Note sulla nobiltà Aragonese e Spagnola con riferimento alla nobiltà sarda

 

La più alta nobiltà aragonese era costituita dai ricos hombres . Il titolo di rico hombre comincia ad apparire in Aragona dopo il secolo XII e non è abolito fino al secolo XVI. Come riporta Michele de Molino, si dice rico hombre per i Fueros di Aragona, il signore di qualche baronia, né si deve intendere per tale chi è ricco di denari, ma di nobiltà, conformemente a quanto afferma anche Villadiego nel Fuero-Iuzgo .
Altra divisione degli scrittori aragonesi è quella di ricos hombres de naturalezza, oriundi cioè dai primi signori e scarsi di numero, e ricos hombres de masnada, molto più numerosi, creati dal re che dava loro, en honor , terre e vassalli la cui rendita bastasse a sostenere più di quattro cavalieri. Per la concessione di tali caballerias de honor , i ricos hombres dovevano servire il monarca, prestargli omaggio, ricevendolo a lor volta dai cavalieri con cui ripartivano las tierras de honor.
Spettava al re di elevare a ricos hombres gli infanzones (nobili) che dopo aver passato il grado di milizia, ossia cavalleria, fossero già masnaderos, naturali d'Aragona. A tale effetto bastava loro concedere terre in honor sufficiente per mantenere un certo numero di cavalieri, perché se questi fossero solo uno, due o tre, non potevano i concessionari chiamarsi ricos hombres o barones.
Dovevano servire il re una volta all'anno, ripartire i concessi honores tra i loro cavalieri, difendere le terre e specialmente quelle comprese nei loro honores . Erano consiglieri del re e intervenivano in tutte le deliberazioni e giudizi dei tribunali; potevano come i re llevar alzados los pendones (inalberare bandiera), prendendo, da tal privilegio, il titolo di ricos hombres de senera (stendardo).
I loro privilegi li facevano quasi uguali al sovrano. Non potevano essere condannati a morte, a mutilazione o a ferita, né torturati, carcerati per debiti, o assoggettati alla confisca dei beni, fosse pure per tradimento, e la loro dimora era inaccessibile anche al re. Sorpresi in adulterio, non era lecito ucciderli.
La nobiltà più prossima ai ricos hombres era quella dei mesnaderos donde il sovrano traeva la rica hombria de mesnada . Secondo il vescovo Canellas, i mesnaderos sarebbero gli oriundi da stirpe di ricos hombres per linea paterna, tra i cui ascendenti non si avesse memoria che fosse vassallo se non di re, figlio di re, o di conte discendente da stirpe reale o di alto prelato.
Caballeros (milites) erano in Aragona gli infanzones (nobili) che ricevevano il grado di milizia per mano del re, del suo primogenito oppure da rico hombre discendente dai re, o da prelato. Avevano tutti i privilegi degli infanzones , ma non potevano essere armati prima di compiere 14 anni. Il figlio di cavaliere non nasceva cavaliere, ma infanzon ; per la infanzonia si ereditava, i cavalieri si creavano. Non pagavano tributi che in tempo di guerra. Non eran tenuti a recarsi all'esercito o a cavalcata, se il re stesso non marciava in battaglia campale; potevano per privilegio rendere liberi da tributi i beni che compravano dai villani. Vi erano infine gli infanzones de carta che, non discendendo da antenati illustri per lignaggio o naturaleza , ricevevano l'infanzonia per strumento autentico dal signore al cui servizio erano assunti.
Pertanto, secondo i frammenti del vescovo Vidal de Canellas del secolo XIII, citati dagli storici aragonesi, al principio del secolo XIII, gli infanzones si dividevano in hermuneos (immuni) liberi cioè da ogni tributo, che non pagavano nulla al re e infanzones de carta . I primi si frazionavano in barones (ossia ricos hombres ), mesnaderos, caballeros e simples infanzones .
Le speciali e note condizioni storiche in cui si formarono e svolsero le monarchie d'Aragona e Castiglia, permisero alla nobiltà di conquistare, a detrimento del potere regio, una potenza formidabile e, con essa, tanti sconfinati privilegi. I contrasti tra la maestà sovrana e i ricos hombres e le violenze della nobiltà, giungono a tale in Aragona nel secolo XIII, che le principali città aragonesi si vedono costrette, prescindendo da ogni autorizzazione del re, a stringersi in lega (hermandad) contro le prepotenze di quella. Le corti di Egea (1265), con la conferma e l'ampliamento di privilegi in favore di ricos hombres , dei caballeros e degli infanzones , segnano una decisa affermazione della preponderanza dei nobili sul sovrano.
