Note sulla nobiltà Aragonese e Spagnola con riferimento alla nobiltà sarda
di Francesco Loddo Canepa
La più alta nobiltà aragonese era
costituita dai ricos hombres .
Il titolo di rico hombre comincia ad apparire in Aragona dopo il
secolo XII e non è abolito fino al secolo XVI. Come riporta Michele
de Molino, si dice rico hombre per i Fueros di Aragona, il
signore di qualche baronia, né si deve intendere per tale chi è ricco
di denari, ma di nobiltà, conformemente a quanto afferma anche Villadiego
nel Fuero-Iuzgo .
Altra divisione degli scrittori aragonesi è quella
di ricos hombres
de naturalezza, oriundi cioè dai primi signori e scarsi di numero,
e ricos hombres de masnada, molto più numerosi, creati dal
re che dava loro, en honor , terre e vassalli la cui rendita bastasse
a sostenere più di quattro cavalieri. Per la concessione di tali caballerias
de honor , i ricos hombres dovevano servire il monarca, prestargli
omaggio, ricevendolo a lor volta dai cavalieri con cui ripartivano las tierras
de honor.
Spettava al re di elevare a ricos hombres gli infanzones (nobili)
che dopo aver passato il grado di milizia, ossia cavalleria, fossero già masnaderos,
naturali d'Aragona. A tale effetto bastava loro concedere terre in honor sufficiente
per mantenere un certo numero di cavalieri, perché se questi fossero
solo uno, due o tre, non potevano i concessionari chiamarsi ricos hombres o barones.
Dovevano servire il re una volta all'anno, ripartire i concessi honores tra
i loro cavalieri, difendere le terre e specialmente quelle comprese nei loro honores .
Erano consiglieri del re e intervenivano in tutte le deliberazioni e giudizi
dei tribunali; potevano come i re llevar alzados los pendones (inalberare
bandiera), prendendo, da tal privilegio, il titolo di ricos hombres de
senera (stendardo).
I loro privilegi li facevano quasi uguali al sovrano.
Non potevano essere condannati a morte, a mutilazione o a ferita, né torturati,
carcerati per debiti, o assoggettati alla confisca dei beni, fosse pure per
tradimento, e la loro dimora era inaccessibile anche al re. Sorpresi in adulterio,
non era lecito ucciderli.
La nobiltà più prossima ai ricos hombres era quella
dei mesnaderos donde il sovrano traeva la rica hombria de mesnada .
Secondo il vescovo Canellas, i mesnaderos sarebbero gli oriundi da
stirpe di ricos hombres per linea paterna, tra i cui ascendenti non si avesse
memoria che fosse vassallo se non di re, figlio di re, o di conte discendente
da stirpe reale o di alto prelato.
Caballeros (milites) erano in Aragona gli infanzones (nobili)
che ricevevano il grado di milizia per mano del re, del suo primogenito oppure
da rico hombre discendente dai re, o da prelato. Avevano tutti i
privilegi degli infanzones , ma non potevano essere armati prima di
compiere 14 anni. Il figlio di cavaliere non nasceva cavaliere, ma infanzon ;
per la infanzonia si ereditava, i cavalieri si creavano. Non pagavano
tributi che in tempo di guerra. Non eran tenuti a recarsi all'esercito o a
cavalcata, se il re stesso non marciava in battaglia campale; potevano per
privilegio rendere liberi da tributi i beni che compravano dai villani. Vi
erano infine gli infanzones de carta che, non discendendo da antenati
illustri per lignaggio o naturaleza , ricevevano l'infanzonia per
strumento autentico dal signore al cui servizio erano assunti.
Pertanto, secondo
i frammenti del vescovo Vidal de Canellas del secolo XIII, citati dagli storici
aragonesi, al principio del secolo XIII, gli infanzones si
dividevano in hermuneos (immuni) liberi cioè da ogni tributo,
che non pagavano nulla al re e infanzones de carta . I primi si frazionavano
in barones (ossia ricos hombres ), mesnaderos, caballeros e simples
infanzones .
Le speciali e note condizioni storiche in cui si formarono
e svolsero le monarchie d'Aragona e Castiglia, permisero alla nobiltà di
conquistare, a detrimento del potere regio, una potenza formidabile e, con
essa, tanti sconfinati privilegi. I contrasti tra la maestà sovrana
e i ricos hombres e le violenze
della nobiltà, giungono a tale in Aragona nel secolo XIII, che le principali
città aragonesi si vedono costrette, prescindendo da ogni autorizzazione
del re, a stringersi in lega (hermandad) contro le prepotenze di
quella. Le corti di Egea (1265), con la conferma e l'ampliamento di privilegi
in favore di ricos hombres , dei caballeros e degli infanzones ,
segnano una decisa affermazione della preponderanza dei nobili sul sovrano.
