Visita guidata nel quartiere Castello (Cagliari) - primo itinerario

di Luigi Orrù di San Raimondo

Piazza Palazzo – Via Canelles – Via Genovesi – Vico Lamarmora- Via Lamarmora – Piazza Palazzo

Piazza Palazzo

La nostra visita nel quartiere Castello di Cagliari, sulle tracce delle famiglie nobili sarde, prende inizio dalla Piazza Palazzo, la piazza che per diversi secoli rappresentò il centro del potere politico, religioso ed amministrativo. Nella Piazza infatti si trovano il Palazzo Reale (detto anche Regio o Viceregio), il Palazzo arcivescovile, la Cattedrale di S. Maria, la Chiesa di N.S. della Speranza e l'antico palazzo di città.

Clicca per vedere la foto ingrandita
Palazzo Reale

Palazzo Reale: Già esistente ai tempi della dominazione pisana, con la conquista aragonese il Palazzo divenne ben presto sede e dimora del rappresentante del nuovo potere. Numerosi documenti attestano come fino alla fine del ‘600 il palazzo subì diverse modifiche, ampliamenti e ristrutturazioni, tutte volte a permettere al palazzo non solo di fungere da sede del viceré e della sua corte, ma anche di svolgere le diverse funzioni pubbliche che via via assumeva. Con la dominazione sabauda il Palazzo ricevette nuove attenzioni. Tra il 1730 ed il 1770 vennero svolti una serie di imponenti lavori che, terminati alla fine del secolo, diedero al Palazzo Reale la configurazione attuale.

Clicca per vedere la foto ingrandita
Interno del Palazzo Reale

Il Palazzo, nella sua lunga storia, accolse diversi sovrani: Pietro IV il Cerimonioso e Alfonso V il Magnanimo (1355 e 1421), Carlo V (1535) ed infine, tra il 1799 ed il 1814, la famiglia reale in fuga da Torino (Vittorio Emanuele I vi soggiornò dal 1806 al 1814).
Con l’abolizione a metà dell’Ottocento del vice regato, l’immobile venne destinato ad uffici della pubblica amministrazione. Attualmente è di proprietà della Provincia di Cagliari.

Palazzo Arcivescovile: Il palazzo, già esistente nel XIII secolo, è da sempre la sede dell’Arcivescovo. Profondamente rimaneggiato nel corso dei secoli, appare oggi secondo l’ultimo rifacimento avvenuto negli anni ’30 del secolo scorso. Dalle semplici linee architettoniche, presenta nell’androne un elegante scalone in marmo. Il primo piano ospitò nei primi dell’Ottocento Carlo Felice.
Clicca per vedere la foto ingrandita
Palazzo Arcivescovile

Cattedrale di S. Maria: La chiesa di Santa Maria fu costruita dai Pisani nel XIII secolo. Sebbene l'impianto si sia mantenuto sostanzialmente inalterato nel corso dei secoli, anche per la mancanza di spazio circostante, diversi furono invece gli interventi al suo interno. Già dopo il 1274 la chiesa fu modificata secondo lo stile gotico. Tali interventi proseguirono anche dopo la conquista aragonese. Nel 1612 l'arcivescovo D'Esquivel decise di rialzare il presbiterio creando la cripta dei martiri cagliaritani. I lavori più imponenti vennero però realizzati dall'arcivescovo Vico che tra il 1669 ed il 1674 trasformò la chiesa con numerosi interventi e privilegiandone lo stile barocco.

 
Clicca per vedere la foto ingrandita
Cattedrale

Gli interventi nella chiesa, seppur meno invadenti, proseguirono fino al XX secolo con i dipinti realizzati dal pittore Filippo Figari ed il rifacimento della facciata negli anni ’30 in stile “romanico – pisano – lucchese”.
Nella Cattedrale, oltre alle spoglie di Giuseppa Maria Luigia di Savoia e di Carlo Emanuele di Savoia, si trovano diverse “tracce” delle famiglie nobili sarde. Abbiamo fatto cenno all’importante ruolo del Vico. Era costui esponente di spicco di una famiglia corsa trapiantata a Sassari e nobilitata nel ‘600. Figlio del grande giurista e storico Francesco Vico, Pietro nacque a Sassari nel 1596. Fu Arcivescovo di Oristano prima e successivamente, dal 1657 fino al 1676, anno della sua morte, Arcivescovo di Cagliari. Nella Chiesa primaziale cagliaritana troviamo lo stemma dei Vico nel pulpito e sotto la statua in marmo della Madonna di Montserrat posta sopra il coro, dietro l’altare maggiore.


