla quale uscì il 12 settembre 1843 col grado di Sottotenente. Con questo grado prese parte nel 30 aprile del 1848 alla battaglia di Pastrengo, ed il 6 maggio a quella di S. Lucia. Il 23 maggio successivo fu promosso tenente nel reggimento Cacciatori della brigata Guardie. Prese viva parte alla battaglia di Goito, alla presa di Sommacampagna, alla battaglia di Valeggio, e al combattimento di Milano del 4 agosto 48. Per questi fatti il 5 settembre venne decorato della medaglia d'argento al valor militare. Combatté nell'infausta giornata di Novara, in cui col proprio valore seppe guadagnarsi la medaglia di bronzo al valore. Il 31 marzo 1851 fu promosso capitano nell'8°granatieri e nel successivo 52 maggiore nel 52°fanteria. Nel maggio del 1859 prese parte alla battaglia di Vinzaglio, e nel 24 giugno a quella di San Martino, dove si guadagnò una medaglia al valor militare, per l'intrepidezza con la quale condusse la propria compagnia alla presa d'un pezzo di artiglieria nemica, e per il coraggio dimostrato durante tutta l'azione. Altra medaglia al valor militare gli venne concessa per la parte presa alla repressione del brigantaggio e specialmente per il fatto di Spoleto. Il 2 giugno del 1866, avendo appena 42 anni, fu promosso colonnello nel 62° fanteria. Il 24 giugno 66 (?) prese parte alla battaglia di S. Lucia dei Monti, ed ottenne un'altra medaglia di bronzo al valor militare. Fu creato maggiore generale nel 2 novembre 74 e con la stessa data inscritto nella riserva. Oltre a tutte le medaglie al valore era decorato di quella commemorativa italiana e di quella francese del 1859. Era cav. Dell'ordine militare di Savoia, ufficiale dell'ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e Comm. di quello della Corona d'Italia. Fu parecchie volte consigliere comunale; attualmente era presidente dell'Ospedale di S. Francesco di Sales, e membro dell'amministrazione dell'Ospedale Civile (…). Il seppellimento, al quale interverranno tutte le truppe disponibili del presidio, avrà luogo domani a mezzogiorno partendo dall'abitazione del defunto, in Via Genovesi, n°32.
Giordano Apostoli Giuseppe (1838-1897)
(tratto da Senato del Regno - Atti parlamentari - Commemorazione del Presidente: 6.12.1927)
Onorevoli colleghi. Durante le vacanze parlamentari lutti dolorosi ci hanno colpito. Il 28 settembre in Roma spegnevasi in tarda età la veneranda figura dell'avvocato Giuseppe Giordano Apostoli. Nato in Sassari il 25 gennaio 1838, dal padre Domenico, che fu vanto della magistratura sarda, ereditò forte amore per gli studi di diritto, in cui si laureò a 21 anni, recandosi poi a compiere la pratica professionale nello studio di Pasquale Stanislao Mancini in Torino. Ma la carriera amministrativa di più l'attrasse e poco dopo vi entrava vincendo tra i primi il difficile concorso. Fu consigliere di prefettura a Bologna e, presto affermatosi per la sua soda cultura giuridica, fu chiamato al Ministero dell'interno ove si fece assai apprezzare nei numerosi incarichi di particolare fiducia che gli furono affidati. Fra l'altro, nel 1867, fu nella Commissione istituita per uno studio di riforme della legge comunale e provinciale e, acquistatasi coi suoi non comuni meriti la benevolenza di illustri uomini di Stato, fu spesso al loro fianco quando essi furono chiamati a reggere le sorti del paese: fu così con plauso segretario particolare del ministro Cadorna e poi nel Gabinetto dei ministri Cantelli, Ferraris, Di Rudinì e Lanza. I cittadini di Alghero, e poi di Sassari, con largo suffragio lo vollero loro rappresentante alla Camera dei deputati, dove per nove legislature, dalla XIV alla XXII, egli sedette militando nel partito moderato. Fu parlamentare assiduo ed attivo, membro e presidente di importanti commissioni, spesso relatore di bilanci e di altri notevoli disegni di legge, oratore elegante, fece sentire la sua efficace parola in importanti discussioni, difensore sempre appassionato e vigoroso degli interessi generali del paese e della sua isola prediletta; onde si conquistò una autorevole posizione che per quattro volte gli meritò la delicata carica di questore. Dal 1884 fu per lungo tempo gran parte della vita cittadina di Roma, la cui grandezza ebbe sempre in cima ai suoi pensieri. Chiamato a far parte del Consiglio comunale, nel 1887 fu nominato assessore e in tale ufficio, come in numerose altre cariche che gli furono affidate, recò valido contributo alla soluzione di importanti problemi. Le sue larghe benemerenze gli valsero il 4 aprile 1909 la nomina a senatore e anche qui, con rara assiduità e notevole attività, dette prova del suo attaccamento al bene pubblico. Salutiamo reverenti l'amato collega scomparso che fu anche nobile esempio di modestia e di rettitudine, e porgiamo alla famiglia l'espressione del nostro vivo cordoglio.