Secondo il tenore dei privilegi ivi accordati, in tutte le cause tra i re e i ricos hombres , gli hidalgos e gli infanzones era sempre giudice competente il Justicia Major de Aragona , previo consiglio di ricos hombres y caballeros della Corte assistenti al giudizio, qualora egli e gli altri non fossero parte interessata; il Giustizia sarebbe dovuto appartenere alla classe dei caballeros .
In questo periodo la monarchia ereditaria non aveva veramente sudditi, poiché il potere pubblico era costituito da un'aristocrazia mai soddisfatta di concessioni e privilegi.
I nobili costituiti in unione giunsero a dichiarare che se il re infrangesse i loro privilegi, non lo terrebbero "por rey". Ma più tardi, sconfitta l'unione a Epila (23 luglio 1348) Pietro IV d'Aragona lacera il Privilegio dell'Unione affermando così abolito quel diritto di insurrezione legale dei sudditi, che la prepotenza nobiliare aveva imposto al suo antenato Alfonso III (1287).
Anche nei regni di Castiglia, Navarra e Leon la nobiltà di primo grado fu costituita come in Aragona dai ricos hombres . Dal regno di Enrico II in poi abbondano in Castiglia i titoli di marchese, conte, duca. I nobili di secondo grado si chiamavano pure infanzones e fijosdalgo , nomi che cominciano ad apparire nel secolo XII. L'ultimo grado della nobiltà era quello di caballero , ma vi erano anche cavalieri non procedenti dalla nobiltà: caballeros de villa o collaciones . Questa nuova classe, obbligata a mantenere cavallo di guerra, fu molto favorita dai suoi re, per esempio da Ferdinando III, che esentò dai tributi tutti i "veçinos" di Leon che tenessero il cavallo di guerra (1222), privilegio esteso poi da Alfonso X ai cavalieri di Madrid. I municipi concedettero poi per la loro parte e per le stesse ragioni militari, analoghi privilegi. I nobili, oltre il privilegio dell'esenzione tributaria, avevano quello di foro per cui dovevano essere giudicati davanti al tribunale del re dai loro uguali e quando non ricevevano soddisfazione delle offese, quello della guerra privata. Per l'istituto del maggiorasco eran proibite l'alienazione dei beni e la divisione di essi tra i figli, restando i beni stessi vincolati al primogenito. Gli ultrogeniti si davano alle armi ed alla carriera ecclesiastica.
Le encomiendas aumentavano le ricchezze dei nobili. Esse potevano essere de honor quando il re cedeva ad essi i diritti fiscali di un certo luogo; oppure de tierra , quando il sovrano assegnava loro le rendite di uno o più luoghi. Ma non mancavano le usurpazioni conseguenti alle violenze e prepotenze. Anche in Castiglia la debolezza del potere regio di fronte alla nobiltà non poté reprimere le lotte fra i nobili dal secolo XI al XV, estendendosi dappertutto l'anarchia caratteristica della nobiltà casigliana di allora e fu soltanto con l'unificazione della monarchia spagnola sotto lo scettro di Ferdinando e Isabella (1479) che la nobiltà poté dirsi sottomessa al potere regio. Non è senza significato che col regno di Ferdinando il cattolico comincerà nelle carte reali, nelle prammatiche e nei regi biglietti ad apparire la segnatura Yo el Rey , mentre i sovrani precedenti firmavano solamente Rex (seguito dal nome). Anche le formule cancelleresche rispecchiano così le mutate condizioni politiche e contengono un'energica affermazione del potere sovrano di fronte alla nobiltà.
Nell'isola di Sardegna, il cui regime giuridico nobiliare si ispira alle norme e consuetudini catalane, invalsero i titoli di nobile , caballero (militar) donzel e le qualifiche di Don, di generoso e hombre de paratge . L'isola non conobbe invece quelle di rico hombre, infanzon e hidalgo, particolari di Aragona, Castiglia e Navarra.
Il testo delle Partidas citate spiega la parola hidalgo come hiyo d'algo , cioè figlio di qualcuno, ossia di persona di conto. Per il commentatore di esse, hidalgo significherebbe invece italicus , libero da pesi e carichi, poiché gli antichi italici conquistatori della Spagna, avrebbero goduto del privilegio dell'esenzione dai tributi, a differenza degli indigeni.
La fidalguia secondo la definizione dello stesso commentatore sarebbe la " nobleza que viene a los omes por linage". Viene menomata moralmente sposando una villana o quando la fidalga sposa un villano. Però, soggiunge il testo, "la mayor parte de la fidalguia ganan los omes, por honrra de los padres. Ca maguer la madre sea villana e el padre fidalo, fijo d'algo es el fiyo que dellos nasciere. E por fijo dalgo se puede contar: mas non por noble. Mas si nascesse de fija d'algo, e de villano, non tovieron por derecho que fuesse contado por fijo d'algo".
