I caratteri generali della nobiltà
di Francesco Floris
Il concetto di nobiltà:
Il numero dei nobili e dei cavalieri ereditari in Sardegna
nel corso dei secoli è stato considerevole; si è trattato di una
classe sociale che ha avuto nelle sue mani tutto il potere e quasi tutta la
poca ricchezza della Sardegna almeno fino al sec. XVIII, ed ha quindi esercitato
un peso determinante.
Pertanto, è necessario tentare di chiarire sia il significato che tale
concetto ebbe nei vari periodi della storia della Sardegna, sia di individuare
gli elementi attraverso i quali una persona veniva considerata appartenente
ad essa.
Per tentare di dare una risposta a questi due problemi, tenendo conto della
complessità della storia sarda, delle molteplici e contraddittorie esperienze
culturali fatte in tanti secoli, è necessario tenere presenti tre quadri
di riferimento: la Sardegna del periodo giudicale-pisano, genovese e catalano,
la Sardegna spagnola, la Sardegna sabauda.
Una risposta al primo problema non è facile perché una definizione
concettuale della nobiltà è stata tentata in tutti i paesi europei
e in proposito esiste una larghissima letteratura, ma questo lavoro non stato
mai fatto per la Sardegna. Per tentare una sua definizione è necessario
richiamare brevemente i concetti che di nobiltà si sono venuti delineando
nelle aree culturali spagnola, italiana e bizantina.
Nell'area spagnola, a parte le differenze regionali, di fatto la nobiltà
nasce con il formarsi dei regni cristiani nell'alto Medioevo.
Si tratta di una "nobiltà di fatto" che tale è riconosciuta
per quattro ordini di ragioni: il possesso da parte di qualche personalità
politica o militare di vaste estensioni territoriali nel periodo del ripopolamento
cristiano delle aree liberate dai mori; la partecipazione al governo o all'amministrazione
per più generazioni; i legami di vassallaggio che stabilivano rapporti
di dipendenza personale; l'aver partecipato ad imprese militari. Il possesso
di una di queste quattro condizioni distingueva rispetto al resto della popolazione.
Nel X secolo si cominciarono ad avere delle distinzioni giuridiche e si formò
la base della concezione nobiliare spagnola, il lignaggio, cioè il legame
parentale attraverso la discendenza per maschi. Contemporaneamente si distinsero
nell'ambito della nobiltà due livelli: quello dei richoshombres più
elevato e quello degli infansones o hidalgos meno elevato, accompagnati comunque
dall'elemento comune della nascita che li legava al lignaggio.
Questa strutturazione rimase costante nella storia spagnola, con una sola precisazione
che, a partire dal secolo XII, la sanzione formale della condizione nobiliare
attraverso una vera e propria sua codificazione e il riconoscimento del sovrano,
si sostituiranno alla condizione "di fatto" del periodo precedente.
In Italia si ebbe un concetto non uniforme della nobiltà a causa della
storia particolaristica del nostro paese; infatti la condizione nobiliare in
Italia non è mai derivata da una situazione "di fatto"; il
nobile è stato sempre persona legata ad una funzione pubblica il cui
esercizio nel tempo ha dato nobiltà, la quale in seguito ha avuto un
riconoscimento formale.
Questo principio è valido sia per la nobiltà così detta
di palazzo, sia per la nobiltà feudale, sia per la nobiltà civica.
Questa concezione comporta una sostanziale differenza rispetto alla Spagna:
l'appartenenza ad un lignaggio non è fattore determinante in Italia;
però la necessità di esercitare una funzione pubblica per essere
considerati nobili porta gli stessi a creare condizioni giuridiche di difesa
dei privilegi conseguiti.
Nell'area dell'impero di Bisanzio esiste una "nobiltà di fatto"
che deriva la propria condizione dal possesso del latifondo e dell'esercizio
delle cariche pubbliche o degli uffici di corte.
Esiste anche un concetto di famiglia cui si è però legati indifferentemente
per nascita da maschio o da femmina.
Nel definire il concetto di nobiltà in Sardegna
a quale di questi modelli ci dobbiamo riferire? Esiste un qualche riferimento
ad uno di essi? Oppure il concetto di nobiltà in Sardegna ha delle caratteristiche
originali rispetto ai tre proposti? Oppure, non esiste alcuna specifica definizione
di nobiltà sarda?
È da escludere, sembrerebbe, l'esistenza di una concezione della nobiltà
quale si aveva in Italia; si presume che esistesse una "nobiltà
di fatto" più vicina al modello bizantino o alto-medioevale di tipo
spagnolo. Questa nobiltà è fondata sul vincolo della nascita con
discendenza da uomo o donna; la distinzione di questo ceto dagli altri, pur
non essendo sancita giuridicamente in modo diretto, è netta ed evidente.
Con l'evoluzione della società giudicale subentrano, molto parzialmente,
nuove concezioni della nobiltà: di derivazione da modelli italiani (oligarchia
cittadina) e da modelli spagnoli. Sostanzialmente però in Sardegna è
rimasta la concezione della nobiltà come condizione di fatto che deriva
dalla nascita e dalla pubblica considerazione.
Bisogna considerare inoltre che la consapevolezza di essere una classe egemonica
ha portato i nobili ad organizzarsi socialmente e ad agire in conformità
ai propri interessi. L'analisi dell'organizzazione sociale della nobiltà
fa però cogliere una realtà che, sebbene non specifica del solo
mondo nobiliare sardo, tuttavia rappresenta un po' il motivo dominante della
sua storia. Il fatto è che, pur avendo interessi largamente coincidenti,
la nobiltà non ha mai avuto una conformazione unitaria: vi è stata
sempre una distinzione tra le diverse categorie dei nobili.
Questa distinzione che, nel corso dei secoli, ha sempre rappresentato anche
diversità di sfere di azione e di interessi, talvolta è anche
sfociata in contrasti all'interno della classe nobiliare i cui effetti hanno
riguardato poi l'evoluzione complessiva della storia sarda.
È possibile individuare delle differenze nella sua composizione derivanti
dall'incidenza di fattori diversi: economici, sociali, culturali.
Esiste infatti nell'ambito delle vicende storiche dei nobili sardi un rapporto
quasi costante tra le loro condizioni ed attività economiche ed il loro
status.
Esso si manifesta in diversi modi, sia come relazione tra il possesso di un
certo patrimonio o reddito e lo status nobiliare, sia come relazione tra una
determinata condizione economica e la possibilità di conseguire il titolo
nobiliare, sia come relazione tra il possesso del titolo nobiliare e la possibilità
di svolgere determinate attività economiche e godere di determinati privilegi
in campo economico.
Ma è possibile anche individuare una tendenza a considerare il possesso
del titolo nobiliare come condizione sociale e capace di dare privilegi a prescindere
dalla situazione economica, basata quindi su presupposti quali il titolo conferito
dal sovrano e l'esercizio per più generazioni di determinate funzioni
pubbliche o militari.
Pertanto è facilmente comprensibile come, nel tentare di avviare una
storia della nobiltà in Sardegna, non si possa non tenere conto della
mutevolezza dei fattori che hanno concorso a determinarne l'assetto interno.
In ognuno dei quadri di riferimento di cui si è detto è possibile
cogliere aspetti particolari sia nel modo di intendere il concetto dei nobiltà
che nella coscienza che i nobili avevano di se stessi. Si può inoltre
affermare che la dinamicità del fenomeno debba essere colta problematicamente
al di fuori di definizioni ancorate a generalizzazioni e schematismi.
Nell'età giudicale troviamo, oltre ai membri della famiglia del principe
(che venivano chiamati donnikellos) i liberos majorales, che spesso il giudice
chiamava fratres nostros, i liberos mannos e i liberos de caballo. Dato l'assetto
economico e sociale dei giudicati, è pensabile che la nostra attenzione
vada circoscritta ai liberos majorales ed ai liberos mannos e de caballo, che
dovettero costituire la nobiltà in età giudicale.
Sulla base degli elementi analizzati, si può facilmente riscontrare una
discreta differenziazione tra le categorie. I liberos majorales nei documenti
vengono chiamati donnos e la loro dovette essere una nobiltà di fatto,
le cui origini si perdono nel tempo. Essi, comunque, raggiunsero il loro stato
grazie al possesso del latifondo ed all'esercizio di funzioni civili e militari.
I liberos mannos erano anch'essi latifondisti, ma il loro patrimonio era notevolmente
inferiore rispetto a quello posseduto dai majorales; ai liberos de caballo invece
venivano riconosciuti dei privilegi in funzione del servizio militare a cavallo,
che erano tenuti a prestare.
È difficile stabilire con certezza se i nobili, in questo periodo, avessero
una consapevolezza della loro posizione sociale paragonabile a quella che avevano
in altre zone dell'Europa. È probabile però che ai membri delle
famiglie nobili sia stata pubblicamente attribuita una particolare considerazione,
non tanto perché essi svolgevano una determinata funzione pubblica o
perché in possesso di un rilevante patrimonio, ma in quanto discendenti
da altri liberos particolarmente benemeriti in epoche precedenti. Il fenomeno
di integrazione politica, culturale ed economica del mondo sardo nel mondo italiano,
ebbe delle conseguenze sui majorales e sui liberos mannos. Anche se il concetto
di nobiltà rimase inalterato, un nuovo elemento dovette incidere quando
nelle città sorse una classe di mercanti, che rivendicò ed ottenne
privilegi a partire dal sec. XIII.