Clicca per vedere la foto ingrandita
Monumento ad Ambrogio Machin

Dedicato invece all’Arcivescovo Ambrogio Machin è il monumento situato nel braccio sinistro del transetto, sotto la tribuna costruita per permettere alla famiglia reale di assistere alle funzioni sacre. L’Arcivescovo è rappresentato mentre prega.
Alla destra dell’altare maggiore è presente una bella credenza marmorea costruita nel 1702 dal canonico Pietro Sanna per deporvi gli arredi sacri necessari per le funzioni religiose. Nella credenza è raffigurato lo stemma dei Sanna.

 
Clicca per vedere la foto ingrandita
Mausoleo di M. Giuseppina di Savoia

Nella cripta dei Santi Martiri, sono collocati il mausoleo in memoria di Maria Giuseppina di Savoia (1753 - 1810), la cui salma venne trasportata a Cagliari nel 1811. Il mausoleo venne realizzato dallo scultore sassarese Andrea Galassi, su commissione del fratello di Giuseppa, Carlo Felice. Sempre nella cripta si trova il monumento al principino Carlo Emanuele di Savoia, figlio di Vittorio Emanuele I, morto di vaiolo nel 1799. L'opera fu realizzata da Fra Antonio Cano.


Clicca per vedere la foto ingrandita
Monumento a Luigi Amat

Nella navata sinistra, nella terza cappella, si trova il monumento funebre al Collare dell’Annunziata Luigi Amat di Sorso, illustre esponente della famiglia Amat. L’opera venne realizzata dallo scultore palermitano Federico Siracusa.
Per concludere, nella seconda cappella della navata destra troviamo l’altare costruito nel 1776 dal canonico Giovanni Maria Solinas.

Chiesa della Speranza: Situata tra la Cattedrale e l’ex palazzo di città, agli inizi della Via Fossario, la Chiesa della Speranza riveste un significato molto importante per la nobiltà sarda. E’ qui infatti che durante la dominazione spagnola si riuniva lo stamento militare, ovverosia il ramo del parlamento formato dall’aristocrazia (mentre il ramo reale si riuniva nel Palazzo di città ed il ramo ecclesiastico nella Cattedrale, dove poi si riuniva l’intero parlamento in seduta comune).
Anche dopo aver perso la sua funzione “politica”, la chiesa fu fino ai decenni scorsi un punto di ritrovo delle famiglie aristocratiche, che qui celebravano la novena della Madonna della Speranza (la cui festa, il 18 dicembre, viene ancora oggi celebrata nella chiesetta).

Le prime notizie relative ad una Cappella intitolata alla Madonna della Speranza, fondata dalla famiglia Aymerich, risalgono alla metà del XV secolo. Non vi è però unanimità tra gli studiosi se la Chiesa fosse sin dall’inizio un edificio autonomo o parte della Cattedrale. Realizzata in stile gotico – catalano, presenta un ambiente rettangolare con volte a crociera, completa quella centrale e mezze quelle estreme. Sulla destra sono presenti tre cappelline laterali, anch’esse con volta a crociera completa.
Lo stemma della famiglia Aymerich con l’aquila bicipite concessa da Carlo V a Salvatore Aymerich nel 1535 compare sia nella chiave di volta della campata centrale sia nella facciata esterna.

Interno della Chiesa

Ex Palazzo di Città: L’edificio venne con ogni probabilità costruito nel XIV secolo, quando Alfonso IV d’Aragona, accogliendo un’istanza dei consiglieri cittadini, autorizzò nel 1331 la costruzione di una sede adeguata alle funzioni di una città regia. La lastra marmorea posta sopra il portale ricorda la visita di Carlo V nel 1535 prima della spedizione verso Tunisi.
Il palazzo venne ampiamente ristrutturato nella seconda metà del XVIII secolo, secondo lo stile del tardobarocco piemontese. Fino ai primi anni del ‘900 fu sede del Comune di Cagliari.