L'origine degli homens de paratge è discussa tra gli scrittori. Secondo lo Zurita, essi sarebbero i discendenti dagli antichi sudditi che, pro defensione Comitis Barchinonae (R.Borrel), avrebbero, cum equis, more militum e al seguito del Conte, cacciato dal territorio patrio i nuovi invasori (anno 987). Il Conte vittorioso li avrebbe così chiamati de paratico e decorati dei privilegi militari, equiparandoli alla classe dei cavalieri, assegnando loro in pari tempo case e predi, con l'obbligo di tenersi nei loro possessi pronti coi cavalli a difendere la terra e la patria.
Anche un manoscritto del R. Archivio di Cagliari del secolo XVI comproverebbe in tutto l'opinione dello Zurita. Nelle stesse istruzioni al De Boyl si accenna agli uomini di paratico: "Che i Riformatori di Sardegna possano punire di morte gli ufficiali regi colpevoli di delitti, eccettuati gli homens de paratge (essendo la loro condanna capitale riservata al re); possano però essi punire i detti ufficiali e uomini de paratge privarli dell'ufficio ed assoggettarli a pene pecuniarie, rimosso ogni appello, eccezion fatta del governatore a carico del quale non potevano esser da loro presi quei provvedimenti".
Secondo il Pillito gli homens de paratge apparterrebbero alla classe dei cavalieri. Egli fonda tale opinione su una prammatica di Alfonso V del 10.5.1444 in cui è detto che gli uomini generosi erano soggetti al foro del viceré al pari dei cavalieri, date che appartenevano al braccio militare, né da esso potevano separarsi.
Il testo del manoscritto citato dal Pillito conforterebbe questa ipotesi, in quanto farebbe un tutt'uno dei generosi e degli homines de paratico con le parole seguenti: "Item de istis hominibus loquitur pragmatica quaedam regis Martini quae vult ejusdem fori esse nobiles et milites et homines de paratico sive homines generosos et bis repetens homines de paratge sive homines generosos, videtur velle quod idem sint homines generosi et homines de paratico".
Non sembra però che gli argomenti siano sufficienti a fondere queste tre categorie in un'unica: quella dei militars o cavalieri. La prammatica di re Martino del 1444 null'altro ci dice se non che i milites et homines de paratico sive homines generosos, erano soggetti al foro del viceré cioè che tutti quanti avessero tali qualifiche nobiliari, erano giudicati dal foro privilegiato di lui. Anche se la prammatica identifica i generosi con gli uomini di paratico , non dice che gli uni e gli altri debbano identificarsi coi semplici cavalieri , in antitesi ai nobili.
Nei diplomi nobiliari sardi del secolo XV spesso citati, abbiamo visto come spesso ricorra la formula personae militares , de genere generoso seu de paratico , che pure si riscontra nel sigillo del braccio militare di Catalogna, ad indicare tutti i membri dello stamento formato dalla nobiltà di secondo grado in contrapposto a quello dei baroni o ricos hombres e dei nobili, i quali tutti avrebbero dovuto costituire altro stamento a sé.
Nei documenti nobiliari sardi più antichi che conosciamo (del secolo XV e dei primi del XVI) ricorre sempre, come abbiamo visto, la formula militares, generosos, seu de paratico, la quale è identica a quella usata da re Giovanni nella prammatica che riconosce a tutti costoro, ad evitare frequenti dissensi e lotte, la facoltà di costituirsi in braccio separato. Di tale prammatica, come è noto, fu, a domanda del braccio militare, chiesta conferma a Ferdinando il Cattolico.
Gli stessi militari, gelosi delle loro prerogative, chiesero poi ed ottennero dal re, nelle Corti di Monson, che non fosse consentito privilegi ni orde de Militia a algu home que sia vassal de Prelat, Baro, Cavallero o Gentil Home , se non fosse nell'esercito ove intervenisse personalmente il re (Prammatica 2-9-1510).
Risulta chiaro pertanto che i militars, generosos y homens de paratge sono contrapposti ai magnates, barones, rici homines et nobiles principatus Cataloniae e che con questi non si identificano. Non parrebbe d'altra parte che le tre prime categorie, così bene distinti nelle fonti e contrapposte ai nobili del principato di Catalogna, possano costituire la stessa classe di persone.
Può ritenersi che i generosos et homines de paratico fossero una categoria particolare di privilegiati costituita da coloro che per lunghe generazioni vantavano antenati illustri nelle imprese belliche contro gli invasori arabi; erano pertanto in una condizione particolare che si diversifica da quella dei semplici militars e dei nobili appartenenti, questi ultimi, ad altro stamento.
E probabilmente la generositas rendeva illustre per se stessa tutta la famiglia e tutti i discendenti utriusque sexus del concessionario poiché, come abbiamo visto, nei diplomi sardi del secolo XV (i quali conferiscono di regola la generositas tacendo della nobiltà), ricorre la formula di concessione a tutta la discendenza in linea retta inclusa la femminile, che con la suddetta formula è spesso (sebbene non sempre) espressa nel privilegio. Naturalmente le donne, secondo il principio universalmente accettato per i titoli nobiliari non feudali, non la trasmettevano ai discendenti.