Nel periodo giudicale non è possibile individuare procedure per il conferimento
della nobiltà; la condizione nobiliare era sentita come un dato di fatto
e si trasmetteva attraverso i legami di sangue e di parentela.
I vincoli di parentela, molto spesso, erano la forma migliore per la tutela
di quei nobili decaduti economicamente; infatti, nei documenti giudicali, è
possibile trovare nobili di modestissime condizioni economiche che, grazie ai
vincoli di parentela, riescono a conservare la loro condizione sociale.
L'assetto della nobiltà nel periodo che va dall'arrivo degli Aragonesi
agli inizi del sec. XV è più complesso.
In tutti i territori non direttamente soggetti al re d'Aragona i nobili sardi
non videro mutare la loro condizione e le loro posizioni. La situazione fu subito
diversa nel territorio del giudicato di Caglairi ed in quello di Gallura, dove
possiamo vedere che accanto ad alcuni grandi signori pisani, come i Della Gherardesca,
i quali si affrettarono a riconoscere la supremazia feudale dei re d'Aragona,
i nuovi venuti instaurarono il sistema di feudalesimo militare. Negli stessi
territori, comunque, esiste anche qualche traccia del permanere delle antiche
famigli del periodo pre-pisano: così si hanno frequenti richiami all'esistenza
e alla tutela dei privilegi dei liberos de caballo; vi è, per esempio,
la famiglia dei De Athene, che presta omaggio feudale e si inserisce nel nuovo
sistema.
Pertanto nel sec. XIV, per comprendere l'assetto della nobiltà, bisogna
tentare di capire quale funzione abbia svolto la vecchia nobiltà locale
e che tipo di presenza abbia esercitato la nascente nobiltà aragonese.
La soluzione del primo dei problemi non è facile, si può comunque
credere che la nobiltà di origine giudicale, pur privata della possibilità
di esercitare funzioni pubbliche, abbia continuato a mantenere una discreta
condizione economica.
Gli Aragonesi tuttavia tentarono di legarsi con alcune di queste famiglie, sia
riconoscendo come feudi i loro antichi domini latifondistici, sia concedendo
dei feudi a quelle famiglie che si erano schierate dalla loro parte. Di certo
però, sulle famiglie dell'antica nobiltà, finì per influire
negativamente lo stato pressoché continuo di guerra, che faceva passare
i territori della Sardegna dall'uno all'altro dei contendenti, con grande frequenza,
e che costringeva a subire le conseguenze di una costante violenza.
Il secondo dei problemi è anch'esso di ardua soluzione: la nascente feudalità
catalana, circoscritta peraltro a determinate zone dell'isola, vive in una condizione
precaria, derivante dai limiti dell'investitura feudale e dalla guerra. In questa
fase del processo di stabilizzazione della conquista, si ritiene prudente tenere
ben ferma questa situazione per cercare di comprendere quale fu la funzione
della feudalità e la sua collocazione sociale.
Sono feudatari che svolgono funzioni militari ed amministrative, i cui privilegi
sono assai limitati, mentre hanno un notevole numero di doveri verso la corona.
È vero peraltro che alcuni di loro sono nobili, ma questa loro condizione
deriva dai regni dai quali provengono e non dalla situazione nella quale si
sono venuti a trovare in Sardegna.
Nella seconda metà del secolo, però, cominciano ad essere rilasciati
dai sovrani aragonesi i primi riconoscimenti nobiliari e i primi titoli: il
cavalierato ereditario, che viene concesso ad alcuni abitanti di Cagliari e
ad alcuni sardi fedeli, nonché le prime titolature feudali.
La convocazione del primo parlamento nel 1355, la quale sono invitati i feudatari,
è da vedere come l'atto di nascita della nuova nobiltà sardo-catalana.
Il quadro cambia radicalmente nel sec. XV ed il concetto di nobiltà in
questo periodo si trasforma per il concorrere di fattori differenti.
Si possono individuare in questo secolo tre categorie di nobili: i generosi,
i cavalieri ed i signori feudali. I diplomi di generosità sono dati ad
un numero limitato di famiglie, prevalentemente di Sassari e di Bosa, soprattutto
nella prima metà del sec. XV. L'esame del contenuto di questi diplomi,
che conferivano una serie di privilegi piuttosto ampi, ci permette di fare alcune
considerazioni.
Questo tipo di diploma, che venne usato soprattutto da Alfonso V, viene dato
ai membri di famiglie di grande prestigio economico o di grande tradizione,
che si fossero dimostrate in qualche modo legate al re. Pertanto sono da considerare
come la sanzione di una situazione di fatto, antica e consolidata; i generosi
sassaresi e bosani di questo periodo sono tutti personaggi che hanno aiutato
militarmente o finanziariamente la corona, sia partecipando alle guerre del
Napoletano, in Sardegna ed in Corsica, sia arrendando le gabelle e le dogane.
Molti di loro appartengono a famiglie antiche, già potenti nel periodo
giudicale, e dispongono di rilevanti capitali. Il conferimento della generosità
li pone in una condizione di notevole privilegio, tanto che, nella seconda metà
del secolo, gli stessi re cercano di ridimensionare e ridurre l'estensione di
detti privilegi.
I feudatari del sec. XV sono anch'essi una realtà complessa e molto diversa
da quella dei feudatari militari del secolo precedente. Si possono individuare
tre differenti tipi di feudatari:
a) i feudatari discendenti dai primi conquistatori, in numero piuttosto limitato.
Essi hanno perso le caratteristiche di amministratori militari dei territori
conquistati e sono divenuti una vera e propria aristocrazia feudale, che tenta
di allargare i propri privilegi e di sostituirsi alla autorità reale
nel governo dell'isola. Nel corso del secolo molte di queste famiglie ebbero
delle crisi finanziarie e persero parte del loro prestigio e talvolta i feudi
a favore di una feudalità nuova, che proveniva dall'emergente ceto mercantile
delle città e da alcuni grossi funzionari reali. Fondatori di questa
nuova feudalità possono considerarsi Ludovico Aragall, Pietro Bellit,
Pietro Aymerich e molti altri;
b) i feudatari discendenti dalle famiglie dei generosi sassaresi e bosani che
ottennero i feudi grazie alla grande ricchezza e al loro impegno politico e
militare. Essi diedero vita ad una aristocrazia feudale, che si integrò
perfettamente con quella di origine catalana e ne assunse la connotazione sociale
e le aspirazioni politiche;
c) i feudatari non nobili, espressi dalla classe mercantile cagliaritana e algherese,
che usarono il feudo come investimento, ma che progressivamente andarono assumendo
le caratteristiche degli altri feudatari.
La categoria dei cavalieri ereditari, nel sec. XV; ha dei privilegi molto limitati;
si tratta prevalentemente di amministratori, militari e possessori di uffici.
A questa categoria, nella seconda metà del secolo, furono equiparati
i generosi, man mano che i re riuscirono a limitarne i privilegi.
Con il sec. XVI inizia un periodo dalle caratteristiche abbastanza uniformi,
che si conserveranno fino alla caduta del dominio spagnolo e che, per certi
aspetti, imprime alla nobiltà sarda alcuni segni che manterrà
anche successivamente. In questo lunghissimo periodo si formano tre categorie
di nobili, che costituiscono come una gerarchia: i nobili feudali, i nobili
non titoli ed i cavalieri ereditari. I nobili feudali sono un corpo abbastanza
omogeneo che nasce dalla fusione dei tre tipi di feudatari individuati precedentemente.
A partire dal sec. XVI poi comincia a determinarsi il fenomeno dell'assenza
dalla Sardegna dei signori feudali, proprietari dei feudi più estesi.
La classe feudale però è accomunata nella difesa dei propri privilegi
e nel tentativo di instaurare un rapporto speciale con i sovrani rispetto alle
altre classi sociali. Seppe trasformarsi in un'aristocrazia particolarmente
consapevole e gelosa delle proprie prerogative, cercò di assumere una
posizione di supremazia nei confronti degli altri nobili e nei confronti della
borghesia urbana. L'evoluzione della classe feudale e la perdita di potere della
borghesia urbana sono anche il segno evidente dell'involuzione della struttura
economica della società sarda in quel tempo. Il consolidarsi del sistema
feudale segnò la fine dell'economia mercantile e contribuisce a spiegare
le ragioni dell'avvento e della fortuna delle comunità genovesi in Sardegna.
La classe feudale tuttavia, nel corso del sec. XVII, seppe esprimere un interessante
tendenza a raggiungere l'autonomia politica, tendenza che culminò negli
episodi Castelvì e Camarassa.
I nobili non feudali, che di solito avevano anche il riconoscimento del cavalierato
ereditario, erano una categoria che godeva di un prestigio sociale e politico
inferiore. Le famiglie della nobiltà non feudale e quelle dei cavalieri
ereditari spesso possedevano le signorie delle scrivanie e i loro membri erano
amministratori o militari. Anche queste famiglie tenevano molto alle loro prerogative
e riuscirono ad ottenere garanzie dal potere reale ed ulteriori privilegi. Infatti
il loro maggiore problema era quello di poter ricoprire gli incarichi amministrativi,
giudiziari e militari, fornendo al re i loro servizi senza la concorrenza di
altri nobili o altre categorie sociali.