Via Canelles

Proseguendo la nostra visita verso Via Canelles, notiamo di fronte alla Piazza Palazzo alcuni palazzi aristocratici, appartenuti alle famiglie Lostia, Pes di Villamarina, agli Amat ed ai Flores. Sono palazzi dalle linee molto semplici, e ciò può lasciare perplessi. Considerato che i palazzi costituivano un simbolo esteriore della potenza raggiunta da una famiglia, può sembrar strano che palazzi situati di fronte alla piazza più importante della città non fossero arricchiti da linee e decorazioni significative. In realtà dobbiamo tener presente che la Piazza Palazzo ha assunto l'attuale forma solo dopo il 1912. Prima di questa data erano presenti diversi edifici che rendevano la piazza stessa piuttosto angusta. Ciò può spiegare quindi come alcuni dei palazzi sopra citati (es. Palazzo Amat) abbiano la facciata più rappresentativa che dà sulla Via Lamarmora anziché sulla Piazza Palazzo.
Palazzo Pes di Villamarina (V. Canelles, 62): Il palazzo, stilisticamente semplice, e confinante da un lato con il palazzo Amat (già Flores d'Arcais) e dall'altro lato con un palazzo di proprietà Lostia, risultava alla metà dell'800 di proprietà della nobile famiglia Pes di Villamarina.
Palazzo Amat (Flores d'Arcais) (V. Canelles 60 - V. Lamarmora 93): Appartenuto originariamente ai Flores d’Arcais (e non ai De Candia come indicato in alcuni testi), il palazzo presenta una facciata, opera del Cima, verso via Lamarmora; ed un’altra, decisamente più semplice e priva di decorazioni verso la Via Canelles. Il palazzo, intorno al 1900, venne venduto a Carlo Amat Quesada, fratello minore del Marchese Amat di San Filippo.

Palazzo Serra di Santa Maria (V. Canelles, 58): Il palazzo, originariamente appartenente alla famiglia Usay, successivamente venne acquistato da Donna Maria Maddalena Zapata, madre del Marchese d’Albis Francesco Manca Guiso. Ricostruito alla fine del ‘700 inglobando altri due edifici della via Lamarmora, venne acquisito nella prima metà dell’800 dalla nobile e ricca famiglia Serra di Santa Maria, originaria di Selegas (nella facciata del palazzo compare lo stemma di questa famiglia).
Il 27 luglio del 1902 tra queste mura venne assassinato, da un domestico infedele, il proprietario Emanuele Serra di Santa Maria. La figlia Chiara, divenuta Suora col nome di Madre Odile, ereditò il patrimonio paterno, destinando tutti i suoi averi alla Congregazione delle Suore di Carità di Santa Maria. Tra questi venne ereditato anche il palazzo, che ancora oggi è posseduto dalla Congregazione. Ancora arredato con diversi mobili originali, tra cui lo studio dove fu commesso il delitto, al suo interno sono visibili gli stemmi delle famiglie Serra di S. Maria e Carboni. È presente anche una cappella. La famiglia possedeva anche un altro palazzo nella parte alta di via Lamarmora, adiacente al palazzo Sanjust, di fronte alla chiesa della Purissima.