Secondo
il tenore dei privilegi ivi accordati, in tutte le cause tra i re e i ricos
hombres , gli hidalgos e gli infanzones era
sempre giudice competente il Justicia Major de Aragona , previo consiglio
di ricos hombres y caballeros della Corte assistenti al giudizio,
qualora egli e gli altri non fossero parte interessata; il Giustizia sarebbe
dovuto appartenere alla classe dei caballeros .
In questo periodo la
monarchia ereditaria non aveva veramente sudditi, poiché il
potere pubblico era costituito da un'aristocrazia mai soddisfatta di concessioni
e privilegi.
I nobili costituiti in unione giunsero a dichiarare che se il re
infrangesse i loro privilegi, non lo terrebbero "por rey". Ma più tardi,
sconfitta l'unione a Epila (23 luglio 1348) Pietro IV d'Aragona lacera il Privilegio
dell'Unione affermando così abolito quel diritto di insurrezione legale
dei sudditi, che la prepotenza nobiliare aveva imposto al suo antenato Alfonso
III (1287).
Anche nei regni di Castiglia, Navarra e Leon la nobiltà di
primo grado fu costituita come in Aragona dai ricos hombres . Dal
regno di Enrico II in poi abbondano in Castiglia i titoli di marchese, conte,
duca. I nobili di secondo grado si chiamavano pure infanzones e fijosdalgo ,
nomi che cominciano ad apparire nel secolo XII. L'ultimo grado della nobiltà era
quello di caballero , ma vi erano anche cavalieri non procedenti dalla
nobiltà: caballeros de villa o collaciones . Questa
nuova classe, obbligata a mantenere cavallo di guerra, fu molto favorita dai
suoi re, per esempio da Ferdinando III, che esentò dai tributi tutti
i "veçinos" di Leon che tenessero il cavallo di guerra (1222),
privilegio esteso poi da Alfonso X ai cavalieri di Madrid. I municipi concedettero
poi per la loro parte e per le stesse ragioni militari, analoghi privilegi.
I nobili, oltre il privilegio dell'esenzione tributaria, avevano quello di
foro per cui dovevano essere giudicati davanti al tribunale del re dai loro
uguali e quando non ricevevano soddisfazione delle offese, quello della guerra
privata. Per l'istituto del maggiorasco eran proibite l'alienazione dei beni
e la divisione di essi tra i figli, restando i beni stessi vincolati al primogenito.
Gli ultrogeniti si davano alle armi ed alla carriera ecclesiastica.
Le encomiendas aumentavano le ricchezze dei nobili. Esse potevano
essere de honor quando il re cedeva ad essi i diritti fiscali di
un certo luogo; oppure de tierra , quando il sovrano assegnava loro
le rendite di uno o più luoghi. Ma non mancavano le usurpazioni conseguenti
alle violenze e prepotenze. Anche in Castiglia la debolezza del potere regio
di fronte alla nobiltà non poté reprimere le lotte fra i nobili
dal secolo XI al XV, estendendosi dappertutto l'anarchia caratteristica della
nobiltà casigliana di allora e fu soltanto con l'unificazione della
monarchia spagnola sotto lo scettro di Ferdinando e Isabella (1479) che la
nobiltà poté dirsi sottomessa al potere regio. Non è senza
significato che col regno di Ferdinando il cattolico comincerà nelle
carte reali, nelle prammatiche e nei regi biglietti ad apparire la segnatura Yo
el Rey , mentre i sovrani precedenti firmavano solamente Rex (seguito
dal nome). Anche le formule cancelleresche rispecchiano così le mutate
condizioni politiche e contengono un'energica affermazione del potere sovrano
di fronte alla nobiltà.
Nell'isola di Sardegna, il cui regime giuridico
nobiliare si ispira alle norme e consuetudini catalane, invalsero i titoli
di nobile , caballero
(militar) donzel e le qualifiche di Don, di generoso e hombre
de paratge . L'isola non conobbe invece quelle di rico hombre, infanzon
e hidalgo, particolari di Aragona, Castiglia e Navarra.
Il testo delle Partidas citate spiega la parola hidalgo come hiyo
d'algo , cioè figlio di qualcuno, ossia di persona di conto.
Per il commentatore di esse, hidalgo significherebbe invece italicus ,
libero da pesi e carichi, poiché gli antichi italici conquistatori
della Spagna, avrebbero goduto del privilegio dell'esenzione dai tributi,
a differenza degli indigeni.
La fidalguia secondo la definizione dello
stesso commentatore sarebbe la " nobleza que viene a los omes
por linage". Viene menomata
moralmente sposando una villana o quando la fidalga sposa un villano. Però,
soggiunge il testo, "la mayor parte de la fidalguia ganan los omes, por
honrra de los padres. Ca maguer la madre sea villana e el padre fidalo, fijo
d'algo es el fiyo que dellos nasciere. E por fijo dalgo se puede contar: mas
non por noble. Mas si nascesse de fija d'algo, e de villano, non tovieron por
derecho que fuesse contado por fijo d'algo".