Grixoni Gerolamo (1810-1894)
(tratto da La Nuova Sardegna: 20.2.1894)
Ieri, nelle ore pomeridiane, si spense un soldato valorosissimo delle battaglie dell'indipendenza: Gerolamo Grixoni. Colui che noi eravamo orgogliosi di considerare come nostro concittadino era nato ad Ozieri il 9 giugno 1810. Appartenne a quella schiera che, auspice il dovere, nel sacco del soldato trovava il bastone di maresciallo. Giovinetto, appena sedicenne, si arruolò nel reggimento cacciatori delle guardie. Tre anni dopo era caporale e poi cadetto nelle compagnie del corpo di S.M. Percorse la carriera grado a grado, con quella perseveranza che viene da una forte volontà, o come dice un proverbio militare russo, dalla legge di ubbidire e comandare - come il risplendere e ardere è quella del fulmine. Il 6 aprile 1833 sottotenente, poi aiutante di campo del governatore di Novara, sottotenente in soprannumero nel corpo dei cacciatori franchi ed effettivo nel 12° reggimento il 28 ottobre 1840. Nominato tenente nel 1841 e capitano d'ordinanza nel 1848. Maggiore nel 7° fanteria nel 1853, tenente colonnello nel 1859, colonnello nel 1860, comandante la brigata Parma nel 1862, maggiore generale un mese dopo, ispettore dei depositi di fanteria nel 1866, collocato a riposo per ragioni di età nel settembre dello stesso anno, inscritto nella riserva a datare dal 1° gennaio 1874. Lo stato di servizio non sarebbe completo senza dire dei fatti brillanti cui partecipò il valoroso soldato. E' noto l'orgoglio dei sardi nelle battaglie del 1848. Il capitano Avogrado, ritornando cruccioso verso una delle porte di Milano, esclamava: "Se io avessi avuto i sardi di scorta non mi sarebbe tolta la vita!". Ed una palla ne spense la vita. Grixoni ebbe allora la menzione onorevole al valore per la lodevole condotta tenuta il 4 agosto fuori Porta Romana. Nel 49, combattendo sempre contro gli austriaci, il Grixoni meritava la croce mauriziana. La campagna del 1859 fu fortunosissima per il Grixoni. Il 24 giugno a San Martino, comandante un battaglione condusse all'attacco da valoroso; caduto il colonnello, assumeva il comando del reggimento e lo conduceva con coraggio ed intelligenza ad un secondo attacco. Gli elogi che Napoleone III rivolgeva all'esercito sardo ben si possono appropriare al nostro conterraneo, il quale con quel fatto d'armi scriveva uno dei fasti più celebrati del 7° reggimento, formante la brigata Como, al comando di un altro sardo, il generale Efisio Cugia. Il governo francese gli accordava la medaglia commemorativa. Nel 1860 prese parte alla campagna di Ancona e della bassa Italia. Si distinse specialmente sotto Gaeta a San Giuliano. Il Grixoni comandava un reggimento; altri due reggimenti erano comandati pure da sardi, fra i quali uno dal nostro concittadino Scano. Tutti rammentano che, dieci anni or sono, in una solenne occasione, il Grixoni rammentava l'eroismo dei suoi conterranei e modestamente accennava al suo reggimento non per vanita, ma per elogiare i sardi che lo componevano. Il Grixoni dopo quella campagna ebbe le seguenti ricompense: croci di ufficiale mauriziano; medaglia al valore militare; commenda mauriziana; medaglia commemorativa delle campagne 1848, 49, 59, 60 e 61; ufficiale della corona d'Italia; medaglia per l'unità 1848-70. Questa la carriera brillante del nostro valoroso soldato. Ridottosi a vita privata, egli non volle rimanere inerte. Venuto qui, scelse Sassari per soggiorno e fece del bene agli operai costruendo uno dei palazzi più grandiosi. Eletto consigliere comunale, fu dei più attivi. Quando si inaugurò la lapide a Garibaldi, fu uno dei testimoni dell'atto solenne, ed è precisamente in quella occasione che egli pronunciò il discorso cui accennammo più sopra. Oggi la cittadinanza rende gli estremi onori al valoroso soldato dell'indipendenza e si unisce al cordoglio dei figli dell'estinto. (...) I funerali hanno luogo oggi alle 16:30. Vi prendono parte tutte le truppe del presidio al comando del tenente colonnello cav. G. Prunas. Il direttore del corteo: il tenente colonnello cav. Manno, comandante del distretto. Reggono i cordoni il sindaco conte Ledà, il vice ammiraglio Di Suni, i colonnelli Casu, Rombi, Bertolotti, De Vita e Sanna e dal cav. Galeazzo, consigliere delegato. La società militare di Ozieri interviene con bandiera.