Palazzo Lostia di Santa Sofia (V. Canelles, 31/33 - Via Duomo, 4): Nel 1830 il conte Raffaele Lostia di S. Sofia lo acquistò dal marchese di Samassi Don Giuseppe Simon Carcassona per 9.000 lire sarde. L’edificio si sviluppa su tre piani. Intorno alla metà dell’800 fu modificato dall’architetto Gaetano Cima, che costruì un nuovo ingresso sulla via Canelles, con volte a botte e a padiglione affrescate, impreziosito da lesene e da una cornice modanata, oggi purtroppo fortemente degradate. Originariamente aveva l’ingresso nella via del Duomo, che esiste tuttora, e facciata sulla via Canelles. Queste le coerenze nel citate 1830: a sud con la casa degli eredi Pullo Delvecchio, a nord con l’ufficio della Reale Insinuazione, di prospetto nella strada della Speranza (oggi via Duomo) con una casa del Capitolo ed una del Barone di Villa Peruccio e per l’altra facciata in via Santa Caterina, o dei Cavalieri, con la casa del Cav. Carlo Palietti. Il palazzo venne abitato sino alla prima metà del XX secolo dalla nobile famiglia Lostia di Santa Sofia; nello stesso periodo una parte, per via di matrimonio, passò al marchese Vittorio Quesada di S. Sebastiano.

Palazzo Sanna Sulis (Via Canelles, 46/48): Retro del palazzo Sanna Sulis
Retro del Palazzo Sanna Sulis
Palazzo Sanna Sulis

Palazzo Atzeni Tedesco (V. Canelles, 25/19): Di probabile antico impianto, il palazzo conclude l'isolato tra la via Canelles, il vico primo Lamarmora e via del Duomo e ha subito diversi rifacimenti sino ad arrivare all'attuale aspetto con accenni tardo neoclassici - liberty. Si sviluppa su due piani alti, mezzanelli e pianterreno; la facciata è scandita da cornici marcapiano e da un cornicione a motivi floreali e sei finestre accoppiate in ogni piano. Lungo il piano terra delle facciate ritroviamo il particolare finto bugnato liscio continuo, attribuito, secondo diverse pubblicazioni, a Gaetano Cima, ma senza prove. Ciascuna apertura, dotata di un balconcino, è riquadrata da eleganti colonnine a spirale e sormontata da formelle in cotto raffiguranti teste femminili. Le finestre del primo piano sono sormontate, alternativamente, da cornici rettilinee a trabeazione poggianti su mensole. Il portale d'ingresso ad arco, con cornice in pietra modanata, è di fattura settecentesca che richiama altri ingressi del quartiere, quali quello del vicino antico ingresso sul retro del Palazzo Pes Sanna-Sulis in via Canelles 48, quello del Palazzo già Sini-Fundoni in via Canelles 56, e ancora quelli del Palazzo del marchese di Samassi (oggi Floris-Thorel) in via Lamarmora e del Palazzo Fois via Genovesi 112. L'interessante ingresso presenta un arco ribassato che immette al vano scala, caratterizzato da una doppia rampa a tenaglia, con corrimano a colonnine, che porta a un primo pianerottolo di ingresso ai mezzanelli, sulla cui balaustra poggiano le colonnine che reggono la volta. Una seconda rampa conduce agli appartamenti del piano nobile e del secondo piano. Non si conosce l'epoca né la committenza di questa particolare scala, che presenta alcune vaghe analogie con quella del Palazzo Floris-Thorel, riscontrabili nella volta e nell'uso di balaustre a rampe alternate. In fondo all'ingresso, sotto la scala, un altro ambiente dava accesso ai sotterranei, oggi murati.