Bisogna venire ai primi del secolo XVI per trovare in Sardegna qualche diploma che conferisca esclusivamente la nobiltà a chi è già cavaliere, secondo la prassi che invalse poi nei secoli successivi. Tale è il caso di Salvatore Aymerich, signore di Mara, che discendendo (come è detto nel diploma) da antica famiglia e traendo origine ex utroque latere a genere militari , nonché per altre sue benemerenze, fu gratificato della nobiltà con diploma di Carlo V in data 20.12.1521.
Nella concessione a Pantaleo Fanchelli di Ploaghe troviamo invece una formula che differisce da quelle dei comuni e già considerati diplomi di generosità del secolo XV. In esso la nobilitas e la generositas vengono eccezionalmente accoppiate senza che si faccia menzione della qualità di militar. Inoltre, nel diploma non si accenna che il concessionario fosse già cavaliere. Al contrario, in altro diploma a favore di Francesco Carta (5.4.1520) gli si concede il gradum militiae facendo espressa riserva per la pretesa sua alla generosità e alla nobiltà, la quale ultima gli fu forse conferita più tardi con diploma separato.
Anche nel diploma a Stefano Sussarello del 31.5.1539 si conferisce al concessionario solo il cavalierato, con facoltà però che i discendenti utriusque sexus legitime possano portare le armi gentilizie concesse.
Ciò induce a credere che in Sardegna, già dai primi del secolo XVI, si sia abbandonato l'uso di concedere semplici diplomi di generositas , per conferire con diplomi separati il cavalierato e la nobiltà secondo l'uso generale che invalse sicuramente nell'isola nei secoli XVII e successivi. Non è possibile però un giudizio assoluto sui pochi diplomi del secolo XVI esistenti nell'Archivio di Cagliari.
Dalle carte dei primi tempi della conquista aragonese esistenti nell'Archivio Regio di Cagliari, risulta evidente che in Aragona, e di riverbero in Sardegna, si tenevano all'epoca già distinti, i titoli di nobile, di cavaliere o di donzello. Le persone di conto laiche od ecclesiastiche non fregiate di titoli nobiliari, erano nelle lettere regie e viceregine variamente qualificate come amati, dilecti, fideles, magnifici, venerabiles, spectabiles, discreti ; appellativi ai quali venivano aggiunti, trattandosi di nobili o cavalieri, i titoli relativi di domnus, nobilis, miles, domicellus, cavaller etc .
Erano nobiles in genere coloro i quali stavano al sommo della gerarchia statale e sociale, come ad esempio, nell'isola, i Governatori Generali e i membri della potentissima famiglia Carroz.
I due titoli di miles (cavaliere) e di nobilis sono poi chiaramente distinti nella segnatura delle costituzioni del primo parlamento sardo (anno 1355) e gli esempi potrebbero moltiplicarsi nell'isola per quanto riguarda le qualifiche di nobilis , di miles e di domicellus attribuite ai più alti funzionari aragonesi.
Ancora, sono chiaramente distinte le due qualità di donzel e di noble in un altro documento del 26.9.1363 e la stessa distinzione l'abbiamo nel secolo XV (Alfonsus..Nobilem et dilectum consiliarum e maiordomum et Francisco de Erill militem; dilecto Jacobe de Bessora militi).
Altro fatto degno di nota è che alcuni primi concessionari di titoli, capostipiti di famiglie feudali, i cui membri sono più tardi qualificati nobili e don, figurano nelle prime concessioni o senza i titoli di miles e di nobilis o col solo titolo di donzel .
Così Michele di Sancto Justo, primo acquisitore di Furti nell'11.11.1415 è qualificato venerabilis domicellus, habitator Castri Callari ; Azzorre Zapata acquisitore della Baronia de Lasplassas nel 1561 è qualificato nel 1528 magnifich mossen donzel unitamente al Magnifich mossen francesch sabbata, donzel ; Salvatore Aymerich, noble don, heretat en lo Cap de Caller nel 1528, è semplicemente chiamato mossen ed heretat nel parlamento del 1511, mentre Pere Dedoni è chiamato soltanto magnifich mossen, donzel , nel parlamento del 1528. Il che farebbe supporre che tutti costoro erano forniti in origine del solo cavalierato o sforniti di questo e della nobiltà e che essi stessi od i loro discendenti la conseguirono posteriormente. Infatti nello citato parlamento del 1528 leggiamo: "al noble Don Monserrat Sanct Just, heretat en lo Cap de Caller" ; nel parlamento del 1533: "a Don Fernando Dedoni heretat" e in quello del 1573 "al noble Don Francesco Capata heretat".