Fino alla prima metà del sec. XVII essi riuscirono a conseguire questo
risultato sia nei confronti dei nobili feudali, sia nei confronti delle altre
classi sociali, che non avevano sufficiente peso politico per ambirvi. Pericolosi
concorrenti si rivelarono però i nobili forestieri, i quali, se non fossero
arrivati in Sardegna con la nomina reale a qualche ufficio, ben difficilmente
avrebbero potuto ambire a ricoprirlo, senza il riconoscimento della loro nobiltà
nell'isola. I nobili non feudali riuscirono così a formare una vera e
propria aristocrazia di funzionari, di militari, che finì per legarsi
alla feudalità condividendone le aspirazioni.
I cavalieri ereditari rappresentavano infine la categoria nobiliare più
modesta ma non per questo meno capace di esercitare una propria influenza. Essi
tesero ad identificarsi sempre più con i nobili non feudali, e in pratica,
nel corso del sec. XVII vi riuscirono, anche per la funzione che svolgevano
all'interno dello stamento militare. Per certi aspetti questa vasta categoria
di persone può essere paragonata a quella degli hidalgos spagnoli; vanno
però fatte alcune distinzioni sostanziali in quanto la hidalguia era
vissuta più come una condizione spirituale, che imponeva obblighi nella
condotta della vita, mentre il cavaliere ereditario sardo sentiva invece la
propria condizione come fonte di privilegio. Semmai una certa affinità
con gli hidalgos spagnoli si può riscontrare nel modo di condurre la
vita e nel manifestare la propria condizione.
Con l'avvento dei Savoia le caratteristiche della nobiltà cambiano; i
nobili perdono la prerogativa di riunirsi in parlamento, infatti lo stamento
militare non fu mai più convocato dalla nuova dinastia. L'aristocrazia
così non poté più influire come corpo sociale sulla politica
che il potere centrale andava attuando; la perdita di questa prerogativa però
fu largamente compensata dal sostegno e dalla particolare considerazione che
i re sabaudi mostrarono nei loro confronti. Infatti i Savoia cercarono con tutti
i mezzi di accattivarsi il consenso dei nobili per consolidare la loro azione
di governo nell'isola. Spesso ampliarono la titolatura dei nobili feudali esistenti
e cercarono di creare altre famiglie feudali di origine non spagnola. Questo
atteggiamento nei confronti delle famiglie feudali non mutò praticamente
fino al sec. XIX, quando fu attuato il programma di abolizione dei feudi, ma
anche in questa circostanza ai feudatari fu riservato un trattamento di favore.
Analoghe attenzioni i Savoia usarono nei confronti della classe dei nobili non
feudali e nei confronti dei cavalieri ereditari.
Nel sec. XIX, specialmente dopo l'abolizione dei feudi, la condizione della
nobiltà cambiò; infatti i nobili feudali avevano perso le loro
prerogative, ma avevano mantenuto la posizione sociale che consentiva loro,
almeno fino agli inizi del sec. XX, di svolgere ancora una funzione rilevante
nell'ambito della società sarda.
I nobili non feudali e i cavalieri ereditari finirono per essere assimilati
sempre più alla borghesia, anche se talvolta l'antichità del nome
o il possesso del privilegio continuarono a favorirli.
La distribuzione territoriale della nobiltà:
Uguale complessità presenta il problema dell'individuazione della distribuzione della classe nobile in rapporto al territorio. In effetti la storia territoriale della nobiltà sarda può essere affrontata solo se si tiene conto del fatto che le diverse città, i singoli feudi, le singole contrade hanno avuto spesso vicende particolari.
Cagliari. E' possibile
seguire la storia delle famiglie nobili di Cagliari a partire dal sec. XIV,
in quanto delle famiglie della Cagliari giudicale e pisana poco ci è
dato sapere.
Complessivamente si tratta di circa 210 famiglie originarie della Catalogna,
dell'Aragona, della Liguria, di Valenza, delle Baleari, della Toscana, della
Provenza, dell'Italia meridionale e della Sicilia, della Lombardia, del Piemonte
e di origine locale, la cui presenza a Cagliari dura poco o è riscontrabile
da non più di due secoli e mezzo con pochissime eccezioni (Sanjust, Cao,
Carbonell, Canelles, Aymerich e alcune altre).
Questi dati confermano l'impressione che Cagliari sia stata sempre considerata
o come punto d'arrivo per coloro i quali provenivano dall'interno, o come punto
di transito per famiglie di funzionari. Delle ducento dieci famiglie esaminate
solo sessantaquattro sono attualmente presenti a Cagliari e di queste solo quattro
hanno un'antichità che può risalire al sec. XIV.
Tenendo conto di quanto già detto nelle pagine precedenti, a Cagliari
nei vari periodi considerati possiamo individuare diverse categorie di famiglie
che, a diverso titolo, vengono chiamate nobili: una classe di feudatari che
non hanno alcun titolo cavalleresco o nobiliare ma che comunque vengono ammessi
allo stamento militare in quanto possessori di feudi; le famiglie di nobili
in possesso di feudi; le famiglie di nobili non feudali; le famiglie dei cavalieri
ereditari; le famiglie forestiere già nobili al loro arrivo a Cagliari.
Anche l'esame delle origini sociali della nobiltà cagliaritana ci fa
comprendere meglio quanto siamo andati precedentemente affermando.
In particolare è possibile fare una classificazione in base alla condizione
originaria delle stesse: in prevalenza si tratta di famiglie che esercitavano
attività mercantili; di famiglie di burocrati; di professionisti; di
militari; alcune famiglie esercitavano tradizionalmente la funzione di consigliere
del Castello; vi sono infine le famiglie dei proprietari delle scrivanie, degli
amministratori feudali, dei magistrati e degli imprenditori nel settore delle
tonnare, delle peschiere e del sale.
Tutti questi elementi possono essere coordinati in una prospettiva che chiarisce
la complessa struttura della nobiltà e la funzione che ha avuto nella
storia della città.
La nobiltà cagliaritana appare come una classe poco omogenea; le sue
caratteristiche, per un certo periodo, non sono ben definite nei confronti di
quella borghesia che, almeno fino al sec. XVI, ha svolto una funzione altrettanto
importante nella storia della città. Cagliari infatti era da sempre città
mercantile, sede di traffici di differente natura, rivolti all'intero bacino
del Mediterraneo, sede naturale di traffici da e per l'interno dell'isola.
Questa caratteristica spiega perché le leve del potere politico ed amministrativo
siano rimaste per lungo tempo in mano alla borghesia mercantile che nel corso
dei secoli si è data strumenti amministrativi, tesi a garantire il suo
primato.
Sulla base di queste considerazioni sembrerebbe pertanto di poter affermare
che tra borghesia e nobiltà, a Cagliari, ci sia stata rivalità,
ma mai una separazione netta.
I borghesi ed i nobili di Cagliari, infatti, tendevano ad organizzare la loro
azione politica e amministrativa in difesa dei propri reciproci privilegi, che
spesso più che essere opposti coincidevano. Nel sec. XV due sono gli
elementi che confermano queste valutazioni: tra le famiglie nobili cagliaritane
esiste un buon numero di feudatari mercanti, le origini di cinquantacinque famiglie
nobili sono da ricercare nel ceto mercantile.
La situazione muta a partire dalla seconda metà del sec. XVI, quando
i feudatari mercanti si preoccupano di ottenere riconoscimenti nobiliari, più
che altro per godere di alcuni privilegi di carattere fiscale, che in quegli
anni i nobili avevano.
Nella trasformazione di questa oligarchia mercantile in classe feudale e nobiliare
è però probabile che abbia giocato anche un fattore riscontrabile
presso altre società contemporanee, e cioè la crisi dell'economia
mercantile nel mondo mediterraneo.
I mercanti, acquistando feudi o prestando soldi perché altri li acquistassero,
finirono per immobilizzare i propri capitali in una forma di investimento che
ritenevano meno rischiosa.
Nel sec. XVI le attività commerciali delle famiglie che avevano acquistato
feudi divengono sempre più rare; molti rappresentanti si dedicano o al
prestito di somme di denaro con tassi da usurai, o a speculazioni sui feudi
su larga scala, del tipo di quella che, nel 1543, fu posta in essere da un consorzio
capeggiato da Salvatore Aymerich, che acquistò tutti i feudi degli Erill
per rivenderli, l'anno successivo, a diverse famiglie.
E' indubbio inoltre che questo complesso di fattori abbia influito nelle vicende
amministrative del Castello di Cagliari; questo è soprattutto possibile
vederlo nella prima metà del sec. XVI, quando ai nobili, con la sola
eccezione per i cavalieri, fu impedito di entrare a far parte del corpo dei
consiglieri. Sembrerebbe questa una vittoria della borghesia cagliaritana e
insieme la definizione delle sfere di potere della borghesia e della nobiltà
ma in effetti non fu così.
L'autonomia del Castello fu enormemente ridotta nel quadro di quella modernizzazione
dell'apparato amministrativo che il potere reale andava attuando via via che
lo stato assoluto prendeva piede in Spagna.
Le grandi famiglie borghesi, oramai divenute nobili e spesso feudatarie, non
avevano più interesse a seguire le vicende amministrative della comunità
del Castello, la cui importanza economica era tramontata con il dissolversi
del commercio aragonese nel Mediterraneo.
Ma il commercio a Cagliari non cessò, passò semplicemente di mano
e a partire dalla seconda metà del sec. XVI si spostò dal Castello
al quartiere della Marina.
