Cavalierato e nobiltà
di Francesco Loddo Canepa
Il cavalierato ereditario introdotto in Sardegna con la
dominazione aragonese del 1323, era concesso dal Re con speciale diploma (privilegio
militar, de cavallerat) emanato in forma solenne e munito delle segnature
del Supremo Consiglio d'Aragona (sotto la Spagna) o di quello di Sardegna nell'epoca
sabauda. I diplomi spagnoli recano il nome e cognome dell'investito (non la
paternità) e anche (ma non di frequente) il luogo di nascita. In quelli
sabaudi sono contenuti in genere dati più precisi sul concessionario
(paternità, luogo di nascita) e più particolari specificazioni
circa i motivi che danno luogo alla concessione che, negli spagnoli, sono espressi
in formule cavalleresche generiche, comuni a tutti i diplomi. Non mancano però,
anche nei diplomi spagnoli, casi di motivazione specifica, specie quando il
titolo è concesso in conseguenza di un atto singolarmente gradito alla
Corona, come la partecipazione ad un fatto d'armi, o altro che riveli un particolare
attaccamento al Re o alla causa regia.
Non di rado i motivi personali che danno luogo alla concessione sono di scarso
rilievo e hanno bisogno, particolarmente nei diplomi sabaudi e specie in quelli
degli ultimi anni della monarchia, di essere integrati dal versamento di una
somma , alla Regia Cassa, il cui ammontare (da 1500 a 6000 lire sarde) è
indicato nei diplomi stessi. Le motivazioni per il conferimento del cavalierato
e della nobiltà sono: particolari servizi resi allo Stato in determinate
circostanze speciali, benemerenze acquistate nel campo della scienza, nelle
pubbliche cariche, nel Regio servizio e anche, più recentemente, l'incremento
dato all'agricoltura nonché le opere edilizie fatte a cura di privati
nel pubblico interesse. Un requisito che è sempre specialmente menzionato,
è la fedeltà e il particolare attaccamento del concessionario
alla causa regia ed alla Corona.
Precedeva l'invio del diploma di cavalierato la commissione regia (cartilla
de armaçon) diretta al Viceré (o ad altro illustre personaggio
che lo rappresentava), per mezzo di particolare lettera regia, perché
armasse cavaliere il concessionario.
Il Viceré con cerimonia solenne in cui non era neppure dimenticata l'accolade
degli antichi tempi, lo cingeva della spada. Dopo tale cerimonia il Re rilasciava
il diploma o privilegio in cui approvava l'operato del Viceré, autorizzando
il concessionario a chiamarsi cavaliere in tutti gli atti pubblici e privati,
e ad adottare le armi gentilizie concessegli (particolarmente descritte nel
diploma di concessione), e cioè a farle figurare nella propria casa,
a portarle nei tornei, a fregiarsene secondo le norme consuete, col diritto
di trasmetterle ai suoi figlie e discendenti maschi.
In pari data, o qualche giorno più tardi, veniva rilasciato, all'investito
del titolo, anche il diploma di nobiltà, che dava in Sardegna il diritto
alla qualifica di Don. Non di rado le armi gentilizie, anziché essere
concesse, come di consuetudine, col diploma di cavalierato, erano conferite
a parte, mediante speciale diploma. Durante il governo sabaudo, è frequentissimo
il caso di conferimenti di cavalierato e di nobiltà non accompagnati
dalla concessione di alcuno stemma gentilizio. Nonostante la mancanza di tale
concessione, i discendenti dei concessionari si trovano oggi quasi tutti in
possesso di uno stemma di famiglia la cui legittimità viene ammessa dalla
Consulta Araldica, con la dimostrazione dell'uso ultratrentennale di esso, corroborata,
quando è possibile, da altre prove equipollenti quali l'esistenza dell'arma
in uso in tombe, monumenti o cimeli familiari.
Le formule di concessione della nobiltà erano piuttosto generiche. Nell'Archivio
di Cagliari non si conservano concessioni (di cavalierato e nobiltà)
anteriori alla prima metà del secolo XV. Nelle più antiche che
si possiedono, il titolo di nobile è conferito anche collettivamente,
non singolarmente, a più persone, con un unico diploma.
Si dà pure il caso che alla concessione del cavalierato non si accompagni
quella della nobiltà. Ciò potrebbe dipendere dal fatto che del
secondo diploma, per smarrimento o mancata registrazione, non è rimasta
traccia; o che il concessionario non fu, sic et simpliciter, gratificato della
nobiltà. O infine che il concessionario stesso non adempì, dopo
la concessione del cavalierato, alle indicazioni impostegli, purché venisse
gratificato di entrambi i privilegi.
La nobiltà si estende a tutta la discendenza maschile e femminile dell'investito,
ma la donna non la trasmette ai discendenti. Il cavalierato si trasmette ai
discendenti maschi (cioè in linea retta), ma non, naturalmente, alle
femmine. La donna maritata può portare maritale nobili i titoli di Nobile
e Donna, ma non li conserva oltre lo stato vedovile (Ordinamento dello Stato
Nobiliare Italiano, del 1929, art.18). Secondo una disposizione, la donna nubile
perde le qualifiche nobiliari per effetto del matrimonio e quindi anche quello
di Donna, anche se si deve ammettere che la disposizione non abbia effetto retroattivo
(cfr. Gazzetta Ufficiale n°55 del 1930, R° D° 14-2-30 n°101).