L'origine degli homens de paratge è discussa
tra gli scrittori. Secondo lo Zurita, essi sarebbero i discendenti dagli antichi
sudditi che, pro
defensione Comitis Barchinonae (R.Borrel), avrebbero, cum equis,
more militum e al seguito del Conte, cacciato dal territorio patrio i
nuovi invasori (anno 987). Il Conte vittorioso li avrebbe così chiamati de
paratico e decorati dei privilegi militari, equiparandoli alla classe
dei cavalieri, assegnando loro in pari tempo case e predi, con l'obbligo di
tenersi nei loro possessi pronti coi cavalli a difendere la terra e la patria.
Anche
un manoscritto del R. Archivio di Cagliari del secolo XVI comproverebbe in
tutto l'opinione dello Zurita. Nelle stesse istruzioni al De Boyl si accenna
agli uomini di paratico: "Che i Riformatori di Sardegna possano punire di morte
gli ufficiali regi colpevoli di delitti, eccettuati gli homens de paratge (essendo
la loro condanna capitale riservata al re); possano però essi punire
i detti ufficiali e uomini de paratge privarli dell'ufficio ed assoggettarli
a pene pecuniarie, rimosso ogni appello, eccezion fatta del governatore a carico
del quale non potevano esser da loro presi quei provvedimenti".
Secondo il Pillito
gli homens de paratge apparterrebbero alla classe dei cavalieri. Egli fonda
tale opinione su una prammatica di Alfonso V del 10.5.1444 in cui è detto
che gli uomini generosi erano soggetti al foro del viceré al pari dei
cavalieri, date che appartenevano al braccio militare, né da esso potevano
separarsi.
Il testo del manoscritto citato dal Pillito conforterebbe questa
ipotesi, in quanto farebbe un tutt'uno dei generosi e degli homines
de paratico con le parole seguenti: "Item de istis hominibus loquitur
pragmatica quaedam regis Martini quae vult ejusdem fori esse nobiles et milites
et homines de paratico sive homines generosos et bis repetens homines de paratge
sive homines generosos, videtur velle quod idem sint homines generosi et homines
de paratico".
Non sembra però che gli argomenti siano sufficienti a fondere queste
tre categorie in un'unica: quella dei militars o cavalieri. La prammatica di
re Martino del 1444 null'altro ci dice se non che i milites et homines de paratico
sive homines generosos, erano soggetti al foro del viceré cioè che
tutti quanti avessero tali qualifiche nobiliari, erano giudicati dal foro privilegiato
di lui. Anche se la prammatica identifica i generosi con gli uomini
di paratico , non dice che gli uni e gli altri debbano identificarsi
coi semplici cavalieri , in antitesi ai nobili.
Nei diplomi nobiliari
sardi del secolo XV spesso citati, abbiamo visto come spesso ricorra la formula personae
militares , de genere generoso seu
de paratico , che pure si riscontra nel sigillo del braccio militare di
Catalogna, ad indicare tutti i membri dello stamento formato dalla nobiltà di
secondo grado in contrapposto a quello dei baroni o ricos hombres e
dei nobili, i quali tutti avrebbero dovuto costituire altro stamento
a sé.
Nei documenti nobiliari sardi più antichi che conosciamo (del secolo
XV e dei primi del XVI) ricorre sempre, come abbiamo visto, la formula militares,
generosos, seu de paratico, la quale è identica a quella usata da re
Giovanni nella prammatica che riconosce a tutti costoro, ad evitare frequenti
dissensi e lotte, la facoltà di costituirsi in braccio separato. Di
tale prammatica, come è noto, fu, a domanda del braccio militare, chiesta
conferma a Ferdinando il Cattolico.
Gli stessi militari, gelosi delle loro prerogative,
chiesero poi ed ottennero dal re, nelle Corti di Monson, che non fosse consentito privilegi
ni orde de Militia a algu home que sia vassal de Prelat, Baro, Cavallero o
Gentil Home ,
se non fosse nell'esercito ove intervenisse personalmente il re (Prammatica
2-9-1510).
Risulta chiaro pertanto che i militars, generosos y homens de paratge sono
contrapposti ai magnates, barones, rici homines et nobiles principatus
Cataloniae e che con questi non si identificano. Non parrebbe d'altra
parte che le tre prime categorie, così bene distinti nelle fonti e contrapposte
ai nobili del principato di Catalogna, possano costituire la stessa classe
di persone.
Può ritenersi che i generosos et homines de paratico fossero
una categoria particolare di privilegiati costituita da coloro che per lunghe
generazioni vantavano antenati illustri nelle imprese belliche contro gli invasori
arabi; erano pertanto in una condizione particolare che si diversifica da quella
dei semplici militars e dei nobili appartenenti, questi ultimi, ad
altro stamento.
E probabilmente la generositas rendeva illustre per
se stessa tutta la famiglia e tutti i discendenti utriusque sexus del
concessionario poiché, come abbiamo visto, nei diplomi sardi del secolo
XV (i quali conferiscono di regola la generositas tacendo della nobiltà),
ricorre la formula di concessione a tutta la discendenza in linea retta inclusa
la femminile, che con la suddetta formula è spesso (sebbene non sempre)
espressa nel privilegio. Naturalmente le donne, secondo il principio universalmente
accettato per i titoli nobiliari non feudali, non la trasmettevano ai discendenti.