Però, sia nelle lettere regie che negli elenchi parlamentari riferentisi all'isola, non troviamo mai che i destinatari di esse o i membri dello stamento militare vengano individualmente chiamati col titolo di generoso; titolo che è invece conferito come si è visto nei diplomi singoli di concessione di tale dignità. Ciò starebbe a dimostrare che al generosus (qualificato appartenente in Catalogna, come il miles , al quarto stamento e facente parte della nobiltà di 2° grado), era attribuito praticamente, almeno in Sardegna, quando egli fosse chiamato per nome, il titolo di miles o di cavaller .
Questi privilegi di generosità si solevano poi chiedere dagli interessati in Catalogna per avere l'esenzione da carichi e imposizioni nelle città e ville di loro domicilio, con danno degli abitanti di tali luoghi. Pertanto il re Pietro nelle corti di Monson del 1363 ordinava: che chiunque di tali generosi o di quelli che impetrassero d'allora in poi privilegio di generosità "sino rebran cavalleria, aquells qui ara son generosos, dins un ani del die se la publicacio de la present, e aquels qui de aqui avant se faran, del die quel privilegi, o generositat a aquells sera atorgat complador, per no generosos de tot en tot sien hauts" . Cioè non ricevendo la cavalleria entro l'anno dal privilegio, era nullo il privilegio stesso.
Una chiara definizione di homens de paratge si rinviene in una causa, avente per oggetto il feudo di Mara, fra Don Salvatore Aymerich e Don Pietro Dedoni, il quale sosteneva l'incapacità del primo acquisitore Aymerich a possedere il feudo, non essendo uomo de paratico , ma semplice civis : "Homo de paratico secundum foros Aragoniae et constitutiones principatus Cathaloniae dicitur homo descendens de progenie militari et antiqua extirpe (sic) nobili et genologitate quorum procerum qui ob sui et anticorum nobilitatem in multis decorantur et privilegiantur, atque quamplurimis gaudent privilegijs et signanter privilegio immunitatis et exemptionis solutionis victigalium, munerum et aliorum judictionum peragii peyte cise et aliarum imposicionum.Quinimo usque adeo privilegiantur quodquam modo equiparantur ducibus eomitibus et baronibus in convocatione regie curie in predictis regno Aragoniae et principatus Cathaloniae ubi dum curia celebratur in agraduatione personarum convocatarum privilegiantur tam in celebratione curie et in votis circa negozia in curia gerenda quam in sedendo dum Vestra Majestas in solio residit. prout patet in Constitutionibus principatus Cathaloniae " e poco prima afferma che, secondo lo stile e la pratica aragonese se duien y nomenen homens de paratge los cavallers de antich linatge que en altre mes modern vocale se duien generosos e danzells matriculats y scrits per tals.
È evidente però che le concessioni di carte di generosità continuavano a farsi in Spagna nel secolo XIV, se dobbiamo credere alla citata prammatica di re Pietro (1363), anche a richiesta e a favore di persone nuove, come più tardi doveva avvenire in Sardegna; persone le quali così venivano, verosimilmente ad avere un trattamento pari a quello dei generosi discendenti da antica stirpe.
Troviamo usata la parola generos in Sardegna anche in fonti più tarde. In una lettera di Filippo III del 2.5.1615 al viceré duca di Gandia, il re prescrive che siano puntualmente osservate le antiche forme per l'ammissione al parlamento sardo di coloro che vi abbiano diritto; che gli abilitatori esaminino anzitutto le prove ed i titoli su cui tal diritto si fonda per modo che i pretendenti a far parte alle Cortes siano generosos e decidano senza rimettere tali giudizi direttamente al re o al Consiglio Reale. Ma probabilmente la parola è qui usata nel senso più ampio di persone decorate di titolo nobiliare che contano cioè una condizione uguale o equiparata a quella di gentiluomini di altro lignaggio, fossero essi semplicemente cavalieri, o cavalieri e nobili insieme.
Sembra pertanto corretto intendere la qualifica di generosos nel senso generico di persona antiquo genere nata.
La questione è di fondamentale importanza, e investe tutta la storia del regime nobiliare sardo e catalano con le sue complesse e non facili questioni. La parola militar in senso strettamente nobiliare indica quindi esclusivamente la qualifica di cavaliere in contrapposto a quella di nobile. Le qualifiche generosus e de paratico stanno invece a significare la discendenza da lunga serie di illustri antenati, creati generosi o parificati ai cavalieri e ai nobili dagli antichi re, per le loro imprese belliche. Si usò però anche in senso più largo ad indicare persone insignite in genere di titolo nobiliare, quando non si volle particolarmente ed esclusivamente indicare la qualità di cavaliere che spettava pure ai nobili.
E diciamo militare in senso nobiliare perché, come nota il Fontanella: in toto discursu dum de militia loquimur intelligimus, idest equestrem ordinem non militiam belli.