Così il diritto della donna a tali qualifiche derivante dalla nascita,
prima personale a vita, viene a subire una grave restrizione, con la conseguenza
che le donne nubili non nobili, sposando un nobile, lo diventano; mentre le
donne nobili, sposando un non nobile, perderanno la qualifica.
Prova del cavalierato e della nobiltà
Per provare il cavalierato o la nobiltà, occorre
dimostrare l'attacco genealogico cl primo concessionario. A ciò soccorrono
gli atti di nascita o di matrimonio dei discendenti, o altri documenti idonei
a tal prova. Grande utilità offrono a tale scopo i registri dello stato
civile conservati nelle Curie Arcivescovili o Vescovili anteriormente al 1865.
Mancando uno degli attacchi genealogici può suffragare, come criterio
equipollente, la prova del possesso del titolo di cavaliere o di nobile (congiuntamente
ad altre circostanze e documenti), per varie generazioni di ascendenti del richiedente.
Costituiscono valido elemento per la prova anche gli elenchi dei cavalieri,
nobili, feudatari, compilati dalle singole Prefetture dell'isola nel 1822 per
ordine del Governo.
Privilegi dei Cavalieri e
Nobili
I Cavalieri e i nobili che erano esenti dalla giurisdizione del Veghiere e del
loro assessore al pari dei loro servi e familiari, erano soggetti da tempo immemorabile,
a quella dei Luogotenenti Generali e dei Governatori. L'ingiuria arrecata ad
un nobile da una persona di bassa condizione era punita più gravemente
che non quella arrecata ad uno del popolo. I nobili potevano liberarsi con denaro
dalle ingiurie arrecate ai plebei (v. Dexart). Essi erano colpiti con la
deportazione quando ai plebei si applicava la pena di morte, e la relegazione
era, in loro riguardo, sostituita alla pena del remo cui era condannato il plebeo.
I membri dello Stamento, e cioè i feudatari, i nobili e i cavalieri,
dovevano essere giudicato da un Consiglio di Pari. Si eccettuavano i
delitti di lesa maestà divina e umana, la sodomia, la falsificazione
di moneta, il sacrilegio in monastero. Con Carta Reale 23-8-1633- S.M. confermava
il capitolo di corte 18° concesso nel Parlamento celebrato nel 1511, prescrivente
che i cavalieri, in materia criminale, venissero giudicati con il voto del Reggente
la R. Cancelleria, d'un giudice della Reale Udienza e di sette pari.
Godevano del privilegio di portare armi e di non potere essere disarmati (così
pure i loro familiari) dagli ufficiali regi. Se poi in teoria i cavalieri non
potevano essere torturati se non nei casi citati di lesa maestà, di sodomia,
di falsa moneta, ecc
nel Regno di Sardegna, ci dice il Dexart, "no
hi ha memoria de homens en contrari que hage vist militar torturat".
Il pregone prescrivente che non si ponesse mano alla spada, non si intendeva
esteso ai militari e alle persone dello Stamento. I cavalieri e i militari non
potevano essere presi e carcerati per debiti civili. Inoltre i militari erano
esenti da molte imposizioni.
I cavalieri non feudatari potevano essere imbussolati e estratti a sorte per
la carica di consigliere di Cagliari. I cavalieri e i nobili facevano parte
dello Stamento Militare e potevano pertanto intervenire di diritto tanto
alla riunioni stamentarie dei tre bracci congregati insieme, quanto a quelle
separate, che lo Stamento Militare era autorizzato a tenere. Infine i cavalieri
potevano in Sardegna attribuirsi la qualifica di Don in quanto fossero
pure nobili, essendo essa, come pure oggi, il distintivo della nobiltà
sarda, nonché di varie famiglie principesche e di molte famiglie lombarde.
Non spettava quindi tale qualifica ai semplici cavalieri.
Il Codice feliciano mantenne ancora il giudizio dei pari sancendo che
i feudatari, i nobili e i cavalieri fossero esenti dalla giurisdizione ordinaria
e che non potessero essere citati se non davanti alla R.Udienza o alla Real
Governazione (rispettivamente nel capo di Cagliari e in quello di Sassari).
Le sentenze poi che condannavo un nobile o un cavaliere alla pena di morte non
potevano eseguirsi senza la regia approvazione. I nobili e i cavalieri che dessero
ricetto a banditi, oltreché con la pena pecuniaria sancita dalle prammatiche,
erano puniti con quella di dieci mesi di presidio, o con altra maggiore
o minore, a seconda dei casi.
Quelli che semplicemente li proteggessero, erano soggetti al sequestro della
giurisdizione baronale e alla pena di 1000 scudi. Per il codice feliciano i
ricettatori di banditi di qualunque stato, grado o condizione, erano puniti
con la pena da un anno di carcere a tre anni di galera (Codice Feliciano, art.1752).
Esclusione delle nobiltà
dalle cariche civili.