Bisogna
venire ai primi del secolo XVI per trovare in Sardegna qualche diploma che
conferisca esclusivamente la nobiltà a chi è già cavaliere,
secondo la prassi che invalse poi nei secoli successivi. Tale è il caso
di Salvatore Aymerich, signore di Mara, che discendendo (come è detto
nel diploma) da antica famiglia e traendo origine ex utroque latere a genere
militari , nonché per altre sue benemerenze, fu gratificato della
nobiltà con diploma di Carlo V in data 20.12.1521.
Nella concessione
a Pantaleo Fanchelli di Ploaghe troviamo invece una formula che differisce
da quelle dei comuni e già considerati diplomi di generosità del
secolo XV. In esso la nobilitas e la generositas vengono
eccezionalmente accoppiate senza che si faccia menzione della qualità di
militar. Inoltre, nel diploma non si accenna che il concessionario fosse già cavaliere.
Al contrario, in altro diploma a favore di Francesco Carta (5.4.1520) gli si
concede il gradum militiae facendo espressa riserva per la pretesa
sua alla generosità e alla nobiltà, la quale ultima gli fu forse
conferita più tardi con diploma separato.
Anche nel diploma a Stefano
Sussarello del 31.5.1539 si conferisce al concessionario solo il cavalierato,
con facoltà però che i discendenti utriusque
sexus legitime possano portare le armi gentilizie concesse.
Ciò induce a credere che in Sardegna, già dai
primi del secolo XVI, si sia abbandonato l'uso di concedere semplici diplomi
di generositas ,
per conferire con diplomi separati il cavalierato e la nobiltà secondo
l'uso generale che invalse sicuramente nell'isola nei secoli XVII e successivi.
Non è possibile però un giudizio assoluto sui pochi diplomi del
secolo XVI esistenti nell'Archivio di Cagliari.
Dalle carte dei primi tempi della
conquista aragonese esistenti nell'Archivio Regio di Cagliari, risulta evidente
che in Aragona, e di riverbero in Sardegna, si tenevano all'epoca già distinti,
i titoli di nobile, di cavaliere o di donzello. Le persone di conto laiche
od ecclesiastiche non fregiate di titoli nobiliari, erano nelle lettere regie
e viceregine variamente qualificate come amati, dilecti, fideles, magnifici,
venerabiles, spectabiles, discreti ;
appellativi ai quali venivano aggiunti, trattandosi di nobili o cavalieri,
i titoli relativi di domnus, nobilis, miles, domicellus, cavaller etc .
Erano
nobiles in genere coloro i quali stavano al sommo della gerarchia statale e sociale,
come ad esempio, nell'isola, i Governatori Generali e i membri della potentissima
famiglia Carroz.
I due titoli di miles (cavaliere) e di nobilis sono poi
chiaramente distinti nella segnatura delle costituzioni del primo parlamento
sardo (anno 1355) e gli esempi potrebbero moltiplicarsi nell'isola per quanto
riguarda le qualifiche di nobilis , di miles e di domicellus attribuite
ai più alti funzionari aragonesi.
Ancora, sono chiaramente distinte le
due qualità di donzel e
di noble in un altro documento del 26.9.1363 e la stessa distinzione
l'abbiamo nel secolo XV (Alfonsus..Nobilem et dilectum consiliarum e maiordomum
et Francisco de Erill militem; dilecto Jacobe de Bessora militi).
Altro fatto
degno di nota è che alcuni primi concessionari di titoli,
capostipiti di famiglie feudali, i cui membri sono più tardi qualificati
nobili e don, figurano nelle prime concessioni o senza i titoli di miles e
di nobilis o col solo titolo di donzel .
Così Michele di Sancto Justo, primo acquisitore di Furti nell'11.11.1415 è qualificato venerabilis
domicellus, habitator Castri Callari ; Azzorre Zapata acquisitore della
Baronia de Lasplassas nel 1561 è qualificato nel 1528 magnifich
mossen donzel unitamente al Magnifich mossen francesch sabbata,
donzel ; Salvatore Aymerich, noble don, heretat en lo Cap de Caller nel
1528, è semplicemente chiamato mossen ed heretat nel parlamento
del 1511, mentre Pere Dedoni è chiamato soltanto magnifich mossen,
donzel , nel parlamento del 1528. Il che farebbe supporre che tutti
costoro erano forniti in origine del solo cavalierato o sforniti di questo
e della nobiltà e che essi stessi od i loro discendenti la conseguirono
posteriormente. Infatti nello citato parlamento del 1528 leggiamo: "al
noble Don Monserrat Sanct Just, heretat en lo Cap de Caller" ; nel parlamento
del 1533: "a Don Fernando Dedoni heretat" e in quello del 1573 "al
noble Don Francesco Capata heretat".