La parola generosus si riferisce alla nobiltà dei natali nel Commento alla legge III, tit. XXI della Segunda partida del Rey Don Alonso el Sabio: "Generosus ex utroque parente dicitur proprie nobilis licet generosus sit, seu filius d'aigo; ex matre vero generosa patre plepeio genitus, patrem sequitur et non est generosus seu filius d'algo". E' cioè chiamato fidalgo (non nobile) il figlio di padre nobile ( generosus ) e di madre plebea. Il figlio di plebeo e di madre nobile segue la condizione del padre e non è né generoso ne filius d'algo .
Don Luigi I nella real cedola del 14.8.1724 disse che i generosi erano propriamente gli hidalgos de sangre y solar conosido (di stirpe antica) per cui questo titolo significava la hidalguia delle persone di lignaggio conosciuto ab antico per le sue prodezze militari. Soggiunge il Coroleu e Pella che in egual senso vedesi usata questa parola negli statuti degli ordini militari, nell'esigere dai cavalieri nobleza generosa, cioè ereditaria ed antica.
Tali sarebbero i generosi di sangue che godevano dei vantaggi dei cavalieri anche se non fossero armati cavalieri, differenziandosi dai donzelli in quanto questi erano coloro che, senza essere armati cavalieri, erano figli di tali, anche sei i padri avessero un titolo recente di cavalleria. Madramani nota che non vi ha sostanziale differenza fra gli hombres de paratge, donceles, infanzones e generosos rispettivamente d'Aragona, Catalogna e Valenza e gli hidalgos de sangre y solar conocido (antico ceppo) di Castiglia e Leon, in particolare con coloro che discendono da quelli che furono armati cavalieri dagli sproni dorati i cui ascendenti ottennero o continuarono la nobiltà per i loro servizi militari. Più in là (continua il suddetto autore) i re concessero titoli di generosidad che erano come esecutoriali ordinarie di nobiltà e non valevano tanto come quello di cavaliere, in riconoscenza della lealtà dei plebei che si distinguevano nei regi servizi.
Evidentemente la generositas, anche intesa in quest'ultimo senso, è una qualifica nobiliare generica e le stesse discrepanze degli autori e delle fonti, mentre dimostrano che le voci accennate non sempre erano intese in senso tassativo e assoluto, confortano l'opinione su espressa sul più corretto modo di intenderle.
Questi concetti rispecchiano le definizioni della parola generoso che troviamo anche negli antichi dizionari catalani e castigliani: "La persona constituida en altre estat honros desprès dei cavallers ab titol de generositat, sens esser armat cavaller, per especial privilegi, obtenint armatura de cavaller dins d'un ani, y altrament no".

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La gerarchia nobiliare fu determinata chiaramente da Carlo V nel secolo XVI (1520) per la penisola iberica. In testa figurano i Grandi di Spagna in numero di 25, ampliato più tardi (90 nel 1660). Essi si pregiavano di discendere da principi di sangue reale (di Castiglia, Aragona, Leone, Portogallo e Navarra) o da figli naturali del re. In effetto la maggior parte dei casati principali di Castiglia e Leone aveva origine reale anche se si diede il caso (1690) di concedere il grandato al Marchese di Clarafuente per 300.000 pesos. Essi potevano sedersi e coprirsi il capo in presenza del re, il re li chiamava cugini e parenti (primos o parientes) ed essi pretendevano di essere considerati e trattati come uguali, dai sovrani di Germania e d'Italia. Non potevano essere arrestati che per cedola regia, non servivano nell'esercito che come capi e avevano privilegi non pochi che davano luogo a questioni di competenza e a ripicchi personali mentre per i loro intrighi di palazzo costituivano un pericoloso elemento politico. Avevano esenzioni e privilegi estensivi anche al loro seguito. I loro beni costituivano dei veri stati.
Venivano poi gli hidalgos, che godevano del foro di hidalguia cui erano annesse certe esenzioni tributarie. Grande era il loro numero e si dividevano in hidalgos de sangre e de privilegio. I primi erano i più poveri, gli altri sfruttavano i beni di fortuna e le ricchezze con cui avevano comprata dal re la nobilità o avevano fondato un maggiorasco. Alla fine del secolo XVII vi erano in Spagna 625.000 nobili. Non potevano essere carcerati per debiti né chiusi nella prigione comune per cause criminali, né puniti con le pene corporali ed i supplizi infamanti riservati ai plebei. Grande era l'ambizione di questi ultimi di nobilitarsi anche per essere esenti dai numerosi tributi e servizi che li ridussero in gran miseria nel secolo XVII. Le professioni manuali (non il possesso e la fondazione di fabbriche) erano incompatibili con la nobiltà. Da tale stato di cose venne un decadimento delle industrie prima fiorenti, come quelle della lana e della seta.