I nuovi protagonisti del commercio cagliaritano furono i genovesi ed i liguri
in genere; essi vennero in gran numero e, approfittando delle esigenze che imponeva
la politica di Filippo II nei confronti dei Turchi, fornirono tutto ciò
che le nuove esigenze militari rendevano necessario a Cagliari.
Ora questi liguri si impadronirono anche delle correnti di traffico interno
e dominarono il commercio dei grani, del formaggio, dei sali, della carne e
del vino; si formò così una nuova oligarchia mercantile che aveva
gli stessi problemi della precedente.
La società cagliaritana tuttavia, pur con il nuovo apporto, non si evolvette
in senso borghese e non seppe esprimere un'economia moderna. Nella nuova colonia
ligure emersero alcune famiglie che, ben presto, entro la prima metà
del sec. XVII, sentirono la necessità di acquistare privilegi nobiliari.
Essi da prima furono indotti a fare questa scelta per avere dei privilegi di
carattere fiscale e per sviluppare meglio i loro commercio, così ad esempio
fecero i Martini ed i Natter, che controllavano il commercio del grano, o gli
Asquer, che controllavano quello della cera e dei formaggi.
Successivamente questa classe di borghesi gentiluomini finì per modificare
il proprio ruolo sociale ed alcune di quelle famiglie finirono per acquistare
a loro volta dei feudi e per staccarsi dal commercio, ma il rapporto tra commercio
e acquisizione di privilegi nobiliari a Cagliari non venne meno.
Con il passaggio della Sardegna ai Savoia si stabilirono a Cagliari colonie
di siciliani e napoletani, accanto ad un folto gruppo di nuovi venuti genovesi,
che nella prima metà del sec. XVIII si impadronirono dei traffici tradizionali
e delle nuove imprese rappresentate dalle tonnare e dalle peschiere. Ancora
una volta dalla classe mercantile emersero alcune famiglie che finirono per
acquistare titoli nobiliari.
A Cagliari ottennero il titolo di nobiltà anche altre famiglie che non
erano legate all'attività commerciale. Cagliari era infatti la capitale
del regno di Sardegna, sede dei principali uffici amministrativi, giudiziari
e militari.
Si può dire che accanto alla vocazione mercantile quella burocratica-amministrativa
sia, da sempre, la seconda delle vocazioni di Cagliari; a questa piccola capitale,
in ogni tempo, vennero dalla Catalogna, dall'Aragona, da Valenza e dall'interno
della Sardegna e più tardi dall'Italia peninsulare, giovani ansiosi di
inserirsi in una delle amministrazioni e di fare fortuna raggiungendo un importante
ufficio.
Gli uffici amministrativi talvolta furono affidati a persone competenti, ma
spesso, a partire dall'inizio del sec. XVI, a persone corrotte e incompetenti.
I principali uffici, le principali cariche militari e giudiziarie furono sempre
più spesso oggetto di compravendita ed alcune di esse, ben presto, divennero
ereditarie. Il fenomeno raggiunse il massimo dell'estensione nel sec. XVII,
quando tutti gli uffici pubblici, anche quelli di minore rilevanza, finirono
per diventare ereditari.
Furono queste le famiglie cui diedero origine o cadetti squattrinati di famiglie
spagnole o giovani e brillanti laureati pieni di speranza o giovani provinciali
che formarono un'altra consistente fetta della classe nobiliare cagliaritana.
Alcune di queste famiglie, molte volte con l'uso spregiudicato degli uffici
che possedevano, riuscirono ad accumulare ingenti patrimoni e ad acquistare
feudi.
Questo sistema di nobilitazione durò fino all'avvento dei Savoia che
tentarono, e in parte riuscirono, ad eliminare il sistema dell'ereditarietà
degli uffici pubblici rompendo il monopolio delle famiglie che li possedevano.
Ma il rapporto tra burocrazia e nobiltà non si spezzò ugualmente
in quanto anche sotto la nuova dinastia, per quanto il criterio dell'ereditarietà
dell'ufficio fosse stato posto in disuso, finì per affermarsi la tendenza
a nobilitare coloro che ricoprivano le più alte cariche amministrative
e i più alti uffici della magistratura e dell'esercito.
Si possono ricordare il ramo non feudale degli Aragall, che ebbe l'ufficio di
governatore del regno di Cagliari e di Gallura che consentiva anche di esercitare
le funzioni del viceré in caso di assenza o di morte del titolare; la
famiglia dei Ram, che nel sec. XVI ebbe l'ufficio di maestro razionale e quello
di saliniere; la famiglia dei Fabra, che ebbe l'ufficio di procuratore reale
che trasmise alla famiglia de Ixar la quale, a sua volta, lo fece pervenire
ai Castelvì.
Cagliari capitale, oltre che amministratori, richiamava anche coloro che esercitavano
altre attività alla burocrazia strettamente connesse; in particolare
era sede di buona parte di quegli uffici che erano preposti alla certificazione
degli atti e al rilascio di loro copie autentiche o alla loro conservazione.
Anche questi uffici erano tenuti ereditariamente da alcune famiglie; per lo
più si trattava di famiglie di notai che avevano fatto fortuna e che
spesso, a loro volta, subappaltavano l'ufficio ricavandone utili consistenti.
Molte di queste dinastie di notai finirono per ottenere riconoscimenti nobiliari
e formarono così un'altra categoria di nobili abbastanza potente i cui
interessi spesso trascendevano la stessa Cagliari.
E' l'esempio dei Garcet, dei Rossellò, del ramo cagliaritano degli Esgrecho.
Un'altra categoria della classe nobiliare di Cagliari è costituita dai
cavalieri ereditari; si tratta di un discreto numero di famiglie in gran parte
di origini sarde che cominciarono ad emergere nel sec. XVII.
L'analisi delle provenienze ci permette di individuare queste famiglie prevalentemente
tra quelle degli inurbati che, dopo una o due generazioni, riuscivano a raggiungere
una discreta posizione economica o ad ottenere uffici pubblici o a svolgere
qualche funzione pubblica e a determinare così le condizioni per la concessione
del privilegio.
Tipico l'esempio dei Melis Esquirro che nel giro di due generazioni nel sec.
XVII ottennero i privilegi; dei Falqui nel sec. XVIII.
Tra queste famiglie però, poche riuscirono a conservare la posizione
sociale conseguita; nel giro di alcune generazioni generalmente andarono decadendo
e, in qualche caso, persero persino la memoria del privilegio concesso ai loro
antenati.
Sassari. La nobiltà
di Sassari ha avuto caratteristiche molto diverse da quelle della nobiltà
cagliaritana. Infatti essa presenta una minore mobilità e una antichità
maggiore di quella di Cagliari e le sue origini sono prevalentemente locali;
un altro carattere della nobiltà sassarese è quello della maggiore
durata delle famiglie nel tempo.
Se a Cagliari la storia delle famiglie nobili può iniziare solo a partire
dal sec. XIV, a Sassari inizia a partire dal sec. XII, in pratica dalla fondazione
della città.
Delle 139 famiglie che abbiamo potuto individuare, ben ventuno risalgono ad
epoca precedente al sec. XIV ed alcune di esse, chiaramente, discendono da quelle
dei nobili del periodo giudicale.
Ottantuno sono di origine prettamente sassarese, mentre molto poche sono le
famiglie di origine spagnola, genovese, corsa etc.
Molto diversa rispetto a Cagliari è anche l'origine sociale della nobiltà
sassarese; la maggiore fonte di nobiltà infatti è legata a tre
tipi di attività: il possesso di fiorenti aziende agricole o di altrettanto
floride attività commerciali, l'esercizio continuato delle magistrature
civiche e quello delle libere professioni.
Vi sono poi famiglie che devono la concessione della loro nobiltà all'esercizio
di uffici burocratici pubblici, ad attività militari ed alla magistratura.
A Sassari non si costituì la categoria dei signori feudali non nobili
come a Cagliari, ma si formò, unica peraltro nel suo genere, la categoria
dei generosi, della quale fecero parte per la quasi totalità anche le
famiglie che possedevano dei feudi.
Vi sono poi le famiglie dei cavalieri ereditari, che hanno avuto anche la nobiltà,
quelle dei semplici cavalieri, quelle già nobili al loro arrivo a Sassari,
etc.
Sembra però che la categoria più tipica della nobiltà sassarese,
almeno nel periodo di trapasso del Medioevo, sia costituita dai generosi.
La sua esistenza si giustifica col fatto che l'evoluzione determinatasi con
la fine del giudicato, la costituzione del comune autonomo, l'avvento degli
Aragonesi, si sia svolta consentendo ad un'oligarchia di mercanti e proprietari
terrieri di mantenere saldamente nelle proprie mani il potere, dapprima costituendo
il libero comune e poi contrattando, all'arrivo degli Aragonesi, la dedizione
della città alla nuova dinastia.
Questa classe dirigente non solo contrattò l'ingresso di Sassari nel
regno di Aragona, ma continuò a mantenere per tutto il sec. XIV la sua
posizione e ad allargare i propri traffici e le proprie iniziative politiche.
Si spiega così perché Sassari sia stata in grado di ribellarsi
agli Aragonesi subito dopo la sua dedizione e di contrattare la sua nuova dedizione.
Gli Aragonesi tentarono di infrangere la potenza dell'oligarchia, la costruzione
del castello ne è un segno, ma sostanzialmente questa rimase e si consolidò
e riuscendo a tornare in città anche dopo che gli stessi l'avevano scacciata
per tentare un ripopolamento della città con catalani e valenzani.