Però, sia nelle lettere regie che negli elenchi parlamentari riferentisi
all'isola, non troviamo mai che i destinatari di esse o i membri dello stamento
militare vengano individualmente chiamati col titolo di generoso; titolo che è invece
conferito come si è visto nei diplomi singoli di concessione di tale
dignità. Ciò starebbe a dimostrare che al generosus (qualificato
appartenente in Catalogna, come il miles , al quarto stamento e facente
parte della nobiltà di 2° grado), era attribuito praticamente, almeno
in Sardegna, quando egli fosse chiamato per nome, il titolo di miles o
di cavaller .
Questi privilegi di generosità si solevano poi chiedere dagli interessati
in Catalogna per avere l'esenzione da carichi e imposizioni nelle città e
ville di loro domicilio, con danno degli abitanti di tali luoghi. Pertanto
il re Pietro nelle corti di Monson del 1363 ordinava: che chiunque di tali
generosi o di quelli che impetrassero d'allora in poi privilegio di generosità "sino
rebran cavalleria, aquells qui ara son generosos, dins un ani del die se la
publicacio de la present, e aquels qui de aqui avant se faran, del die quel
privilegi, o generositat a aquells sera atorgat complador, per no generosos
de tot en tot sien hauts" . Cioè non ricevendo la cavalleria entro
l'anno dal privilegio, era nullo il privilegio stesso.
Una chiara definizione
di homens de paratge si rinviene in una causa, avente per oggetto il feudo
di Mara, fra Don Salvatore Aymerich e Don Pietro Dedoni, il quale sosteneva
l'incapacità del primo acquisitore Aymerich a possedere
il feudo, non essendo uomo de paratico , ma semplice civis : "Homo
de paratico secundum foros Aragoniae et constitutiones principatus Cathaloniae
dicitur homo descendens de progenie militari et antiqua extirpe (sic) nobili
et genologitate quorum procerum qui ob sui et anticorum nobilitatem in multis
decorantur et privilegiantur, atque quamplurimis gaudent privilegijs et signanter
privilegio immunitatis et exemptionis solutionis victigalium, munerum et aliorum
judictionum peragii peyte cise et aliarum imposicionum.Quinimo usque adeo privilegiantur
quodquam modo equiparantur ducibus eomitibus et baronibus in convocatione regie
curie in predictis regno Aragoniae et principatus Cathaloniae ubi dum curia
celebratur in agraduatione personarum convocatarum privilegiantur tam in celebratione
curie et in votis circa negozia in curia gerenda quam in sedendo dum Vestra
Majestas in solio residit. prout patet in Constitutionibus principatus Cathaloniae " e
poco prima afferma che, secondo lo stile e la pratica aragonese se duien
y nomenen homens de paratge los cavallers de antich linatge que en altre mes
modern vocale se duien generosos e danzells matriculats y scrits per tals.
È evidente però che le concessioni di carte di generosità continuavano
a farsi in Spagna nel secolo XIV, se dobbiamo credere alla citata prammatica
di re Pietro (1363), anche a richiesta e a favore di persone nuove, come più tardi
doveva avvenire in Sardegna; persone le quali così venivano, verosimilmente
ad avere un trattamento pari a quello dei generosi discendenti da antica stirpe.
Troviamo
usata la parola generos in Sardegna anche in fonti più tarde.
In una lettera di Filippo III del 2.5.1615 al viceré duca di Gandia,
il re prescrive che siano puntualmente osservate le antiche forme per l'ammissione
al parlamento sardo di coloro che vi abbiano diritto; che gli abilitatori esaminino
anzitutto le prove ed i titoli su cui tal diritto si fonda per modo che i pretendenti
a far parte alle Cortes siano generosos e decidano senza rimettere
tali giudizi direttamente al re o al Consiglio Reale. Ma probabilmente la parola è qui
usata nel senso più ampio di persone decorate di titolo nobiliare che
contano cioè una condizione uguale o equiparata a quella di gentiluomini
di altro lignaggio, fossero essi semplicemente cavalieri, o cavalieri e nobili
insieme.
Sembra pertanto corretto intendere la qualifica di generosos nel
senso generico di persona antiquo genere nata.
La questione è di
fondamentale importanza, e investe tutta la storia del regime nobiliare sardo
e catalano con le sue complesse e non facili questioni. La parola militar in senso strettamente nobiliare indica quindi esclusivamente
la qualifica di cavaliere in contrapposto a quella di nobile. Le qualifiche generosus e de
paratico stanno invece a significare la discendenza da lunga serie di
illustri antenati, creati generosi o parificati ai cavalieri e ai nobili dagli
antichi re, per le loro imprese belliche. Si usò però anche in
senso più largo ad indicare persone insignite in genere di titolo nobiliare,
quando non si volle particolarmente ed esclusivamente indicare la qualità di
cavaliere che spettava pure ai nobili.
E diciamo militare in senso nobiliare perché,
come nota il Fontanella: in
toto discursu dum de militia loquimur intelligimus, idest equestrem ordinem
non militiam belli.