I feudatari ed i nobili (non i cavalieri) erano esclusi dal reggimento della
città di Cagliari, ostandovi i privilegi concessi a questa. Le domande
per essere ammessi alle cariche cittadine, fatte nei parlamenti, non furono
accolte. L'influenza dei feudatari e dei nobili con tutti i loro grandi privilegi
avrebbe assicurato infatti ad essi una forza preponderante in seno al Consiglio.
Così i consiglieri e l'Università del Castello ottennero l'esclusione
ad tempus dell'elemento militare dal Corpo Consolare. L'esclusione si
estendeva un tempo sia ai nobili che ai semplici cavalieri. Ma mentre per i
feudatari e signori di vassalli esisteva un valido motivo di incompatibilità,
a cagione di alcuni privilegi posseduti in loro pregiudizio dalla città,
come la provvisione di frumento, di carne e altre derrate, non ne esisteva alcuno
contro i militars non heretats. Perciò nel Parlamento del 1497,
concluso nel 1511, si chiese dallo Stamento e si ottenne "que los militars
non heretats" potessero entrare nel reggimento della città.
Il Re Ferdinando, con prammatica 14-4-1511 (v. Dexart), aderendo all'istanza
del sindaco dello Stamento Militare stabilì, in analogia ai principi
della costituzione barcellonese, che per un triennio venissero imbussolati per
le cariche di consigliere i nomi di dieci cavalieri (esclusi i nobili, i baroni
e i feudatari), con qualche altra condizione o limitazione. Sembra lecito ritenere
che, ferma sempre l'esclusione dei nobili e dei feudatari (i quali non potevano
esercitare alcuna carica regia se non rinunciano ai loro feudi, né coprire
quella di vicario), siano rimasti, anche in seguito, abilitati i semplici cavalieri.
Tale norma almeno vigeva ancora nel 1641, come risulta dal Dexart.
La nobiltà sarda dopo
il 1848
Con l'unione della Sardegna agli stati continentali (30 novembre 1847), l'isola
cessava di reggersi, oltre che con bilancio separato, con legislazione indipendente
da quella del Piemonte. Da quella data di fondamentale importanza storica, i
codici e le leggi di terraferma sostituirono la secolare legislazione costituita
dai vecchi codici spagnoli, dalle carte reali, dagli editti e pregoni iberici
e piemontesi, già riuniti e compendiati sistematicamente in un solo corpo,
col codice feliciano (1827). I feudi erano stati riscattati pochi anni prima
dell'annessione (1836-1844) con la clausola che ai feudatari e ai discendenti
di essi, fossero riconosciuti i titoli loro spettanti in base ai diplomi di
infeudazione.
Il riscatto feudale e l'accennata unione venivano pertanto a chiudere definitivamente
il libro delle concessioni nobiliari sarde fatte in base alle antiche leggi
e consuetudini e ne circoscrivevano l'ambito ai discendenti delle antiche famiglie,
che continuano tuttora a portarli, mentre i titoli di tante altre, per graduale
estinzione degli eredi maschi, non hanno più rappresentanti.
Il R.D. del 16-8-1926, n°1489, trasfuso nell'Ordinamento dello Stato
Nobiliare Italiano, approvato con R.D. 21-1-1929 ha inoltre disposto, in
deroga alle vecchie concessioni sovrano del diritto sardo, variamente disciplinanti
i feudi impropri (cioè trasmissibili per linea femminile in mancanza
di maschi), che "i titoli, i predicati e gli attributi familiari non
si trasmettano alle femmine, né per linea femminile (art.54); che
quelli già concessi alle femmine, spettino alle medesime durante lo
stato nubile e non diano luogo a successione (art.57) e che la successione
dei titoli, predicati e attributi nobiliari, abbia luogo a favore dell'agnazione
maschile dell'ultimo investito, per ordine di primogenitura, senza limitazione
di gradi e con preferenza della linea sul grado (art.54). estinte le linee maschili,
aventi per stipite comune la femmina intestataria del titolo, questo con gli
annessi predicati dovrà tornare, previe lettere patenti di regio assenso,
all'agnazione maschile della famiglia cui apparteneva prima della promulgazione
delle leggi abolitive della feudalità., osservate le norme dell'art.
54 (art.59).
Pertanto anche questa legge porta indubbiamente a circoscrivere e restringere
sempre più la cerchia dell'antica aristocrazia sarda, molte famiglie
della quale godevano del privilegio di trasmissione dei titoli per linea femminile.
Così il libro delle famiglie isolane, chiusosi definitivamente nel 1848,
andrà sempre più assottigliandosi e perdendo i rappresentanti
degli antichi titolati (cavalieri, nobili e feudatari). Si noti ancora che in
Sardegna, a differenza delle antiche repubbliche italiane, non esisteva una
nobiltà decurionale, poiché i comuni vi ebbero vita breve
e poco fiorente.
Caratteri della nobiltà
sarda
Si è notato altrove che i conferimenti di cavalierato e nobiltà
a sudditi sardi cominciano a riscontrarsi nei primi decenni del secolo XV come
risulta dalla serie dei più antichi rilasciati in favore degli isolani.
Per quanto riguarda le concessioni feudali, in numero ben limitato furono quelle
fatte a sardi fedeli nei primi tempi della conquista e più tardi
a cittadini di Sassari e Bosa distintisi nell'assedio di Monteleone e Bonvehi
(1436) contro Nicolò Doria, quali validi cooperatori degli aragonesi.