D'altra parte i re d'Aragona avevano bisogno di questa oligarchia, ne ebbero
bisogno nel sec. XIV per contrastare in qualche modo le operazioni di guerra,
che, quasi in continuazione, scatenavano i Doria, i Malaspina e gli Arborea
nel nord dell'isola; ne ebbero bisogno nel sec. XV, anche finanziariamente.
Infatti le ingenti somme, che spesso vediamo prestare al re d'Aragona da alcuni
membri di queste famiglie di generosi, servirono non poco a sorreggere la traballante
presenza degli Aragonesi nel nord dell'isola.
Nel sec. XV poi queste famiglie furono di fondamentale aiuto all'azione di Alfonso
V, non solo in Sardegna, ma anche nel Napoletano.
I diplomi di generosità, in effetti, sancirono ufficialmente uno stato
di fatto che durava da prima dell'arrivo degli Aragonesi, e diedero all'oligarchia
sassarese quella condizione di prestigio che le spettava anche nel nuovo regno.
Il diploma di generosità non fu semplicemente un riconoscimento onorifico
inferiore a quello del cavalierato ereditario e della nobiltà, ma pose
gli insigniti ad un livello superiore, che dava maggiori privilegi ed immunità.
Queste considerazioni trovano conferma nel paragonare il modo di procedere dei
re d'Aragona nel Napoletano, dove analoghi diplomi di generosità vennero
dati a membri di grandi famiglie napoletane, che certamente erano nobili ben
prima del sec. XV. Va inoltre notato che la condizione nella quale il privilegio
di generosità poneva gli insigniti era tale che in pratica essi e le
loro famiglie si trovavano in una posizione assai diversa da quella delle altre
categorie di nobili, tanto è vero che i re, in un secondo tempo, finirono
per tentare in più occasioni di limitare questi privilegi e vi riuscirono.
Accanto alla categoria di generosi, i cui membri peraltro furono spesso investiti
di importanti magistrature civiche, è da porre la categoria dei nobili
cittadini, che potrebbe essere definita nobiltà municipale. Si tratta
di famiglie di grande antichità; alcune di esse furono insignite della
generosità, o del cavalierato ereditario e della nobiltà o del
semplice cavalierato ereditario o di un riconoscimento derivante dall'ammissione
allo stamento militare ed esercitarono una notevole influenza nella vita di
Sassari, ricoprendo magistrature civiche e influendo sulla vita politico-amministrativa
della città. I nomi più noti sono quelli dei Viguino, dei Campo,
dei Carvia, degli Esgrecho, dei Fundoni, dei De Aquena, dei Figo, degli Scarpa,
dei Deliperi e molti altri.
È questo un fenomeno molto interessante, che contribuisce a differenziare
notevolmente la funzione della borghesia urbana di Sassari rispetto a quella
di Cagliari e a chiarire anche il rapporto che si instaurò tra ceti sociali
e cariche amministrative nelle due città. Si può affermare che
a Sassari il magistrato civico fu legato alle vicende della classe nobile; non
si creò quella frattura che si creò invece a Cagliari e le funzioni
economiche tradizionali della borghesia, in effetti, furono esplicate principalmente
dalla nobiltà o da famiglie che si nobilitarono esercitando le magistrature
civiche. Sassari mantenne il privilegio di avere come podestà un sassarese
che era sempre un nobile: dei giurati del consiglio minore, il capo giurato
era sempre un nobile (non venivano eletti però i feudatari), gli altri
quattro provenivano tutti dalle varie componenti dell'oligarchia.
Un altro aspetto peculiare della nobiltà sassarese è rappresentato
dal fatto che le cariche amministrative, che spesso venivano attribuite a forestieri,
finirono per consentire a molti di essi di fermarsi definitivamente nella città
nella quale spesso trapiantavano la famiglia.
Si spiega così il fatto che le non molte famiglie della nobiltà
sassarese di origine non locale finirono per ruotare intorno agli interessi
delle famiglie dell'oligarchia e spesso per essere da essa assimilate ed integrate,
come ben possono dimostrare le vicende dei rami sassaresi dei Castelvì,
dei De Sena, ed in tempi più recenti dei Martinez e dei Ravaneda.
Oristano: Anche la
nobiltà di Oristano ha caratteristiche sue proprie, legate alle vicende
storiche di questa città. Si tratta complessivamente di circa trentuno
famiglie, di cui venticinque originarie dell'Oristanese.
Venti di queste famiglie hanno origini che risalgono al periodo che va dal sec.
XII al sec. XV, le altre hanno origini nel periodo compreso tra il sec. XVI
ed il sec. XIX; nello stesso periodo è collocabile la presenza delle
poche famiglie di origine non oristanese.
Il nucleo più consistente è costituito quindi da famiglie legate
in qualche modo alla storia del giudicato d'Arborea: alcune sono discendenti
da famiglie dei majorales già in posizione di rilievo nel periodo giudicale,
come ad esempio gli Atzori, gli Enna o i Deana; altre sono famiglie di nobiltà
minore legate all'ultimo periodo della vicenda dello stato arborense come i
Ponti, i Vinchi, i Falchi, i Mameli. Alcune di queste famiglie si estinsero
abbastanza rapidamente; questa rapida estinzione non è escludibile che
sia legata al "bagno di sangue" che Eleonora d'Arborea fece subito
dopo l'uccisione di suo padre, Ugone III, quando prese in mano il giudicato.
Ma le famiglie che sopravvissero al crollo del giudicato, nel sec. XV, con la
costituzione del marchesato di Oristano, cominciarono a vivere in pace con i
nuovi venuti.
Finché durò il marchesato di Oristano, i nobili oristanesi dovettero
tuttavia avere ben pochi rapporti diretti con gli Aragonesi e solo poche famiglie
come i Deana, i Turrigiti e poche altre, nel 1410, ebbero da loro investiture
feudali, mentre altri ebbero rapporti d'affari. Pochi decenni dopo, comunque,
quasi tutti i feudi concessi a queste famiglie finirono in possesso del marchese
di Oristano, che nella prima metà del sec. XV riacquistò tutto
il territorio che aveva formato l'antico giudicato, accresciuto dalla Marmilla
e da Parte Valenza. Le altre famiglie, nel sec. XV, continuarono a mantenere
in Oristano una posizione eminente e ad essere legate strettamente al marchese;
per tutte queste famiglie il trauma venne con la guerra di Leonardo Alagon contro
Nicolò Carroz. La maggior parte, infatti, subì gli effetti rovinosi
della guerra e seguì le sorti del marchesato. Solo poche poterono parzialmente
sfuggire a questo processo di emarginazione che si manifestò in due diverse
maniere: il lento processo di esclusione dall'esercizio delle cariche pubbliche
ed amministrative e le calamità naturali.
Dopo la caduta di Leonardo Alagon, infatti, gli uffici pubblici furono affidati
a funzionari reali, le cui famiglie, solo in pochi casi, si fermarono ad Oristano:
nello stesso periodo una serie di avversità naturali ridussero Oristano
a poco più di un paese con infiniti problemi della più disparata
natura.
Tuttavia dai documenti e dalle ammissioni allo stamento militare è possibile
rilevare che queste famiglie continuarono ad operare con grande dignità
e alcune nel sec. XVII riuscirono ad ottenere il cavalierato ereditario e la
nobiltà, che finì per essere più che altro un riconoscimento
di antichi privilegi e per sancire ufficialmente una situazione preesistente,
così avvenne per i Trogo, per gli Aresu, gli Atzori ed alcune altre famiglie.
Le basi economiche della nobiltà oristanese furono prevalentemente agricole;
alcune famiglie ebbero vasti patrimoni immobiliari, come ad esempio gli Enna
ed i Paderi, che alla fine del sec. XVIII, sulla base dei loro possedimenti,
chiesero il titolo di conte. Altre invece ebbero già in età giudicale
dei diritti quasi feudali su territori dei Campidani, come i Falchi, che possedevano
i salti di Nuraxi Nieddu, ed i Mameli a Tramatza.
L'esistenza di queste condizioni spiega perché nella carta de Logu si
parla di "Villas affeadas" e di "fideles qui ant in Villas in
feu", cioè di "ville infeudate" o di "fedeli che
hanno ville in feudo".
Le attività del porto furono tradizionale appannaggio dei Moncada; solo
più tardi, a partire dal sec. XVIII, le peschiere e gli stagni videro
le famiglie oristanesi interessate al loro sfruttamento e all'utilizzazione
"capitalistica" delle loro ricchezze.
Notevole importanza economica ebbe anche la signoria della scrivania di Oristano,
che passò ereditariamente, a partire dal sec. XVI, nelle mani dei Sanna,
dei Pira, degli Atzori, consentendo a queste famiglie non indifferenti utili
e la conferma della loro condizione nobiliare.
L'importanza economica della signoria della scrivania è probabilmente
legata alla struttura fondiaria dei Campidani, per cui i possessori di tale
ufficio traggono dalle attività di scrittura e di registrazione notevoli
guadagni.
È questo un principio che nell'Oristanese è individuabile anche
nel sec. XVIII con le signorie della tappa di insinuazione che fece le fortune
dei Nurra e dei Flores.
Alghero: La storia
nobiliare di Alghero inizia dopo il 1354, quando cioè la città
fu popolata da catalani e valenzani in seguito alla spedizione di Pietro IV.