La parola generosus si riferisce alla nobiltà dei
natali nel Commento alla legge III, tit. XXI della Segunda partida del Rey Don
Alonso el Sabio: "Generosus
ex utroque parente dicitur proprie nobilis licet generosus sit, seu filius
d'aigo; ex matre vero generosa patre plepeio genitus, patrem sequitur
et non est generosus seu filius d'algo". E' cioè chiamato fidalgo (non
nobile) il figlio di padre nobile ( generosus ) e di madre plebea.
Il figlio di plebeo e di madre nobile segue la condizione del padre e non è né generoso ne filius
d'algo .
Don Luigi I nella real cedola del 14.8.1724 disse che i generosi
erano propriamente gli hidalgos de sangre y solar conosido (di stirpe antica)
per cui questo titolo significava la hidalguia delle persone di lignaggio
conosciuto ab antico per le sue prodezze militari. Soggiunge il Coroleu
e Pella che in egual senso vedesi usata questa parola negli statuti degli ordini
militari, nell'esigere dai cavalieri nobleza generosa, cioè ereditaria
ed antica.
Tali sarebbero i generosi di sangue che godevano dei vantaggi dei cavalieri
anche se non fossero armati cavalieri, differenziandosi dai donzelli in quanto
questi erano coloro che, senza essere armati cavalieri, erano figli di tali,
anche sei i padri avessero un titolo recente di cavalleria. Madramani nota
che non vi ha sostanziale differenza fra gli hombres de paratge, donceles,
infanzones e generosos rispettivamente d'Aragona, Catalogna
e Valenza e gli hidalgos de sangre y solar conocido (antico
ceppo) di Castiglia e Leon, in particolare con coloro che discendono da quelli
che furono armati cavalieri dagli sproni dorati i cui ascendenti ottennero
o continuarono la nobiltà per i loro servizi militari. Più in
là (continua il suddetto autore) i re concessero titoli di generosidad
che erano come esecutoriali ordinarie di nobiltà e non valevano tanto
come quello di cavaliere, in riconoscenza della lealtà dei plebei che
si distinguevano nei regi servizi.
Evidentemente la generositas, anche intesa
in quest'ultimo senso, è una
qualifica nobiliare generica e le stesse discrepanze degli autori e delle fonti,
mentre dimostrano che le voci accennate non sempre erano intese in senso tassativo
e assoluto, confortano l'opinione su espressa sul più corretto modo
di intenderle.
Questi concetti rispecchiano le definizioni della parola generoso
che troviamo anche negli antichi dizionari catalani e castigliani: "La persona constituida
en altre estat honros desprès dei cavallers ab titol de generositat,
sens esser armat cavaller, per especial privilegi, obtenint armatura de cavaller
dins d'un ani, y altrament no".
***
La gerarchia nobiliare fu determinata chiaramente
da Carlo V nel secolo XVI (1520) per la penisola iberica. In testa figurano
i Grandi di Spagna in numero di 25, ampliato più tardi (90 nel 1660).
Essi si pregiavano di discendere da principi di sangue reale (di Castiglia,
Aragona, Leone, Portogallo e Navarra) o da figli naturali del re. In effetto
la maggior parte dei casati principali di Castiglia e Leone aveva origine
reale anche se si diede il caso (1690) di concedere il grandato al Marchese
di Clarafuente per 300.000 pesos. Essi potevano sedersi e coprirsi il capo
in presenza del re, il re li chiamava cugini e parenti (primos o parientes)
ed essi pretendevano di essere considerati e trattati come uguali, dai sovrani
di Germania e d'Italia. Non potevano essere arrestati che per cedola regia,
non servivano nell'esercito che come capi e avevano privilegi non pochi che
davano luogo a questioni di competenza e a ripicchi personali mentre per
i loro intrighi di palazzo costituivano un pericoloso elemento politico.
Avevano esenzioni e privilegi estensivi anche al loro seguito. I loro beni
costituivano dei veri stati.
Venivano poi gli hidalgos, che godevano del foro
di hidalguia cui erano annesse certe esenzioni tributarie. Grande era il loro
numero e si dividevano in hidalgos de sangre e de privilegio. I primi erano
i più poveri, gli altri sfruttavano
i beni di fortuna e le ricchezze con cui avevano comprata dal re la nobilità o
avevano fondato un maggiorasco. Alla fine del secolo XVII vi erano in Spagna
625.000 nobili. Non potevano essere carcerati per debiti né chiusi nella
prigione comune per cause criminali, né puniti con le pene corporali
ed i supplizi infamanti riservati ai plebei. Grande era l'ambizione di questi
ultimi di nobilitarsi anche per essere esenti dai numerosi tributi e servizi
che li ridussero in gran miseria nel secolo XVII. Le professioni manuali (non
il possesso e la fondazione di fabbriche) erano incompatibili con la nobiltà.
Da tale stato di cose venne un decadimento delle industrie prima fiorenti,
come quelle della lana e della seta.