Gli isolani cominciarono quindi ad essere ammessi nei ranghi della nobiltà
non fornita di feudo solo nel secolo XV e, in misura ristrettissima, continuano
ad appartenere a quella feudale, partecipando così dei benefici riservati
ampiamente ai conquistatori. Cedeva man mano la diffidenza di questi verso gli
indigeni, di fronte a prove inconcusse e manifeste di fedeltà alla causa
regia, che facevano allontanare ogni sospetto di ribellione e di autonomia.
Nondimeno la più alta e potente aristocrazia restava sempre etnicamente
e politicamente, come all'inizio della conquista, catalano-aragonese (e tale
continuerà a restare in seguito), poiché i feudi più numerosi
ed importanti si trovavano in potere di quelle famiglie i cui antenati erano
venuti dalla Spagna a fianco dei re e dei principi, per la spedizione di Sardegna.
Né i re vollero permettere che l'elemento sardo acquistasse importanza
politica nell'isola, non accedendo mai alla domanda degli impieghi e delle prelature
agli isolani, più volte ripetuta nei parlamenti, sia per poterne disporre
a favore dei magnati spagnoli, sia per prudenziale misura di governo. È
significativo che le maggiori cariche, soprattutto quelle di viceré,
siano rimaste durante i secoli, monopolio esclusivo, o quasi, degli spagnoli
e dei piemontesi.
Così si spiega facilmente come al momento del riscatto feudale la Sardegna
era ancora infeudata per massima parte ai discendenti delle antiche famiglie
d'origine iberica quali i Sanjust, gli Aymerich, i Pilo, i Zapata e gli Amat,
per tacere di altre potentissime, che non si degnavano ormai più di risiedere
in Sardegna. La conquista aragonese aveva evidentemente segnato il tramonto
dell'antica nobiltà indigena costituita dalle dinastie dei giudici, dai
loro parenti e dai loro principaliores degli staterelli sardi nel lungo periodo
dell'autonomia (gli Athen, i De Serra, i De Laccon, i De Thori).
Pur tuttavia gli isolani, dal secolo XV in poi, continueranno ad essere ammessi,
sempre più largamente, nei ranghi del cavalierato e della nobiltà,
come rivelano le concessioni relative, che si fanno più numerose nei
secoli XVI-XVII e numerosissime sotto la dominazione sabauda, favorite anche,
come abbiamo visto, da ragioni patrimoniali e da motivi d'interesse pubblico.
Venne pertanto meno alla Sardegna la sua remota nobiltà indigena la quale,
in un primo tempo, per la vigorosa penetrazione pisana e genovese e poi per
il processo rapido e violento dovuto alla conquista, fu soppiantata da una nobiltà
di importazione. Quella nuova composta di elementi locali, che cominciò
a formarsi un secolo dopo la prima spedizione iberica, non sorse per forza propria
né in contrasto con l'autorità regia, come, in antico, nei grandi
stati continentali, ma come benigna emanazione della monarchia e priva per lo
più di feudi, e mal si fuse con quella feudale e potentissima che era
figlia della conquista. Infatti non pochi avversari della potenza o prepotenza
dei baroni che, nella memoranda rivoluzione del 1796 si schiereranno con Don
Giovanni Maria Angioy, leader del movimento, erano insigniti del cavalierato
e della nobiltà.
I sardi nella maggioranza dei casi impetrarono dalla maestà sovrana i
privilegi nobiliari (anche se non mancarono concessioni di cavalierato e nobiltà
fatte dalla Corona in ricompensa di benemerenze in imprese belliche o per sussidi
pecuniari offerti in tali imprese) e non di rado, soprattutto negli ultimi tempi,
corroborarono le loro istanze col versamento di somme considerevoli al tesoro
regio, come dimostrano incontrastabilmente i diplomi di concessione. Così
ben poco poté fare per l'isola questa nobiltà indigena di uomini
nuovi asservita alla corona, nella cui orbita e secondo i cui interessi, era
portata a muoversi e ad esplicare la sua azione.
La casa di Savoia, seguendo qualche esempio precedente, creò, specialmente
negli ultimi tempi (fenomeno del resto non peculiare al regno sardo) una nuova
nobiltà a carattere feudale. Non avendo campo o non trovando opportuno
di concedere nuovi feudi e dopo l'abolizione dei medesimi, non avendo la possibilità,
ricorse all'espediente di annettere titoli feudali a territori demaniali o anche
di proprietà privata del concessionario, oppure di conferire sic et
simpliciter (ad es. nel caso del Barone Rossi), i titoli stessi senza alcun
speciale predicato. Su queste concessioni prive di giurisdizione o di diritto,
o almeno di fatto per mancanza o quasi di vassalli, abbiamo altrove fermato
l'attenzione chiamandole impropriamente feudali. Alcune di esse hanno
infatti un contenuto esclusivamente onorifico, essendo soltanto dirette a conferire
un lustro e decoro al concessionario, e alla sua famiglia. Possono dirsi di
tale natura e di data assai recente, molte fra quelle che hanno per predicato
il nome di un santo o il cui predicato è per lo più il nome di
un possesso territoriale privato dell'investito. Queste concessioni nulla hanno
di feudale se non il titolo, il territorio e la fedeltà alla corona,
né presentano alcuna affinità, se non formale, con le antiche
concessioni di feudi, le quali avevano la base politica della conquista armata
e della difesa contro i non infondati pericoli di una ribellione allo straniero.