Si tratta di sessantasei famiglie che provengono prevalentemente dalla Catalogna
o dalla Liguria o da altre parti dalla Spagna. Sotto certi aspetti la storia
nobiliare di Alghero presenta caratteristiche simili a quella di Cagliari; in
effetti le due città hanno avuto un nucleo originale di abitanti catalani
nel sec. XIV, si sono sviluppate in entrambe notevoli attività commerciali
ed amministrative, in tutte e due l'integrazione dei sardi è avvenuta
con molta difficoltà.
Tuttavia, al di là di questi punti di convergenza, è possibile
affermare che la storia nobiliare di Alghero ha caratteristiche sue ben precise.
Il ceto nobiliare è molto antico, le notizie di ben venticinque famiglie
risalgono infatti al periodo posto tra il sec. XIV ed il sec. XVI.
Il carattere di una maggiore continuità è probabilmente acquisito
dalla stabilità di colonia di popolamento che Alghero ebbe appena conquistata.
L'acquisto dei feudi, spesso, è legato alle imprese militari dei rappresentanti
di alcune famiglie catalane che, stabilitesi ad Alghero, aiutarono i Re d'Aragona
nella loro opera di conquista e di consolidamento del loro dominio (Ferret,
Boyl, Abella, De Ferraria, Sellent, etc.).
La difesa di Alghero dal visconte di Narbona e l'assedio del castello di Monteleone
furono gli eventi dai quali queste famiglie trassero l'occasione per costruire
le loro fortune feudali. Queste famiglie sicuramente sostennero la politica
reale anche con aiuti finanziari considerevoli, aiuti che erano in grado di
dare grazie alla loro ricchezza. È tipico l'esempio dei De Ferraria,
che entro la prima metà del sec. XV seppero impegnare i loro capitali,
creandosi vasti domini feudali.
Anche la colonia ebraica di Alghero, nel sec. XV, dovette dare un considerevole
aiuto ai re aragonesi e ne seppe trarre vantaggi considerevoli, in particolare
fu così che iniziarono le fortune dei Carcassona e dei Perez. Come si
è visto il carattere militare della città continuò a caratterizzarne
la vita almeno fino al sec. XVI. Questo carattere condizionò lo sviluppo
delle attività commerciali che tuttavia dagli inizi del sec. XVI cominciarono
a svilupparsi considerevolmente.
Ad Alghero si svilupparono soprattutto le attività della pesca del corallo;
emerse una classe di mercanti di origine ligure e, a partire dal sec. XVII,
napoletana. Da queste famiglie venne un altro significativo gruppo di nobili
della città. Le altre famiglie nobili erano legate all'attività
dell'amministrazione reale e a quella dell'amministrazione civica.
Iglesias: Iglesias,
pur essendo un centro notevole, ebbe un piccolo numero di famiglie nobili nel
corso della sua storia. Si tratta di tre gruppi di famiglie ben definite: locali,
di origine spagnola, di origine ligure e toscana. Le attività economiche
della città, dopo che cadde in mano agli Aragonesi, andarono rapidamente
decadendo; le attività minerarie, fonte principale della ricchezza della
città, continuarono anche nel sec. XIV e questo spiega la presenza di
alcune famiglie pisane.
Tipico è l'esempio della famiglia Soldani che, nella prima metà
del secolo, ebbe una posizione notevole nella vita della città. Duodo
Soldani partecipò alla revisione degli statuti della città nel
1327. Salvatore probabilmente, rotti i rapporti con i Della Gherardesca, nel
1338 divenne camerlengo di Iglesias ed ebbe feudi nelle terre appartenute ai
Della Gherardesca. Poi l'attività mineraria scomparve progressivamente,
ma l'elemento pisano si mantenne accanto a quello aragonese.
Per tutto il sec. XV la città andò sempre decadendo, gli iglesienti
dovettero lottare per mantenere la loro condizione di città reale libera
ma nel 1436 Iglesias fu infeudata alla contessa di Quirra.
I cittadini si riscattarono prontamente, ma la città non si risollevò.
Si stabilì una certa dipendenza da Cagliari, molte famiglie della nobiltà
iglesiente, ad esempio i Gessa e gli Otger, si legarono alla vita della capitale.
Rami di alcune famiglie cagliaritane si stabilirono ad Iglesias esercitandovi
le funzioni amministrative e stabilendovisi definitivamente. Le condizioni della
città si risollevarono parzialmente nel sec. XVII quando fu ripresa l'attività
portuale a Funtanamare e iniziò nuovamente lo sfruttamento delle miniere.
A questo fenomeno è legato l'emergere di alcune famiglie di commercianti
di origine ligure che allora ottennero i privilegi nobiliari.
Bosa: La nobiltà
di Bosa è costituita da un discreto numero di famiglie prevalentemente
di origine locale, in misura minore di origine ligure. Il gruppo più
antico è costituito da alcune famiglie, i Virde, i Corso, i Salaris che
nel sec. XV aiutarono gli aragonesi a debellare Niccolò Doria. Si tratta
di famiglie che ebbero come ricompensa vaste estensioni di terra in forma feudale.
Tra tutte, per antichità e prestigio, spiccano i Delitala e i Passino,
le notizie di entrambe queste famiglie risalgono al sec. XV. Col passare del
tempo le vicende delle due famiglie si evolvettero in due direzioni diverse:
i Delitala divennero una grande famiglia la cui importanza trascese perfino
la Sardegna; i Passino, invece, rimasero legati alla vita di Bosa ed espressero
in ogni tempo amministratori e magistrati della città.
Le altre famiglie, le cui notizie risalgono prevalentemente ai sec. XVII e XVIII,
sono quasi tutte di cavalieri ereditari e nobili e la loro storia è strettamente
legata all'ambiente locale: il commercio e l'amministrazione della città
sono i campi della loro attività.
Un'altra componente della nobiltà di Bosa è rappresentata dai
rami di alcune famiglie provenienti da altre parti della Sardegna, che si stabilirono
nella città dove trovarono poi fortuna.
Così fu per esempio degli Uras di Oristano che, agli inizi del sec. XVII,
ereditarono la castellania di Bosa, imparentandosi con i De Milia. Agli inizi
del '500 anche un Bernardo De Sena si stabilì nella città, ma
alla fine del secolo suo nipote si trasferì a Cagliari. Le basi economiche
della nobiltà di Bosa sono come si è detto il commercio e, in
misura minore, l'agricoltura e l'allevamento del bestiame. A quest'ultima attività
connessa alle grandi estensioni di terre della Planargia e della zona di Bosa
ed Alghero sono legate le fortune delle poche famiglie feudali di Bosa.
Le altre città:
Anche le altre città della Sardegna ebbero una loro nobiltà con
caratteristiche proprie. Le famiglie nobili di Castelsardo sono poche, in prevalenza
di origine locale e quindi, dai cognomi, facilmente individuabili come liguri,
o di origine spagnola o corsa. Si tratta di famiglie di funzionari o di militari
che finirono per radicarsi a Castelsardo, contribuendo a formare un vero e proprio
patriziato: entro queste famiglie infatti fu mantenuto il governo della città
e le cariche municipali.
Nel complesso comunque la loro presenza a Castelsardo non è documentabile
precedentemente al sec. XVI. La spiegazione di ciò sta nel fatto che
la fortezza prima fu in mano ai Doria e, subito dopo la caduta in mano aragonese,
fu ridotta a semplice avamposto militare; a partire dal sec. XVI, però,
la vita civile vi riprese in qualche modo. Un'altra caratteristica della nobiltà
di Castelsardo si riscontra nel fatto che alcune delle famiglie di origine ligure
sembrano essere rami cadetti di famiglie di grande lignaggio, come ad esempio
i Solar Spinola o i Mayolo, o probabilmente rami decaduti o fuggiti dalla madre
patria per ragioni poco note.
Alcune di queste famiglie subirono le conseguenze delle operazioni militari,
che interessarono la città nella prima metà del sec. XVI. Successivamente
alcune, come i De La Rocca, i Roig, si diramarono in altri centri probabilmente
per ragioni economiche.
Vicende abbastanza simili tra loro hanno la nobiltà di Tempio e di Ozieri;
a Tempio ed in Gallura si possono individuare ben ventiquattro famiglie, ad
Ozieri soltanto quattordici. La base dell'ascesa della maggior parte di esse
è il possesso della terra: ben tredici in Gallura ed otto ad Ozieri sono
le famiglie che andarono via via assumendo importanza grazie ai loro grandi
possedimenti terrieri. Il possesso della terra, comunque, non era spesso disgiunto
dall'esercizio di funzioni pubbliche, che i membri di queste famiglie esercitavano,
traendo anche vantaggi ed utili personali.
Questa situazione si spiega con relativa facilità se si considera che
entrambe le città da noi considerate facevano parte di grandi feudi,
i cui feudatari vivevano lontani dalla Sardegna; essi trovarono in queste famiglie
i loro naturali amministratori. Alcune famiglie come i Sini, ed i Tola, per
quanto le notizie certe su di esse non vadano al di là del sec. XV, si
può ipotizzare che siano molto più antiche ed in qualche misura
legate all'amministrazione giudicale.
Quasi sicuramente si tratta di famiglie discendenti da quei liberos de caballo
che spesso furono investiti di piccoli uffici già in periodo giudicale.