Il Savelli calcola che nel secolo XVII esistessero in Spagna, oltre ai Grandi, 26 Duchi, 72 Marchesi, 124 Conti, e 9 Visconti che assorbivano i più alti gradi dell'esercito e dell'amministrazione, che accumulavano dignità, titoli e ricchezze essendo possessori di territori vasti come province e di rendite da 1 a 3 milioni. Così il duca dell'Infantado possedeva 4 milioni di rendita con 90.000 sudditi e 6000 vassalli nobili; i duchi di Medina di Risecco, d'Ossuna (famiglie di questo nome dimoravano anche in Sardegna con i vastissimi feudi di Oliva e di Quirra) e di Medina Simonia, una rendita di 5 milioni.
Gli hidalgos si sforzano di imitarli nel loro sfarzo, che corrispondeva a quello di vere e proprie corti, indebitandosi fino ai capelli e costituendo la piaga più dolorosa per lo stato, poiché aspirando ai posti della burocrazia e dell'esercito e disdegnando il lavoro manuale, costituivano il maggior numero di spostati.
Quanto precede chiarisce in sommarie linee che, se pure il regime giuridico della nobiltà in Sardegna ebbe non pochi punti d'affinità col regime catalano-aragonese, ben diverso ne fu lo svolgimento dal lato eminentemente politico.
Seri ed insanabili contrasti politici tra la classe nobiliare e la podestà sovrana non riscontriamo nell'isola nei periodi aragonese e spagnolo fino almeno al noto episodio del parlamento Camarassa del 1668, in cui il partito capeggiato dal marchese di Laconi Don Agostino di Castelvì, sostenitore della riserva esclusiva degli impieghi ai sardi, rompe in aperta lotta con la rimanente nobiltà che, (guidata dal marchese di Villasor), appoggiava il viceré ed il sovrano. Ma mai la nobiltà nell'isola si trovò unita e concorde in pieno contrasto con la podestà regia. Creazione ed emanazione di essa non ebbe forza sufficiente per opporsele neppure nei periodi in cui nella penisola iberica si ebbero gli episodi più significativi e grandiosi di lotta tra nobiltà e monarchia, né nei momenti di maggior debolezza di questa.
I più forti e potenti feudatari di Sardegna erano spagnoli e in Spagna facevano parte dell'entourage del Re, mentre la rimanente nobiltà, pure travagliata e divisa da odii e da rivalità personali, di cui sono già indice nel secolo XVI i contrasti tra gli Aymerich e gli Arquer, i Selles e i Torrelles, restava sottomessa al sovrano paga dei privilegi ricevuti, ed avida di altri. Occorrerà che una forza nuova ed estranea all'isola entri in gioco, perché si formi nei primi del secolo XVIII un forte partito antispagnolo. E tale forza sarà data dalle pretese al trono di Spagna di Carlo VI d'Austria che, nella lotta contro Filippo V, riuscirà ad attrarre a sé buona parte della classe nobiliare desiderosa di novità e vantaggi (Sifuentes, Alagon, Villamarina). Tuttavia questi fervidi seguaci di casa d'Austria nell'isola, accetteranno più tardi di buon grado i nuovi sovrani sabaudi imposti dal trattato di Londea, dai quali impetreranno anzi con ossequienti proteste di fedeltà, la conferma dei precedenti privilegi nobiliari.
Anche i tentativi di opposizione alla monarchia nel periodo sabaudo da parte di qualche famiglia o gruppo nobiliare, hanno così scarso rilievo che non si riesce a coglierne nei documenti la vera fisionomia e l'importanza. Sono anzi forse più maturati da rivalità di persone e di gruppi, solleciti di cercare aderenti l'uno contro l'altro, che da un chiaro e preciso programma politico, cui sarebbe mancata del resto una seria base di attuazione pratica.
Sotto un altro punto di vista è opportuno raffrontare la nobiltà sarda con la iberica. Piegata alla monarchia la resistenza di quest'ultima di Ferdinando il Cattolico, dopo lotte secolari celebri in Aragona, Catalogna e Castiglia, essa viene trasformata da rurale in cortigiana, secondo gli accorti disegni del potere regio, e va man mano acquistando nuova fisionomia. Diminuita col mutar dei tempi la sua forza politica e militare, essa si accresce di numerosi elementi che impetrano ed ottengono dai re privilegi nobiliari, per averne vantaggi materiali, esenzioni ed onori, non già per l'antico sentimento cavalleresco e militare. Intorno ad essa si assiepa, come si è visto, una moltitudine di aspiranti alla nobiltà, uomini nuovi venuti su col commercio e con l'industria.