Resta però ad esse il carattere remuneratorio di speciali e devoti servizi
resi alla corona e pertanto è evidente e preponderante in esse l'elemento
del vassallaggio. In epoca recente, la concessione di feudi e dei relativi
titoli, rappresenta anche un compenso dato dalla corona in contraccambio di
cessioni di diritti patrimoniali.
Il feudo e la nobiltà feudale in rapporto
alla politica di conquista
Riesce agevole, dopo queste considerazioni, tracciare rapidamente le linee d'evoluzione
della nobiltà feudale e del feudo in Sardegna.
Gli aragonesi, per affermare ed estendere il loro dominio nell'isola, operarono
con sagacia e prudenza politica, sfruttando abilmente quella grande arma di
conquista che era il feudo. Si spiega così la formazione, nella prima
metà del XIV° secolo, di un potente nucleo feudale nella parte meridionale
dell'isola, centro delle prime loro fortunate operazioni. Esso ha per base i
grandi feudi di Quirra e di Mandas detenuti dai fedelissimi Carroz, congiunti
del sovrano e suoi cooperatori con gli altri baroni catalani, aragonesi e valenzani,
venuti a seguito del principe per la grande impresa.
Assicurata Cagliari dalla parte del mare, con la sconfitta dei pisani (1325)
e contro la minaccia dei Donoratico dopoché questi furono dichiarati
ribelli e spogliati dei loro possedimenti in Sardegna (1355), si costituiva
in vasto territorio infeudato una base formidabile e sicura di azione militare.
Si dominava così l'iglesiente e si tagliava in pari tempo la strada agli
arborensi, potenti signori di Oristano, e minaccia grave per i regi. Si pensi
che il ribelle Mariano poté, nel 1355 e nel 1367, giungere alle porte
di Cagliari e mettere a repentaglio la sicurezza del Castrum, ove gli
Aragonesi avevano già potentemente iniziato (1327) la catalanizzazione
dell'isola, come manu militari l'avevano iniziata in Alghero (1355) e in Sassari
(1329), dopo le ribellioni di queste città.
Ma la preoccupazione più grave per i conquistatori doveva essere la parte
settentrionale dell'isola ancora sotto il dominio dei genovesi, dei Doria e
dei Malaspina, più esposta a pericoli da parte del mare e della Corsica
e meno tranquilla per il fuoco di perpetua ribellione che vi tenevano acceso
quelle potenti famiglie, spalleggiate dalla repubblica di Genova. Anche Sassari
per le sue recenti rivolte (1325 e 1329) e per il suo glorioso passato di autonomia
non era tale da rassicurarli appieno. Non mancarono pertanto i tentativi di
penetrare vigorosamente con il feudo anche nel settentrione e di costituire
con esso altrettante rocche di difesa e di offesa attorno al giudicato arborense,
contro i Malaspina e i Doria.
Lo dimostrano le infeudazioni di Terranova e quelle di molte ville della Nurra,
della Gallura e del nuorese, ove evidentemente si cercava di iniziare una base
sicura di dominio, sebbene con scarso successo. Ai Doria, ai Malaspina, momentaneamente
pacificati, si dovettero riconfermare i feudi riconoscendo il dominio dei primi
sull'Anglona, su Monteleone e su Castelgenovese (1355-1357) e dei secondi su
Osilo (1325-1325-52) ritardando così la penetrazione nella parte settentrionale
dell'isola. Il Monteacuto, concesso in un primo tempo, unitamente a Terranova,
a Giovanni d'Arborea gli fu violentemente ritolto dal giudice ribelle quando
scoppiò il conflitto fra quest'ultimo, il fratello e il Re. Né
certo fu estraneo alla rottura l'acume del regolo arborense, che intese perfettamente
le mire dei conquistatori, suoi antichi alleati e ora suoi forti nemici. Il
predominio quindi della corona dovette limitarsi nel settentrione alla stretta
zona nord-est, ove Giovanni d'Arborea e Giovanni Carroz, fedelissimi sudditi
erano già investiti di feudi: e cioè di Terranova e di Monteacuto
il primo (1375); di Mandas, Orgosolo e dei villaggi della curatoria di Seurgus
(1350) il secondo. Anche il feudo di Terranova si riunisce poco dopo (28 ottobre
1376) nella famiglia di Giovanni Carroz per la concessione fattane dalla Corona
in quell'anno a Benedetta d'Arborea di lui moglie. Ma gli avvenimenti dovevano
precipitare in favore dei dominatori. La spedizione di Aimerigo di Narbona riusciva
fatale ai loro nemici, che si erano illusi di trovare nel visconte un potente
alleato. La sconfitta di Sanluri (1409) doveva dare una grave colpo alla potenza
arborense, che ormai non potrà più arginare la preponderanza decisa
dei vincitori. Resa vana la resistenza di Leonardo Cubello dalle armi di Pietro
Torrellas, il primo scende a patti tanto gravi che, può dirsi, segnino
di fatto la rovina della vecchia e gloriosa dinastia arborense (1477). Alla
perdita del titolo di giudice si accompagna per i patti del 1410 quella più
concreta della diminuzione del territorio, che viene ristretto alla città
di Oristano, ai tre Campidani e al Goceano, con perdita del Monteacuto e del
Marghine, potenti sentinelle avanzate del giudicato. Sul Goceano stesso gli
aragonesi, nonostante la concessione del 1410, pare si arroghino dei diritti,
poiché lo vediamo infeudato nel 1421 al Centelles e soggetto ad incursioni
di sardi capitanati dal ribelle Barzolo Manno. Se poi tale infeudazione fu arbitraria
e illegale, dimostra per se stessa che ormai il marchese di Oristano nn destava
più preoccupazioni.