Il Savelli calcola che nel secolo XVII
esistessero in Spagna, oltre ai Grandi, 26 Duchi, 72 Marchesi, 124 Conti, e
9 Visconti che assorbivano i più alti
gradi dell'esercito e dell'amministrazione, che accumulavano dignità,
titoli e ricchezze essendo possessori di territori vasti come province e di
rendite da 1 a 3 milioni. Così il duca dell'Infantado possedeva 4 milioni
di rendita con 90.000 sudditi e 6000 vassalli nobili; i duchi di Medina di
Risecco, d'Ossuna (famiglie di questo nome dimoravano anche in Sardegna con
i vastissimi feudi di Oliva e di Quirra) e di Medina Simonia, una rendita di
5 milioni.
Gli hidalgos si sforzano di imitarli nel loro sfarzo, che corrispondeva
a quello di vere e proprie corti, indebitandosi fino ai capelli e costituendo
la piaga più dolorosa per lo stato, poiché aspirando ai posti
della burocrazia e dell'esercito e disdegnando il lavoro manuale, costituivano
il maggior numero di spostati.
Quanto precede chiarisce in sommarie linee che,
se pure il regime giuridico della nobiltà in Sardegna ebbe non pochi punti d'affinità col
regime catalano-aragonese, ben diverso ne fu lo svolgimento dal lato eminentemente
politico.
Seri ed insanabili contrasti politici tra la classe nobiliare e la
podestà sovrana
non riscontriamo nell'isola nei periodi aragonese e spagnolo fino almeno al
noto episodio del parlamento Camarassa del 1668, in cui il partito capeggiato
dal marchese di Laconi Don Agostino di Castelvì, sostenitore della riserva
esclusiva degli impieghi ai sardi, rompe in aperta lotta con la rimanente nobiltà che,
(guidata dal marchese di Villasor), appoggiava il viceré ed il sovrano.
Ma mai la nobiltà nell'isola si trovò unita e concorde in pieno
contrasto con la podestà regia. Creazione ed emanazione di essa non
ebbe forza sufficiente per opporsele neppure nei periodi in cui nella penisola
iberica si ebbero gli episodi più significativi e grandiosi di lotta
tra nobiltà e monarchia, né nei momenti di maggior debolezza
di questa.
I più forti e potenti feudatari di Sardegna erano spagnoli e in Spagna
facevano parte dell'entourage del Re, mentre la rimanente nobiltà, pure
travagliata e divisa da odii e da rivalità personali, di cui sono già indice
nel secolo XVI i contrasti tra gli Aymerich e gli Arquer, i Selles e i Torrelles,
restava sottomessa al sovrano paga dei privilegi ricevuti, ed avida di altri.
Occorrerà che una forza nuova ed estranea all'isola entri in gioco,
perché si formi nei primi del secolo XVIII un forte partito antispagnolo.
E tale forza sarà data dalle pretese al trono di Spagna di Carlo VI
d'Austria che, nella lotta contro Filippo V, riuscirà ad attrarre a
sé buona parte della classe nobiliare desiderosa di novità e
vantaggi (Sifuentes, Alagon, Villamarina). Tuttavia questi fervidi seguaci
di casa d'Austria nell'isola, accetteranno più tardi di buon grado i
nuovi sovrani sabaudi imposti dal trattato di Londea, dai quali impetreranno
anzi con ossequienti proteste di fedeltà, la conferma dei precedenti
privilegi nobiliari.
Anche i tentativi di opposizione alla monarchia nel periodo
sabaudo da parte di qualche famiglia o gruppo nobiliare, hanno così scarso rilievo che
non si riesce a coglierne nei documenti la vera fisionomia e l'importanza.
Sono anzi forse più maturati da rivalità di persone e di gruppi,
solleciti di cercare aderenti l'uno contro l'altro, che da un chiaro e preciso
programma politico, cui sarebbe mancata del resto una seria base di attuazione
pratica.
Sotto un altro punto di vista è opportuno raffrontare la nobiltà sarda
con la iberica. Piegata alla monarchia la resistenza di quest'ultima di Ferdinando
il Cattolico, dopo lotte secolari celebri in Aragona, Catalogna e Castiglia,
essa viene trasformata da rurale in cortigiana, secondo gli accorti disegni
del potere regio, e va man mano acquistando nuova fisionomia. Diminuita col
mutar dei tempi la sua forza politica e militare, essa si accresce di numerosi
elementi che impetrano ed ottengono dai re privilegi nobiliari, per averne
vantaggi materiali, esenzioni ed onori, non già per l'antico sentimento
cavalleresco e militare. Intorno ad essa si assiepa, come si è visto,
una moltitudine di aspiranti alla nobiltà, uomini nuovi venuti su col
commercio e con l'industria.