Nel periodo della conquista (sec. XIV-XV), la nobiltà di importazione è quella che assume nell'isola ogni preponderanza politica. Essa costituita da elementi stranieri, coopera lealmente e potentemente col re a tale scopo. Così la soggezione feudale sarà piena e perfetta in Sardegna tanto nei rapporti dei baroni col re che dei vassalli coi baroni. Mancò pertanto nell'isola quello stadio di sviluppo e di formazione della nobiltà iberica alla cui influenza e potenza tanto giovarono le necessità di difesa contro i mori. I ricos hombres di Castiglia e di Aragona conquistano in quelle lotte tale posizione di preminenza da considerarsi quasi uguali ai re ed il grandato di Spagna, con le sue sconfinate prerogative, ne è il miglior indice anche in tempi più recenti.
Si è giustamente osservato che il feudalesimo spagnolo differisce moltissimo, nei rapporti tra signori e vassalli, da quello francese e tedesco, ove la gerarchia feudale si rivela, anche se non in tutti i momenti storici, assai più forte e compatta. La Catalogna invece, meno soggetta alle devastazioni e alle aggressioni arabe, ebbe un sistema di feudo che più si avvicina a quello dell'Europa continentale.
Nondimeno il regime giuridico del feudo catalano non fu esteso alla Sardegna, poiché i conquistatori vi introdussero deliberatamente le forme secundum morem Italiae , con l'intento di tenere maggiormente avvinti a sé i nuovi concessionari dei feudi. Soltanto gradualmente e più tardi introducono con le impropriazioni ( feudi secundum quid ) e con gli allodi, forme che conferiscono maggiori privilegi e facoltà di feudatari, sia per quanto riguarda il diritto successorio (ammissione della successione femminile in linea retta in mancanza di maschi, e dei collaterali), sia per quanto riguarda la disponibilità del feudo per atto inter vivos . Anche il diritto di intestia , caratteristico del feudo catalano, non è documentato in modo da poter sostenere che di regola fosse applicato nell'isola; la cugucia (diritto del signore sulla metà dei beni dell'adultera) proprio del feudo catalano, non ebbe applicazione in Sardegna, o almeno non ne conosciamo traccia, e l'obbligo del vassallo di risiedere nel feudo salvo riscatto fu abolito, a richiesta degli stessi baroni, nel parlamento del 1452.
Altri diritti che non trovano affatto riscontro in Sardegna sono: la exorquia per cui il signore riceveva dal vassallo che non lasciava figli, una porzione equivalente alla legittima del figlio; la arsina per cui quando un predio si incendiava casualmente il paesano era tenuto a dare al signore il terzo dei suoi beni; la firma de spoli , per cui esso riceveva due soldi per lira sull'importo della dote della donna che sposava una remensa . Tutte queste imposizioni vigenti pienamente in Catalogna prima dell'emancipazione delle classi rurali, furono ignoti all'isola, le cui prestazioni feudali si ricalcarono invece sul vecchio sistema tributario locale, anteriore alla conquista aragonese.
Inoltre le città nella penisola iberica godettero di sconfinati privilegi che le costituirono in una notevole posizione di indipendenza non solo di fronte al re, ma anche alla nobiltà. Tali privilegi vennero estesi, è vero, anche ad alcune città sarde come Cagliari ed Alghero e più tardi Sassari; ma esse, più che per forza propria, li ottennero come benigne concessioni sovrane fatte, more patrio , ai catalani ivi abitanti.
La nobiltà indigena, come appare dalle linee di evoluzione già tracciate, si forma assai tardi nell'isola. Affiancata alla vecchia, potente e fedele nobiltà aragonese e spagnola, che è creazione della maestà sovrana, al re si mantiene quasi sempre ligia e sottomessa, paga dei privilegi ricevuti. Anche nei momenti più gravi della storia isolana e di maggior pericolo per la monarchia, fu sempre alleata di questa da cui si contentò di ottenere, per via d'ossequiente domanda, le ambite prerogative.
Essendo venuta meno in Sardegna con la conquista una vera e propria classe nobiliare indigena di origine militare, le concessioni fatte per imprese belliche furono per lo più ristrette a particolari persone e ad episodi di valore individuale. Negli ultimi secoli, e specialmente durante la dominazione sabauda, il movente delle numerose concessioni trae origine dalla necessità di ricompensare importanti servizi civili resi alla corona o da singole benemerenze (opere pubbliche, miglioramenti nell'agricoltura, servizi prestati nella magistratura); ed infine da ragioni patrimoniali (somme offerte al tesoro regio per la concessione dei titoli).
Talora anche i titoli rappresentano compensi per la retrocessione alla Corona, fatta da particolari, di diritti già concessi in precedenza dal fisco ai loro antenati (feudi, scrivanie, emolumenti patrimoniali).
Esula evidentemente da tutte queste concessioni ogni carattere militare e invano si cercherebbe in esse quelle ragioni di lotte e di contrasti col potere regio, che resero così celebre la nobiltà dei grandi stati continentali.