Ledà Ignazio (1839-1900)
(tratto da La Nuova Sardegna: 23.4.1900)
Stamane alle 2:45 il nobile Ignazio Ledà d’Ittiri,
tenente colonnello nella riserva, morì dopo lunghissima malattia, con
qualche alternativa di miglioramento, durante la quale fu assistito affettuosamente
dal prof. Roth e dal suo assistente dott. Gutierrez. Aveva sessant’anni.
Volontario nel 1859, entrava alla scuola militare di Ivrea, da dove usciva sottotenente
di fanteria l’11 marzo 1860. Nel 1861 e seguenti fece parte delle truppe
destinate alla repressione del brigantaggio sotto gli ordini del generale Pallavicini.
Nel 1866 domandava ed otteneva il passaggio nei bersaglieri, nel qual corpo
fece la campagna contro l’Austria nell’armata comandata dal generale
Bixio. Andò in Africa come maggiore dei bersaglieri colle prime truppe
che furono spedite colà; ed all’epoca del disastro di Dogali comandò
e diresse le operazioni delle fortificazioni di Archivio. Rimase in Africa circa
due anni, dando prova di tutte le sue belle virtù militari. Rientrato
in Italia continuò la carriera nei bersaglieri finché compiuti
gli anni di servizio si ritirava a vita privata, dedicandosi tutto alla famiglia
che tanto amava. Era cavaliere della corona d’Italia e di quella dei SS.
Maurizio e Lazzaro; era fregiato della medaglia commemorativa e di quella d’Africa.
Il trasporto funebre avrà luogo domattina alle ore 9, partendo da Largo
Ittiri.
Manca di Mores Simone (1809-1900)
(tratto da La Nuova Sardegna: 23.1.1900)
Con la morte di Simone Manca, o di Don Simone come si era soliti chiamarlo, sparisce un'individualità cittadina. Il nob. Simone Manca, nella varietà del suo ingegno, ritraeva il carattere sassarese. La sua tempra forte, rivelatasi anche fino agli ultimi aneliti, resterà leggendaria. Nato a Sassari il 6 febbraio 1809, entrò nell'accademia militare di Torino l'8 ottobre 1818. Ne uscì il 19 febbraio 1827 sottotenente nel reggimento cacciatori guardie. Promosso tenente nel 1831, due anni dopo andò in aspettativa e successivamente col grado di capitano lascò il servizio militare e sposò la nobile Lucia De Quesada di San Saturnino, figlia del Marchese Raimondo De Quesada di San Saturnino, ministro di Stato e rappresentante del Re di Sardegna presso la corte del Re di Napoli. Non rimase inoperoso. Nel 1838 fu chiamato a far parte del consiglio delegato (giunta) e nel 1844 fu uno dei due sindaci della città. Riordinata l'amministrazione, il nob. Simone Manca fu eletto consigliere del comune e nello stesso anno (1849) assessore. Nel 1860 fu nominato sindaco, carica che disimpegnò fino al 1863. La sua amministrazione si distinse per la spinta data al rinnovamento edilizio. Si deve al Manca se, dopo una strenue lotta, si ottenne dal Viceré l'autorizzazione di fabbricare oltre le mura di cinta della città per cui fu ordinato immediatamente il piano di massima, se mal non ricordiamo, dall'ingegnere Marchesi, padre del generale. Sorsero le appendici, che oggi formano la parte più bella della città; fu costruito il mercato; fu ampliato e sistemato il cimitero. Per quest'ultima opera come testimonianza di gratitudine gli fu concessa gratuitamente dal municipio una tomba di famiglia. Fra i sindaci vecchi, il Manca e l'Usai furono sempre tra i più rammentati dalla cittadinanza. Simone Manca fu altresì consigliere e deputato provinciale per parecchi anni, a cominciare dal 1872. E in tale qualità fu uno dei più caldi propugnatori