Nonostante l'attuale denominazione sia piuttosto recente e borghese - anni '30 del Novecento - il palazzo ha una sua lunga e nobile storia. Le notizie storiche ci riportano alla seconda metà del Settecento, e precisamente al 1768, quando, da un documento, apprendiamo che apparteneva al nobile avvocato Salvatore Durante, cavaliere; successivamente, data la sua posizione vicina al regio palazzo e quindi al centro del potere, fu abitato, come altri palazzi vicini, da alcuni giudici della Reale Udienza. Più tardi, un censimento del 1825 attesta che, nella strada di Santa Caterina, abitava il nobile tempiese Don Pietro Misorro. Non sappiamo con certezza se si tratti dello stesso edificio, però qualche anno dopo, e precisamente intorno al 1850, il registro del vecchio catasto ci indica che la proprietaria ne era Donna Ignazia Misorro del fu Raimondo, residente in Genova, maritata al nob. Luigi Augusto Buglioni dei conti di Monale, poi ammiraglio e senatore del Regno, aiutante generale di campo del Re. La stessa proprietaria possedeva anche la casa in via Genovesi, che lo stesso registro catastale ci dice con una postilla, esser "passata a De Candia", nome con cui quest'ultimo palazzo è tuttora noto. Tornando al palazzo Atzeni-Tedesco, ci torna ancora una volta in aiuto un registro del vecchio catasto, dal quale apprendiamo che, intorno al 1875, apparteneva al prof. avvocato Antioco Loru (Villacidro, 1818 - Cagliari, 1898), docente di diritto nella nostra università, di cui fu anche Rettore Magnifico dal 1868 al 1872 e dal 1885 al 1886, Preside della Facoltà di giurisprudenza (1875-1883). Fu ancora Sindaco di Cagliari nel 1851-1852, consigliere e presidente del Consiglio provinciale di Cagliari, consigliere comunale. Nel 1883 fu nominato Senatore del Regno d'Italia. Una personalità di tutto rispetto nella nostra città insomma. Era sposato con Donna Luigia Boy Dearca, proprietaria a sua volta del Palazzo già Otger nel vico primo Lamarmora. Fino al 1920, anno della morte, vi abitò Donna Luisa Roych ved. del console di Turchia Don Giuseppe Sanjust Amat, che non sappiamo se ne sia stata anche proprietaria dopo il senatore Loru. La presenza della famiglia Atzeni-Tedesco è attestata dal censimento della cattedrale del 1930, dove questo palazzo risulta essere abitato da ben dieci famiglie, divise tra sottani, mezzanelli, primo e secondo piano: al primo piano risulta infatti risiedere il Dott. Plinio Atzeni Tedesco, un medico chirurgo e professore universitario, nato a Cagliari nel 1897 e morto a Roma nel 1980, con la moglie Maria Setti, senza figli. L'edificio è stato dichiarato d'interesse culturale con decreto del 16 febbraio 1989.
Palazzo Otger (Vico I Lamarmora): Conclude l’isolato, con ingresso nel vico 1° Lamarmora, il palazzo – o almeno ciò che resta – di Don Luigi Porcile (1848-1920). La facciata, in due piani alti più un ammezzato, non si discosta molto dallo stile di altri edifici del quartiere, se non per l’uso, abbastanza inconsueto nel rione, di mattoncini a vista, per i piani alti, che ne rendono gradevole l’aspetto, mentre l’ammezzato e il piano terra sono rivestiti di fasce continue ad intonaco liscio. Le aperture del piano nobile sono caratterizzate da cinque balconi in ferro battuto (uno non più esistente). Quello centrale, più ampio rispetto agli altri, è affiancato da altri due balconcini in muratura posti a filo della facciata, mentre al secondo piano sono presenti solo i balconi posti alle estremità, mancando quello centrale. La finestra centrale del piano nobile è sormontata da un timpano a lunetta, affiancata da finestre sormontate invece da cornici rettilinee a trabeazione poggianti su mensole; le altre finestre laterali, a coppie, sono decorate invece da motivi floreali, così come quelle del piano superiore. È probabilmente uno degli ultimi interventi nel quartiere, riscontrabili da elementi Liberty, eseguiti alla fine dell'Ottocento, quando l'edificio, unitamente al vicino Palazzo oggi noto come Atzeni-Tedesco, apparteneva a Donna Luigia Boy Dearca, moglie del prof. Antioco Loru, senatore, sindaco di Cagliari e rettore della nostra Università. Il fregio posto