I rappresentanti di queste famiglie seppero avvicinarsi, una volta stabilizzato
il potere degli Aragonesi, ai nuovi venuti; infatti, tra la fine del '400 e
gli inizi del '500, troviamo i Tola, i Satta ed i Sini in una posizione di discreto
prestigio. Nei secoli successivi le storie delle tre famiglie si diversificarono,
il prestigio dei Tola andò crescendo, mentre i Satta ed i Sini continuarono
ad essere due famiglie di nobili cavalieri campagnoli.
Sono comunque individuabili alcune caratteristiche che riguardano specificamente
la storia di queste famiglie nobili: ad Ozieri, per esempio, dall'analisi alcuni
testamenti del '500 e del '600, si può affermare che la fonte della ricchezza
era legata soprattutto alla felice combinazione della coltivazione del grano
e dell'allevamento del bestiame. L'agricoltura fiorente determinò il
carattere di relativa stabilità e durata delle grandi famiglie ozieresi
ed attirò in questa città alcuni rampolli di famiglie straniere.
Le ragioni per cui i Grixoni, patrizi napoletani, i Soliveras, i Del Mestre,
che probabilmente sono un ramo di un'illustre famiglia feudale trentina, siano
arrivati ad Ozieri ed abbiano qui dato vita ad illustri discendenze, sono poco
conosciute. A Tempio, invece, il possesso della terra era soprattutto legato
al grande allevamento; ma le famiglie nobili tempiesi seppero cogliere, principalmente
a partire dal sec. XVII, alcune altre opportunità per aumentare la loro
potenza: in primo luogo il contrabbando, da quale trassero spesso notevoli profitti.
Questo portò i nobili tempiesi a capeggiare, in qualche caso, vere e
proprie bande, come capitò ai Sardo nella seconda metà del sec.
XVII.
Un'altra occasione per aumentare la loro potenza, le famiglie tempiesi la seppero
trarre dal prestare servizi all'autorità costituita; è il tipico
caso dei Pes, che vennero rapidamente in auge grazie ad un Antonio, che contribuì
non poco alla cattura del marchese di Cea, condannato per aver fatto assassinare
il viceré Camarassa.
Quando nel 1669 Antonio Pes fece catturare il marchese di Cea, egli era il capo
riconosciuto di un potente clan familiare; sia lui che i suoi figli avevano
contratto matrimoni con donne di nobile famiglia e godevano di una floridezza
economica notevole. Non si sa per quale motivo egli abbia contribuito in maniera
decisiva alla cattura del venerando marchese di Cea, nel quale i rappresentanti
del governo vedevano più che l'assassino del Camarassa il capo riconosciuto
di un movimento, che avrebbe anche potuto compromettere il dominio spagnolo
in Sardegna.
A sottolineare l'importanza del servizio reso ci rimane la descrizione della
investitura a cavaliere di Antonio Pes, per il quale, fatto unico, fu usato
il procedimento che si usava per l'investitura dei cavalieri di Santiago.
Un altro periodo in cui le famiglie tempiesi seppero ottenere grandi vantaggi
è indubbiamente quello delle guerre di successione, quando si scatenarono
le aspre contese fra le fazioni favorevoli agli Asburgo e quelle contrarie.
Fu questo il momento in cui furono fondate le basi delle fortune feudali dei
Pes e dei Valentino; entrambe le famiglie, infatti, furono partigiane di Carlo
d'Asburgo, il quale le ricompensò con titoli e con feudi.
Quando l'isola passò ai Savoia, queste due famiglie continuarono a mantenere
la loro preminenza, legandosi ai nuovi venuti, e quelle famiglie, come i Guglielmo,
i Gabriel ed altre, che erano state antiasburgiche, finirono per essere quasi
del tutto rovinate.
Logudoro: Nel territorio
che formava l'antico giudicato di Torres hanno avuto sede, nel corso dei secoli,
una trentina di famiglie nobili, originarie dei paesi della zona. In primo luogo
è da dire che, in parte, la vicenda di queste famiglie ricorda quella
delle famiglie nobili di Sassari, pur con alcune differenziazioni.
Il legame tra agricoltura e possesso del titolo nobiliare è evidentissimo,
in quanto ventitré di queste famiglie erano in possesso di discreti patrimoni
terrieri, che sono stati, specialmente nel sec. XVII e XVIII, la base della
loro nobilitazione. Questo accertato legame, comunque, non contribuisce a chiarire
completamente la storia di queste famiglie, infatti è possibile notare
che, molto spesso, i membri di esse godevano già di una considerevole
posizione, prima dell'acquisizione del titolo.
Probabilmente alcune, che ottennero privilegi nel sec. XVII, sono da considerarsi
come discendenti di famiglie della vecchia nobiltà giudicale, nobiltà
che decadde politicamente in seguito alle vicende storiche, ma non fu del tutto
rovinata economicamente; per cui più che di una concessione ex-novo si
tratterebbe in questi casi della sanzione di una situazione di fatto.
Per alcune, poi, è possibile affermare con sicurezza che si tratta di
famiglie di nobiltà giudicale ed in particolare per due di esse, i Pinna
ed i Dettori, le prove sono evidentissime. Le notizie in nostro possesso per
entrambe le famiglie risalgono al sec. XII, quando appaiono come potenti casate
di majorales del giudicato di Torres, senza dubbio tra le più influenti
del giudicato, con articolazioni complesse ma ben delineate: i Pinna gravitavano
tra Sassari e la Romangia, i Dettori nella zona di Padria e Pozzomaggiore.
Queste due famiglie ebbero una vicenda simile a quella delle famiglie dell'oligarchia
sassarese, si accostarono ai nuovi padroni aragonesi, ne assecondarono la politica,
ne ottennero dei benefici e il riconoscimento della generosità nel sec.
XV.
A parte queste precisazioni, il carattere di dipendenza del riconoscimento del
titolo nobiliare dal possesso della terra è abbastanza chiaro; esso si
manifesta ancora nei sec. XVII e XVIII, quando cioè maggiori furono le
preoccupazioni per il rilancio dell'agricoltura e quindi più frequente
la ricerca degli incentivi.
Ma la terra non fu la sola base della potenza di queste famiglie, spesso infatti
vediamo emergere da nobili campagnoli figure di prestigio anche nel campo religioso,
della magistratura, delle armi.
Questi personaggi rafforzarono il potere della famiglia nella zona di residenza,
contribuendo anche economicamente a mantenere la posizione; ottennero inoltre
l'instaurazione di un legame abbastanza stabile con l'ambiente urbano dove essi
spesso erano inseriti e dal quale trassero benefici materiali.
Nuoro, Barbagia, Mandrolisai:
Anche a Nuoro, con sei famiglie, nella Baronia, con sei famiglie, nella Barbagia
e nel Mandrolisai, con dodici famiglie, è possibile trovare un rapporto
stretto tra possesso della terra e nobiltà, anche se, in ciascuna delle
zone considerate, il ceto nobile ha sue caratteristiche particolari.
Nuoro era stato un centro di scarsa importanza amministrativa ed era incluso
nel marchesato di Orani, ma la sua posizione geografica lo rendeva importante
nel contesto delle attività connesse con la pastorizia e l'allevamento
del bestiame rispetto all'intera zona.
Ben cinque della famiglie nuoresi hanno origine da questa realtà agro-pastorale:
una di esse, quella dei Manca, le cui notizie sono ben individuabili e che s'imparentò
poi con i baroni di Orosei, divenne una potente famiglia feudale. Per alcune
di queste famiglie, come i Nieddu ed i Pirella, si deve probabilmente parlare
di origini più antiche; si tratta infatti di famiglie ritenute sempre
nobili e che nel sec. XVII ebbero il riconoscimento formale, per cui vennero
ammesse allo stamento militare e poi insignite di titoli.
Un'altra caratteristica delle famiglie nobili nuoresi è costituita dal
fatto che i loro interessi economici le portavano a gravitare su Cagliari. Nella
Baronia il discorso è più complesso: fermo restando il legame
con l'agricoltura (e non con l'allevamento di bestiame), l'immagine sociale
della nobiltà locale è più articolata rispetto a quella
di Nuoro. Alcune di queste famiglie, infatti, come per esempio i Roger, furono
largamente cointeressate all'amministrazione del feudo, mentre altre, come i
Pinna o i Tolo, erano tradizionalmente impegnate nell'amministrazione dei paesi
nei quali avevano i loro interessi e la loro residenza.
Si tratta comunque di una nobiltà, nel complesso molto antica, probabilmente
legata in qualche modo a quella realtà politico economica che consentì
il fiorire della diocesi di Galtellì; alle sei famiglie di cui è
possibile avere notizie certe si potrebbero aggiungere almeno altri tre nomi:
i Prompto, i Pilurzu, i Murro che nei documenti della diocesi di Galtellì
figurano nobili e antiche quanto alcune altre famiglie, ma nessuna delle tre
sopra menzionate ottenne riconoscimenti o fu ammessa allo stamento militare.
La famiglia più importante della Baronia è senza dubbio quella
dei Guiso, le cui notizie risalgono al sec. XIV. Il fatto che a partire dal
sec. XI sia presente a Genova una nobile famiglia Guiso o Ghiso, potrebbe far
pensare che questi Guiso di Orosei siano di origine genovese, anche se la cosa
non è, allo stato attuale, documentabile. Certo è che questa famiglia
doveva godere di una grande considerazione e ricchezza nella diocesi, visto
che, nel sec. XV, poté acquistare la baronia di Orosei.