La Corona, quasi un secolo dopo la spedizione, analogamente a quanto aveva fatto
nel cagliaritano, riesce finalmente a costituire nel nord dell'isola, un formidabile
centro feudale in favore di una potente famiglia iberica, quella dei Rivosecco-Centelles.
Questa considerazione spiega pertanto la cessione in feudo a Bernardo di Riusec
(alias Gilaberto de Centelles, che coprì anche la carica viceregia nel
1421 e 1422), delle contrade tolte agli arborensi e la costituzione del Contado
di Oliva che gareggia, per vastità, potenza e ampiezza di privilegi,
col feudo meridionale di Quirra.
Negli anni 1421 e seguenti, si riuniscono in mano dei Centelles il Marchesato
del Marghine, il Ducato di Monteacuto, l'anglona, la Baronia e il castello di
Osilo già tolto a Brancaleona, marito di Eleonora (1390). I Doria, ricacciati
verso il mare nelle ultime loro rocche di resistenza (Castelsardo, Monteleone
e Bonvehi), mediante l'aiuto dei magnati sardi, fedeli alla corona, saranno
ben presto completamente debellati e annientati con la confisca dei loro possessi
(1436). Alcuni di questi sardi fedeli otterranno concessioni feudali di poco
rilievo; altri costituiranno il primo considerevole nucleo di nobiltà
non feudale che, come si è visto, avrà sviluppo, con scarsa potenza
politica, nei secoli posteriori.
Queste, in rapporto al feudo, le linee della politica aragonese e il piano della
conquista così felicemente attuato. Le numerose concessioni feudali minori,
fatte in genere a famiglie catalane, aragonesi e talora a sardi fedeli, ne confermano
e completano il quadro. Nei centri urbani esclusi dal feudo come i più
importanti (Cagliari, Sassari, Iglesias, Alghero, Castelsardo e più tardi
Oristano e Bosa), gli aragonesi e poi gli spagnoli, esplicano assiduamente la
loro influenza o sovrapponendo addirittura ai vecchi, istituti catalani, (come
a Cagliari e ad Alghero), o facendo opera assidua di penetrazione per mezzo
delle istituzioni e dei costumi iberici (specie di diritto pubblico), oppure
trasformando gradualmente le indigene e le antiche comunali.
Resta da considerare l'evoluzione del feudo dal lato giuridico. Il carattere
patrimoniale non fu, nel feudo sardo, mai disgiunto dal carattere politico,
poiché la proverbiale "avara povertà di Catalogna"
portò, fin dai tempi della conquista, a sfruttare il feudo come cespite
di reddito anche per gli impellenti bisogni delle guerre. Alienazioni di feudi
e specialmente trapassi a titolo oneroso, furono quindi frequenti fin dai primi
tempi. Senonché, dopo il secolo XV, venne meno al feudo sardo la sua
funzione di strumento di conquista e di base delle operazioni belliche, come
si è già notato altrove. Il detto di Ugolino, feudum est beneficium,
non definisce quindi esaurientemente la sua funzione in Sardegna, come vuole
il Mondolfo, e, come ha acutamente osservato il Solmi, non ne mostra che un
solo aspetto. Né, assicurata la conquista, viene meno in esso ogni carattere
politico, in quanto i poteri amministrativi e giurisdizionali inerenti alle
concessioni feudali perdureranno, con non sostanziali limitazioni, fino al riscatto,
restando sempre il feudo, fino a quel momento, la base del sistema di governo.
Nel breve periodo della dominazione austriaca, risorgono per poco le concessioni
nobiliari, feudali o di altre cariche a scopo prevalentemente politico, fatte
cioè dal nuovo governo col fine di ricompensare e tenersi fedeli i suoi
partigiani, validi artefici della conquista contro la Spagna (in realtà
anche la Spagna si comportava nella stesso modo, anche si gli sforzi fatti non
le avevano evitato la perdita della Sardegna).
Durante il periodo sabaudo le concessioni feudali, sebbene perfette nei loro
tre elementi, trovano non di rado principale movente in un particolare e determinato
interesse del regio fisco, in quanto rappresentano l'equivalente della cessione,
in suo favore, di beni ed emolumenti da parte dei nuovi investiti; oppure anche
in un interesse pubblico, quale l'accrescimento della popolazione e la colonizzazione
dell'isola.