sul portone d’ingresso, a forma di cartiglio piumato, reca le di lei iniziali L B (Luigia Boy) sormontate dalla corona nobiliare. In diverse pubblicazioni viene citato come palazzo Atzeri-Vacca-Deroma-Serra di S. Maria: nulla sappiamo sugli Atzeri-Vacca e sull’appartenenza ai Deroma, famiglia oristanese; notiamo che questi ultimi erano marchesi di S. Maria, mentre la famiglia Serra di S. Maria possedette, nel ‘900 il prospiciente palazzo già dei Borro. Forse l’omonimia di predicato ha creato qualche confusione. Il palazzo invece ha una sua storia abbastanza documentata, che ci permette di attribuirne la proprietà alla famiglia Otger e precedentemente ai Carnicer, dai quali prese anche nome il vicolo. Con sentenza del 17 marzo 1824, infatti, la Reale Udienza autorizzava il barone Don Vincenzo Otger di Villaperuccio alla vendita di un predio in località Su Loi, sottoposto a fidecommesso, surrogandone il valore con la casa grande posseduta dallo stesso barone entro il Castello di Cagliari, “che ha tre facciate una alla strada dritta, altra alla discesa denominata di Carnicer, e la terza alla strada di Santa Caterina confinante da una parte a casa dell’Ill.mo Sig. Marchese di Laconi, dall’altro a casa dell’Ill.ma Sig.ra Marchesa La Planargia, e dalla terza alla casa dell’Ill.ma Sig.ra Marchesa S. Vittorio, e per la parte di dietro laterale ancora alla casa dello speziale Giuseppe Lai, che prima era dell’Ill.mo Sig. Marchese Laconi”. Storicamente sappiamo che nel 1563 apparteneva a Don Pietro Alagon e confinava di spalle con le case del nobile Don Monserrato Sanjust verso la via Canelles e parte con case dell’Egr. “Misser” Giovanni Atzeni verso la via Lamarmora, oggi rispettivamente Palazzo Carboni e Palazzo Ponsiglioni già Rodriguez. Successivamente posseduta dai coniugi Don Raimondo e Donna Isabella Zatrillas, fu poi di Don Antonio Masones e nel 1645 fu posta al pubblico incanto e acquistata dal nobile Don Francesco Carnicer. Questi i confini dell’epoca: nel carrer major, affronta per davanti a casa del fu Gaspare Fortesa, oggi posseduta dal dott. in diritto Antioco Cani Spada, parte a casa del fu Michele Masones che oggi possiede il nob. Don Matteo Manconi strada frammezzo, di spalle con casa del fu nob. Don Melchiorre Aymerich Signore della villa di Mara che oggi possiede il nob. Don Ignazio Aymerich conte di Villamar, da un lato con casa dell’Illustre qm. Don Jayme de Castelví marchese di Laconi, che oggi possiede l’Illustre Marchese di Laconi, il suddetto carrer major mediante, dall’altro lato con casa del fu nob. Don Luigi de Aragaill y Gualbes strada frammezzo, che oggi possiede l’Ill. Marchese di Palmas”.
Con la morte senza successione dell’ultimo Carnicer, Don Francesco, nel 1787 e l’estinzione della famiglia, il palazzo e tutti i suoi beni vennero lasciati per testamento alla di lui vedova Donna Luigia Ripoll, che poco tempo dopo si risposò con Don Francesco Giuseppe Otger, barone di Villaperuccio; da questo matrimonio nacque un figlio, Don Vincenzo Otger, che erediterà il palazzo Carnicer, unitamente ad altro degli Otger poco distante, nella via Duomo, una vigna in regione S. Maria Chiara tra Cagliari e Pirri (nell’attuale via Cadello), altra vigna a Sarroch, un predio a Quartucciu ed alcune case alla Marina. Anche Don Vincenzo Otger fu l’ultimo della sua famiglia (ebbe solo una figlia illegittima riconosciuta), e col suo testamento del 2 marzo 1834 lasciò il suo patrimonio ai poveri di Cagliari, in suffragio della sua anima. Con Regio Brevetto del 22 maggio 1847 fu approvato il piano di riparto fra i vari pii stabilimenti cittadini e questo palazzo venne assegnato all’Ospedale Civile, mentre l’altro di via Duomo venne assegnato al Conservatorio della Provvidenza. Nel 1811 il palazzo Otger-Carnicer risulta affittato al conte Don Pietro Ballero, Intendente generale del Monte di Riscatto. L’ultimo Barone Otger vi abitò fino alla morte, preferendo affittare la vecchia casa di via Duomo. Dal testamento del barone Otger emerge il ritratto di una persona raffinata, che praticava la musica e il ballo, di cui aveva un maestro, ed ospitale verso i musicisti forestieri.