Un'altra famiglia di grande prestigio e di grande distinzione fu quella dei
Tolo, il cui centro di origine è Oliena. Anche nel Mandrolisai e nella
Barbagia, pur rimanendo costante il rapporto tra condizioni nobiliari ed attività
agro-pastorali, le famiglie nobili hanno alcune caratteristiche particolari.
Tali caratteristiche derivano dall'assoluta indipendenza che queste zone ebbero
nel corso dei secoli e dalla grande povertà delle stesse. Il Mandrolisai
e la Barbagia di Belvì ebbero come privilegio più unico che raro
quello di potersi eleggere annualmente gli amministratori tra le persone del
luogo; ciò consentì il formarsi di alcune grandi famiglie, economicamente
potenti, nelle cui mani l'amministrazione finì per rimanere nel corso
dei secoli.
In ognuno dei paesi dell'incontrada è fiorita una di queste famiglie
che, tra il sec. XVI e XVII, ebbero il riconoscimento della nobiltà;
unica famiglia che si distingue e che espresse ufficiali reali sia nella Barbagia
che nel Mandrolisai è la famiglia Serra di Sorgono. Indubbiamente questa
è la famiglia più antica della zona: le notizie certe su di essa
risalgono al sec. XIV, ma potrebbe essere più antica, potrebbe trattarsi
probabilmente di una famiglia di amministratori giudicali, presente nel Mandrolisai
fin dal sec. XII.
I Serra mantennero la loro potenza politica ed economica e poiché seppero
aiutare gli Aragonesi nella guerra contro Leonardo Alagon, ottennero il riconoscimento
della nobiltà generosa nel 1480.
Questo privilegio, unico per la zona, pose la famiglia in una posizione di assoluta
preminenza nei confronti delle altre famiglie nobili del Mandrolisai.
L'altra caratteristica di queste famiglie nobili è legata, come si diceva,
alla estrema povertà della zona; ciò mal si concilia con la grande
prolificità di queste vere e proprie stirpi di cavalieri rurali, i quali
furono costretti, nel corso dei secoli, ad emigrare in altre zone per cercare
fortuna in diversi modi. Di alcune di queste famiglie possiamo seguire per intero
questa mobilità (Serra, Melis, Urru, Sedda, etc.), i loro interessi rimasero
prevalentemente radicati nelle zone di origine anche se le vediamo spostarsi
e ramificarsi contemporaneamente in diversi paesi, in seguito a fortunati matrimoni
con ereditiere, spesso anche non nobili.
Alternativamente questi cavalieri squattrinati finivano per affluire verso le
città; la maggior parte fu attratta da Oristano, sia per gli storici
legami che la zona aveva avuto con quella città, sia perché spesso
un loro parente era tra gli esponenti del clero; anche Cagliari però
fu spesso meta della loro evasione. Nelle città questi trovavano spesso
fortuna e parentele influenti, dando vita a famiglie che progressivamente entravano
nella vita delle città e vi mantenevano talvolta una posizione elevata.
Goceano-Monte Acuto-Anglona-Marghine.
Anche il Goceano ebbe le sue famiglie nobili, le cui vicende sono in gran parte
legate a quelle di questo grande feudo che, a partire dalla seconda metà
del sec. XV, fu patrimonio reale.
Gli abitanti dei paesi compresi nella zona mantennero le loro abitudini a certe
forme di autonomia e quindi, se è vero che il governatore del Goceano
quasi sempre era estraneo alla zona, le cariche amministrative minori furono
sempre appannaggio di famiglie locali, alcune delle quali, oltre che molto ricche,
furono molto potenti, come per esempio i Gaya. Anche nel Goceano comunque si
manifestò la tendenza ad emigrare per cercare fortuna in ambienti più
ricchi e più vasti, è l'esempio di due famiglie che sono poi quelle
da considerare tra le più rimarchevoli del feudo.
I Carta di Benetutti, le cui notizie certe risalgono al sec. XV, sono probabilmente
da annoverare tra quelle famiglie di nobiltà giudicale che seppero legarsi
agli Aragonesi, ottenendone favori e protezione. Nel corso dei secoli i Carta
si trasferirono in numerosi altri centri e persino a Cagliari, dando vita a
famiglie distinte ed esprimendo alcuni personaggi di un certo rilievo. I Gaya
di Bono e Bottida furono più legati alle cariche amministrative minori
della contea, ma anche loro spesso si trapiantarono in diversi centri.
Il Monte Acuto, l'Anglona, il Marghine, che facevano parte dei feudi del conte
d'Oliva, ebbero anch'essi la loro nobiltà, sedici famiglie in tutto,
le cui caratteristiche sono identiche. Si tratta di famiglie di grandi agrari,
concentrate nei paese di maggiore tradizione agricola: Nulvi, Buddusò,
Bolotana e Macomer; queste famiglie, legate alla terra, hanno una storia molto
simile; per la maggior parte di esse, esattamente per otto, la loro storia inizia
nel sec. XVII o nel sec. XVIII, nei secoli cioè in cui gli spagnoli prima
ed i Savoia poi tentarono di incentivare le attività dell'agricoltura.
Nelle zone sopra indicate, comunque, vissero e prosperarono alcune famiglie
legate a Sassari, per esempio a Nulvi, a partire dal sec. XVIII, un ramo dei
Quesada; a Buddusò, per un certo periodo del sec. XVI, i De Quesada;
le stesse famiglie Puliga e Scarpa, indubbiamente le più antiche del
Monte Acuto e dell'Anglona, probabilmente non sono che un ramo delle famiglie
Puliga e Scarpa di Sassari. Semprerebbe che i Puliga si siano dovuti rifugiare
nel Monte Acuto in seguito alle rivalità con i Pilo alla fine del sec.
XV e che gli Scarpa si siano rifugiati a Nulvi in seguito all'ainvasione francese
del 1527.
Ogliastra, Montiferro, Marmilla.
Le vicende dell'Ogliastra sono legate a quelle della contea di Quirra, che fu
amminsitrata dai suoi feudatari mediante regidores, per la maggior parte di
origine spagnola, che però risiedevano prevalentemente a Cagliari. Questa
regione espresse tuttavia una sua nobiltà, di non più di nove
famiglie, i cui caratteri sono assai complessi, per cui nei suoi confronti non
si può tentare un discorso uniforme.
Si tratta per lo più di famiglie il cui cognome denota un'origine non
ogliastrina e sono probabilmente famiglie di funzionari minori dell'amministrazione
feudale. Per alcune di esse vi è la certezza. I Cadello, per esempio,
li troviamo per la prima volta a Tortolì nei primi decenni del sec. XVI,
impegnati nell'amministrazione del sale, successivamente la famiglia, sempre
legata ai conti di Quirra, si sposta in Marmilla e da qui va assumendo una posizione
di notevole prestigio.
I Puliga di Tortolì potrebbero essere invece della stessa famiglia di
Buddusò, lo fa pensare che quando i Puliga compaiono a Tortolì,
il Monte Acuto e la contea di Quirra erano in mano alla stessa famiglia e che
gli stessi fossero amministratori feudali. Le altre famiglie sono prettamente
locali, la loro fortuna sembra legata più a meriti militari (Cardia,
Pisano), che al possesso di un vasto patrimonio, anche se in seguito, soprattutto
i Cardia, hanno raggiunto una posizione economica più che ragguardevole.
Concentrato a Cuglieri ed a Santulussurgiu, nel Montiferro, è possibile
individuare un gruppo di famiglie nobili. La loro storia ha caratteristiche
in parte comuni ed è legata alle vicende feudali del Montiferro, che,
a partire dal sec. XV, fu gradatamente infeudato agli Zatrillas, la cui signoria
finì in quella regione nel sec. XVII.
Precedentemente il Montiferro apparteneva al giudicato d'Arborea e probabilmente
già da allora vi risiedevano alcune famiglie della nobiltà giudicale.
Non si trattava di grandi famiglie di majorales, ma certamente erano famiglie
in vista, alcune delle quali dovettero mantenere una situazione di fatto anche
sotto i nuovi feudatari per avere poi, nel sec. XVII, sancito il riconoscimento
della loro nobiltà. Così fu per i De Roma ed i Porcu, che indubbiamente
sono le famiglie di maggiore antichità; così fu per i Massidda
ed i Serralutzu, che arrivarono al riconoscimento in epoca più tarda.
Un'altra regione dove è possibile rintracciare un certo numero di famiglie
nobili è quella della Marmilla Parte Montis. Anche qui si tratta di famiglie
di grandi agricoltori, di non molta antichità, anche se i cognomi che
portano ed i legami storici della zona con il giudicato d'Arborea farebbero
pensare a legami con le famiglie di quella nobiltà (Diana, Paderi, Sanna).
La famiglia più antica le cui notizie risalgono al sec. XV è quella
dei Concu o Conque, che probabilmente appartiene alla nobiltà giudicale;
quella famiglia ebbe una vicenda simile a quella delle famiglie, che in altre
regioni della Sardegna si seppero avvicinare ai nuovi venuti e ne trassero riconoscimenti
e vantaggi.
Nei secoli XVII e XVIII anche in altre parti della Sardegna (curatoria di Siurgus,
trexenta, Parte Usellus, Bonorcili, Parte Barigadu, Curatoria di Nuraminis,
etc.), si sviluppò la categoria dei cavalieri ereditari e nobili, le
cui origini sono connesse con lo sviluppo dell'agricoltura e la cui storia non
presenta molte particolarità o problemi.
Tratto da "Storia della nobiltà in Sardegna"
(Floris-Serra) Ed. Della Torre