Nel periodo della conquista (sec. XIV-XV), la nobiltà di importazione è quella
che assume nell'isola ogni preponderanza politica. Essa costituita da elementi
stranieri, coopera lealmente e potentemente col re a tale scopo. Così la
soggezione feudale sarà piena e perfetta in Sardegna tanto nei rapporti
dei baroni col re che dei vassalli coi baroni. Mancò pertanto nell'isola
quello stadio di sviluppo e di formazione della nobiltà iberica alla
cui influenza e potenza tanto giovarono le necessità di difesa contro
i mori. I ricos hombres di Castiglia e di Aragona conquistano in
quelle lotte tale posizione di preminenza da considerarsi quasi uguali ai re
ed il grandato di Spagna, con le sue sconfinate prerogative, ne è il
miglior indice anche in tempi più recenti.
Si è giustamente osservato che il feudalesimo spagnolo differisce moltissimo,
nei rapporti tra signori e vassalli, da quello francese e tedesco, ove la gerarchia
feudale si rivela, anche se non in tutti i momenti storici, assai più forte
e compatta. La Catalogna invece, meno soggetta alle devastazioni e alle aggressioni
arabe, ebbe un sistema di feudo che più si avvicina a quello dell'Europa
continentale.
Nondimeno il regime giuridico del feudo catalano non fu esteso
alla Sardegna, poiché i conquistatori vi introdussero deliberatamente
le forme secundum
morem Italiae , con l'intento di tenere maggiormente avvinti a sé i
nuovi concessionari dei feudi. Soltanto gradualmente e più tardi introducono
con le impropriazioni ( feudi secundum quid ) e con gli allodi,
forme che conferiscono maggiori privilegi e facoltà di feudatari, sia
per quanto riguarda il diritto successorio (ammissione della successione femminile
in linea retta in mancanza di maschi, e dei collaterali), sia per quanto riguarda
la disponibilità del feudo per atto inter vivos . Anche il
diritto di intestia , caratteristico del feudo catalano, non è documentato
in modo da poter sostenere che di regola fosse applicato nell'isola; la cugucia (diritto
del signore sulla metà dei beni dell'adultera) proprio del feudo catalano,
non ebbe applicazione in Sardegna, o almeno non ne conosciamo traccia, e l'obbligo
del vassallo di risiedere nel feudo salvo riscatto fu abolito, a richiesta
degli stessi baroni, nel parlamento del 1452.
Altri diritti che non trovano
affatto riscontro in Sardegna sono: la exorquia per
cui il signore riceveva dal vassallo che non lasciava figli, una porzione equivalente
alla legittima del figlio; la arsina per cui quando un predio si
incendiava casualmente il paesano era tenuto a dare al signore il terzo dei
suoi beni; la firma de spoli , per cui esso riceveva due soldi per
lira sull'importo della dote della donna che sposava una remensa .
Tutte queste imposizioni vigenti pienamente in Catalogna prima dell'emancipazione
delle classi rurali, furono ignoti all'isola, le cui prestazioni feudali si
ricalcarono invece sul vecchio sistema tributario locale, anteriore alla conquista
aragonese.
Inoltre le città nella penisola iberica godettero di sconfinati privilegi
che le costituirono in una notevole posizione di indipendenza non solo di fronte
al re, ma anche alla nobiltà. Tali privilegi vennero estesi, è vero,
anche ad alcune città sarde come Cagliari ed Alghero e più tardi
Sassari; ma esse, più che per forza propria, li ottennero come benigne
concessioni sovrane fatte, more patrio , ai catalani ivi abitanti.
La
nobiltà indigena, come appare dalle linee di evoluzione già tracciate,
si forma assai tardi nell'isola. Affiancata alla vecchia, potente e fedele
nobiltà aragonese e spagnola, che è creazione della maestà sovrana,
al re si mantiene quasi sempre ligia e sottomessa, paga dei privilegi ricevuti.
Anche nei momenti più gravi della storia isolana e di maggior pericolo
per la monarchia, fu sempre alleata di questa da cui si contentò di
ottenere, per via d'ossequiente domanda, le ambite prerogative.
Essendo venuta
meno in Sardegna con la conquista una vera e propria classe nobiliare indigena
di origine militare, le concessioni fatte per imprese belliche furono per lo
più ristrette a particolari persone e ad episodi di valore
individuale. Negli ultimi secoli, e specialmente durante la dominazione sabauda,
il movente delle numerose concessioni trae origine dalla necessità di
ricompensare importanti servizi civili resi alla corona o da singole benemerenze
(opere pubbliche, miglioramenti nell'agricoltura, servizi prestati nella magistratura);
ed infine da ragioni patrimoniali (somme offerte al tesoro regio per la concessione
dei titoli).
Talora anche i titoli rappresentano compensi per la retrocessione
alla Corona, fatta da particolari, di diritti già concessi in precedenza
dal fisco ai loro antenati (feudi, scrivanie, emolumenti patrimoniali).
Esula
evidentemente da tutte queste concessioni ogni carattere militare e invano
si cercherebbe in esse quelle ragioni di lotte e di contrasti col potere regio,
che resero così celebre la nobiltà dei grandi stati continentali.