Clicca per vedere la foto ingrandita
Palazzo Otger

Palazzo Pes di San Vittorio (Vivaldi Pasqua) (V. Canelles, 17/15): Il palazzo appartenne al marchese Don Pietro Vivaldi Zatrillas (1754-1809); fu portato in dote dalla figlia Caterina Vivaldi Chabod (1789-1847) nel 1811 a Don Giuseppe Maria Pes de Quesada, 2° marchese di S. Vittorio (1781-1860), che nel 1844, a causa della sua numerosa famiglia e strettezza del suo patrimonio, ottenne dalla R. Cancelleria lo svincolamento di un terzo del compenso sul riscatto feudale accordatogli. La dote apportata dalla moglie valeva 8.000 scudi, di cui 5.000 nel valore del palazzo di Castello. Per spese di restauro dovettero accendere due censi al 6 %. Nel 1844 si rinnovò il tetto e si eresse un altro piano. Il prezzo del riscatto del Marchesato di San Vittorio fu stabilito in lire sarde 43,738.1.8, pari a lire nuove 83,977.12 corrispondenti al 100 per 5 alla rendita di lire sarde 2186.18.1, pari a lire nuove 4198,856.
Don Pietro Vivaldi Chabod fu il primo Duca di S. Giovanni nel 1823, nel 1816 si trasferì e prese moglie a Genova.
Gli eredi del marchese Pes de Quesada furono Maria Teresa, sposata col marchese Ignazio Aymerich di Laconi, e Don Pietro (1814-circa 1858/60), sposato con Donna Margherita Ripoll Cadello (1819-1860), di cui furono figli Don Emanuele Pes, ultimo marchese di S. Vittorio (1854-1941) e Donna Anna Maria (1856-1932) moglie in prime nozze di Don Francesco Boi Salazar e in seconde nozze del Visconte Don Raffaele Asquer Salazar (1861- 1934).
Nel 1645 l edificio apparteneva al marchese di Palmas Don Alfonso Gualbes y Zuñiga e prima ancora era di suo padre Don Lluis Gualbes y (Bellit) de Aragall (1560-1636), primo acquisitore del marchesato di Palmas.
Le forti strombature aggiunte nell ingresso servivano per il passaggio delle carrozze, ma, secondo alcuni, furono praticate per agevolare le manovre dell’automobile del Visconte Asquer.

Palazzo Serra (Sanjust) (V. Canelles, 11/9): Scheda in corso di preparazione

Palazzo Carboni (V. Canelles 38/36 - Via Lamarmora 37/41)
Palazzo Asquer (V. Canelles 32/22): Il palazzo sorge al posto di un altro edificio dal quale nel 1688 partirono i colpi che uccisero il Vicerè di Camarassa. A seguito di quest’omicidio la casa, di proprietà Brondo, venne rasa al suolo. Nel nuovo edificio, tutt’oggi esistente, compare la lapide seicentesca in memoria dell’omicidio il cui testo recita: "PARA PERPETVA NOTA DE INFAMIA DE QVE FVEREON TRAYDORES DEL REY NVESTRO SENOR DON JAIME ARTAL DEL CASTELVI QVE FVE MARQVES DE CEA DONA FRANCISCA CETRILLAS QVE FVE MARQVESA DE SIETEFUENTE DON ANTONIO BRONDO DON SILVESTRE AYMERICH DON FRANCISCO CAO DON FRANCISCO PORTVGVES Y DON GAVINO GRIXONI COMO REOS DE CRIMEN LESE MAGESTAD POR HOMICIDAS DEL MARQVES DE CAMARASA VIRREY DE CERDENA FVERON CONDENADOS A MVERTE PERDIDA DE BIENES Y DE HONORES DEMOLIDAS SVS CASAS CONSERVANDI EN SV RVINA ETERNA IGNOMIA DE SV NEFANDA MEMORIA Y POR SER EN ESTO SITIO LA CASA DE DONDE SE COMETIO DELICTO TAN ATROZ A VEYNTE Y VNO DE JYLIO DE MIL SEISCIOENTOS SESENTA Y OCHO SE ERIGIO ESTE EPITAPHIO"