della costituzione del palazzo provinciale che determinò, per dir così, la costruzione della bellissima Piazza d'Italia. Anche nell'età più tarda, quando altri son costretti a più assoluto riposo, il Manca sentiva il bisogno di muoversi, di dipingere, di leggere, di fare qualcosa. E trovava il tempo per tutto: per la famiglia, per amministrare il suo patrimonio, per dimostrare la varietà del suo ingegno. Egli era come un archivio vivente delle memorie cittadine. Chiunque a lui si rivolgesse per conoscere i precedenti di una pratica, o le cause e gli effetti di un avvenimento storico, era sicuro di avere notizie precise. Simone Manca era pittore: pochi dilettanti hanno lavorato quanto lui. I suoi saggi si distinguevano per la vivezza dei colori e per la festività dei soggetti. Come un vecchio ad 80 e 90 anni potesse dipingere a quel modo con un tocco da invidiargli l'artista più raffinato, riusciva a tutti sorprendente. Il Manca era davvero una tempra adamantina. Abile nuotatore, a settant'anni egli meravigliò tutti in Alghero percorrendo un lunghissimo tratto a nuoto. Era amantissimo della musica, non mancava mai ai concerti di Piazza d'Italia. Egli occupava sempre lo stesso posto - dinanzi al Palazzo Giordano - e nessuno avrebbe sospettato che là, confuso tra la folla, si trovasse un uomo di 90 anni e 10 mesi. Però solo da qualche settimana egli non si vedeva, dove era solito fermarsi, facendo spesso roteare il bastoncino tra le mani. Nell'autunno del 1882 festeggiava le nozze d'oro. Ai funerali della moglie, morta or sono pochi anni, volle intervenire il Manca. Al cimitero egli stesso sceglieva il punto della tomba di famiglia dove tumulare la compianta, additando pure ai suoi congiunti l'altro punto dove desiderava esser seppellito. Fino all'ultimo conservò una lucidità di mente meravigliosa. Diede le più minute disposizioni per i suoi funebri, nei quali non devono esservi né corone, né bandiere, né discorsi. Ieri sera, poco prima che spirasse, chiamò la figlia, i generi, i nipoti e strinse a tutti la mano dicendo: Io mi dispongo pel viaggio. E morì tranquillo e forte, com'era vissuto. I funebri senza pompa, in ossequio alla volontà dell'estinto, avranno luogo domani alle 10:30. La cittadinanza tutta ha appresa con rammarico la morte del simpatico vegliardo, e si unisce al cordoglio della figlia e dei generi comm. Carlo Passino e maggiore cav. Cristoforo Riccio.
Mannu Agostino (1833-1899)
(tratto da La Nuova Sardegna: 26.2.1899)
Ozieri, 23
Ieri sera cessò di vivere dopo lunga e penosa malattia il nob. Avv. Agostino
Mannu di 65 anni. La notizia della morte di quest’uomo intelligente, colto
e virtuoso produsse dolorosissima impressione in tutta la cittadinanza che lo
stimava immensamente.
Fu volontario dell’esercito nel ’48 e poi ricevitore del registro
in Oristano. Quindi ritiratosi a vita privata fu eletto consigliere comunale,
carica che coprì per ventidue anni (nel qual periodo fu anche assessore),
con zelo onestà e imparzialità, non lasciandosi mai vincere né
da ire di partito, né da quella cieca ambizione che domina spesso quelli
che son chiamati a far parte della pubblica amministrazione. In Ozieri esiste
un monumento duraturo al Mannu, che fu assai benefico, cioè l’asilo
infantile, di cui egli fu principale fondatore, donando a questo pio istituto
il locale e parecchie azioni. Dell’asilo egli fu sempre presidente, prima
effettivo e poi onorario (…)