Nello stesso periodo si affermano le concessioni a base beneficiaria che possono
chiamarsi impropriamente feudali, cioè tali non intrinsecamente,
ma per elementi esteriori (titolo, territorio, emolumenti patrimoniali di carattere
non tributario) e nell'ottocento quelle di puro titolo. Tali concessioni, che
il Mondolfo non distinse chiaramente dalle altre né per epoca né
per funzione, potrebbero, a differenza delle seconde, essere esattamente definite
dal detto di Ugolino.
Alla nobiltà non feudale degli ultimi tempi (sec. XVIII e XIX) venne
meno ogni influenza politica diretta, anche per il fatto della mancata convocazione
dei parlamenti dopo il 1698. Che essa, al pari della nobiltà feudale,
non fosse rassegnata quietamente a questa violazione del Trattato di Londra
(1718), lo dimostra la domanda fatta dagli Stamenti nel 1793 per la convocazione
di tali assemblee, come si era fatto in passato; domanda che rimase frustrata
dal corso degli avvenimenti posteriori. Così la levata di scudi delle
classi nobiliari e borghesi (1794-1795) per il ripristino e la conquista di
vantaggi e privilegi in ricompensa delle benemerenze acquisite dai sardi contro
i francesi (alle quale volle darsi, a torto, significato di rivendicazione nazionale
anziché, come fu realmente, di ristretto e particolare interesse di classi),
ebbe a restare, si può dire, lettera morta.
Non di rado i titoli feudali sono concessi con la clausola che i titoli stessi
possono essere portati dal primogenito durante la vita del padre.
Concessioni del semplice
cavalierato
Normalmente in Sardegna alla concessione del cavalierato si accompagna quella
della nobiltà e quindi i cavalieri sono anche nobili (i nobili isolani
poi, derivanti il loro titolo da concessioni e diplomi del regno sardo anteriori
al 1848, sono pure cavalieri. Le famiglie sarde che hanno il solo titolo di
nobile senza quello di cavaliere derivano la loro concessione da S.M. il Re
d'Italia). Quest'affermazione può però farsi solo limitatamente
alle concessioni posteriori al sec. XVII. Gli esami degli elenchi degli intervenuti
alle assemblee parlamentari persuade infatti che le concessioni del semplice
cavalierato, più frequenti nei quattro secoli di dominazione spagnola,
si fecero assai limitate nel periodo successivo.
In queste liste, ove anche per ragioni giuridiche, e cioè per il controllo
dei documenti conferenti il diritto di intervento alle riunioni stamentarie,
i titoli erano attribuiti agli intervenuti con scrupolosità ed esattezza,
troviamo elencate molte persone insignite del semplice cavalierato. In tali
casi l'appellativo Cavaller, segue il nome delle medesime, preceduto
dall'appellativo di Mossen, o Micer o Amado. Così,
nel parlamento del 1553-1554 (Viceré d'Heredia), troviamo un Mossen
Bartolomeo Sellers cavaller, un Micer Prospero Serra cavaller
e così pure un Micer Virgili Ruiz, un Amado Duran Guio, un Thomas
Aleu, un Ambroso Larca, un Eliseu Dore e un Joan Galeazzo, tutti qualificati
solamente cavallers. Resta però il fatto che gli intervenuti indicati
con il duplice titolo di Noble Don (o Noble Dona) precedente il
nome o, come altri, col semplice Don, hanno sui primi una grande preponderanza
numerica. È caratteristico che non troviamo attribuita ai nobili, in
tali elenchi, la triplice qualifica moderna: Cav. Nob. Don, pure essendo costoro
anche cavalieri.
Gli stessi provvedimenti riferiti più sopra, che autorizzavano i semplici
cavalieri a sedere nei consigli della città di Cagliari, confermano che
le concessioni del semplice cavalierato prive della nobiltà, dovettero
essere più numerose dei quattro secoli della dominazione spagnola. Tuttavia
anche allora il numero dei cavalieri fu più ristretto in confronto di
quello dei nobili tra i quali andavano annoverati moltissimi feudatari, compresi
i più potenti possessori di grandi feudi. D'altra parte la nobiltà
non feudale (cavalieri e nobili) creata per controbilanciare, specie nei parlamenti,
l'influenza di quella potentissima fornita di feudo, ben rispondeva nelle congreghe
stamentarie, per numero di voti almeno, a tale scopo politico.
Feudatari non nobili né cavalieri, qualificati semplicemente heretats
si riscontrano pure frequentemente negli atti dei parlamenti. Erano mercanti
arricchiti o, in genere, borghesi facoltosi che, unitamente al feudo, acquistavano
anche il diritto di intervenire a quelle assemblee. Col tempo essi però
ottennero generalmente la concessione del cavalierato e della nobiltà
delle quali la corte regia non fu mai troppo avara ai propri fedeli; oppure,
alienato il feudo per ragioni economiche, rientrarono nelle file della borghesia
scomparendo, di conseguenza, dalle liste stamentarie.
Dal 1720 in poi, sono assai limitate le concessioni del semplice cavalierato,
perché, unitamente a questa, i concessionari ottengono anche quella della
nobiltà. Riepilogando, il nobile feudatario è qualificato come
Nobile Don o semplicemente Don in precedenza al nome, seguito
dall'appellativo heretat; il feudatario non nobile come Mossen,
Magnifich Mossen o Amado prima del nome seguito dall'appellativo
heretat; il semplice cavaliere come mossen, o micer, o
amado che precedono il nome, mentre il titolo di Cavaller lo segue;
il semplice nobile e cavaliere insieme, col Don o col Noble Don
a precedenza del nome; il Donzello con amado o mossen che
precede il nome e con la qualifica di Donzell che lo segue. Questa qualifica
ricorre spessissimo negli elenchi stamentari anteriori al secolo XVII.
Abuso di titoli nobiliari
Contro l'abuso di titoli nobiliari il R.D. Legge 20-3-1924, n°442, ha stabilito
che, indipendentemente dall'applicazione della pena comminata per l'usurpazione
di titoli quando il fatto costituisca il delitto previsto dall'art.186 del cessato
codice penale (in data 30-6-1889), chiunque, sia in documenti ufficiali, sia
in qualsiasi atto giuridico o anche negli ordinari rapporti sociali, faccia
uso di titoli o attributi nobiliari che non risultino appartenergli da conforme
iscrizione nei registri della Consulta Araldica, sia punito con l'ammenda da
Lit.1.000 a 5.000 (art.5). che in caso di recidiva non possa essere applicata
un'ammenda inferiore al doppio di quella precedentemente inflitta (esclusa l'oblazione
nel caso stesso) e che una quota delle ammende applicate per le singole contravvenzioni,
sia devoluta agli agenti autori delle denunzie (stesso art.5). Nessuno
può far uso di titoli e attributi nobiliari se non sia iscritto come
legittimamente investito di tali titoli o attributi nei registri della R.
Consulta Araldica. Dell'inscrizione fa fede l'annotazione nell'Elenco Ufficiale
Nobiliare, approvato con R.D. 3-7-1921 n°972 e nei successivi elenchi
supplementari, approvati e depositati nei modi stabiliti dal detto decreto (art.1°).
I notai e gli ufficiali dello stato civile e tutti gli altri pubblici ufficiali,
non potranno attribuire ad alcuno, in atti pubblici o in qualsiasi atto o documento
di carattere ufficiale, titoli o attributi nobiliari se non risultino appartenenti
all'interessato dagli elenchi suindicati, o se l'interessato non dimostra di
esserne investito, esibendo un certificato d'iscrizione nei registri della Consulta
Araldica, sotto pena dell'ammenda di Lit. 500 o 1000 (art.4).
Numerose famiglie che hanno diritto a titoli nobiliari non si trovano iscritte
in registri della Consulta Araldica e nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà
Italiana, e persistono tuttora nella trascuranza di far le pratiche relative,
sia per ragioni economiche, sia perché noncuranti dei titoli nobiliari
loro appartenenti. È frequente il caso che dei diversi rami di una famiglia,
facenti capo allo stesso concessionario, sia iscritto il solo ramo primogenito
o anche il primogenito ed alcuni degli ultrogeniti, e che i rimanenti rami collaterali,
con i loro discendenti, non curino affatto l'iscrizione nei libri araldici.
Si dà anche il caso di casati con numerosi rappresentanti viventi, i
quali non figurano nel citato elenco nobiliare. Tutti costoro, pur avendo potenzialmente
il diritto a titoli nobiliari, cadrebbero, per mancanza del decreto di riconoscimento,
nelle sanzioni della legge se li portassero pubblicamente. In sostanza, allo
stato attuale delle cose, gli elenchi ufficiali non contengono che una parte
dei casati nobiliari e dei nobili.
Concessioni nobiliari di carattere particolare
Non mancano concessioni di cavalierato e nobiltà fatte personaliter tantum,
ad ecclesiastici. Hanno caratteristiche speciali le concessioni del cavalierato
e delle armi gentilizie (oltre che della nobiltà) fatte a donne purché
profittino ai figli. Così il 13-6-1778, a favore di Donna Maura Marras
furono spediti tali diplomi, perché ne fosse fatta la trasmissione ai
figli di primo letto, maschi e femmine e ai discendenti maschi e femmine di
essi figliuoli maschi immediati. Le stesse concessioni del cavalierato, della
nobiltà e delle armi gentilizie, furono fatte nell'8 aprile 1774 a favore
della vedova Maria Elisabetta Pugioni nata Loddo e dei suoi figliuoli e discendenti
maschi e femmine, esclusivamente però ai discendenti da queste. La Pugioni
aveva comprato la peschiera di Pontevecchio con la condizione di ottenere tali
distinzioni nobiliari. Curioso è che, secondo la dizione del diploma,
anche ad essa fu concesso il cavalierato senza però la cerimonia dell'armamento.
Così essa (caso eccezionalissimo), ebbe diritto al titolo di cavaliere
e ai privilegi inerenti ad esso.
Donna Maura Marras vedova Mura, nelle trattative per la concessione in enfiteusi
della Montagna d'Abbasanta, chiese ed ottenne, con la nobiltà, il cavalierato
per i figli di primo letto si maschi che femmine e per i discendenti maschi
e femmine dei medesimi figliuoli maschi immediati, esclusivamente però
ai discendenti delle femmine immediate.
Tratto dal libro "Cavalierato e nobiltà
in Sardegna".