Palazzi Sanjust / De Candia (V. Canelles, 7/3): Il complesso, comprendente i numeri civici 7,5 e 3 della via Canelles e il n. 10 di via Fossario, costituisce oggi un unico edificio di proprietà delle Pie Suore della Redenzione. Un tempo era invece formato da due distinti palazzi: uno di proprietà Sanjust e l'altro di proprietà De Candia.
Il primo palazzo - il cui ingresso principale è su via Fossario mentre da V. Canelles 7 si accedeva alla carrozziera - apparteneva al Barone di Teulada Don Carlo Sanjust, che nel Vecchio Sommarione del Catasto di metà '800 risulta proprietario anche dell'adiacente palazzo ai nn. 9/11, poi venduto alla famiglia dei Conti Serra. Fu abitato dai discendenti fino agli anni '30 con Donna Mariangela Sanjust Aymerich e il marito Don Orazio Sanjust Roberti. Negli stessi anni una parte del palazzo venne affittato dapprima al Circolo filarmonico, di cui fu l'ultima sede e successivamente alla Congregazione delle Pie Suore della Redenzione, fondata dalla cagliaritana Suor Anna Figus nel 1935. All'interno il palazzo presenta scaloni in marmo ed uno in legno con un prezioso parquet nella sala da ballo.
Il secondo palazzo (Via Canelles, 5) appartenne invece al celebre tenore Don Giovanni Matteo De Candia, in arte Mario. Il canonico Spano ne fa menzione nella sua Guida, descrivendolo attiguo all'allora monastero di S. Caterina, dove oggi son le omonime scuole, come meritevole di una visita per esservi raccolta una collezione di quadri antichi, ceramiche, bronzetti sardi, vasi greco-siculi e libri rari. E il Vecchio Sommarione del Catasto infatti ci conferma che la casa in via S. Caterina n. 1 apparteneva allora a "Decandia Don Giovanni a Londra amministrato dal suo fratello Don Carlo". Il palazzo passò poi in proprietà alla famiglia Loy Donà e successivamente passò anch'esso alle Pie Suore della Redenzione, che uniti i due edifici, ne hanno fatto la loro Casa Madre.

Palazzo Pes - Viale (V. Canelles, 4): Il palazzo, situato alla fine della Via Canelles, fu costruito dalla nobile famiglia Viale, nobilitata alla fine del ‘700 ed oggi estinta. Nel balcone centrale del primo piano, fino a pochi anni fa, era presente nella ringhiera in ferro battuto lo stemma di questa famiglia (lo stemma è stato poi ricostruito durante l'ultimo restauro). Il palazzo si articola su due piani con un bel portale d’ingresso, di gusto manieristico.
Nell’800 il palazzo passò alla nobile famiglia Castelli. Qui visse il Generale Luigi Castelli (1810 - 1885) con la moglie Donna Gabriella Corte. Alla morte di quest'ultima il palazzo venne donato ai discendenti Pes Corte (la sorella di Donna Gabriella Corte, Luigia, aveva infatti sposato il Conte Rafaele Pes).

Scuola Elementare Santa Caterina (Piazza Angioni, 1): Costruito nel 1907 con uno stile neoclassico sull’area rimasta libera in seguito alla demolizione della chiesa e dell’annesso convento, risalenti al 1641, l’edificio ospita la scuola elementare Santa Caterina. La Scuola elementare Santa Caterina, assieme alla Satta, è la più antica di Cagliari. Il can. Spano, nella sua Guida di Cagliari, ci racconta che anticamente il convento aveva una parte che sovrastava con un portico la strada del Fossario, e fu teatro di una terribile disgrazia: la notte del 27 dicembre 1747, verso le nove di sera, durante una tempesta, crollò precipitando nel sottostante terrapieno, causando la morte di una ventina tra monache e educande. Questa parte del monastero non venne più riedificata. Per la cronaca morirono 12 monache e 10 educande. Solo due furono tratte in salvo 48 ore dopo. Le monache morte furono: la sorella del Giudice D. Francesco Cadello, Suor Giacinta Deliperi, Suor Luigia Claveria, Suor Anna Bastida, Suor Giuseppa Manconi, Suor Giovannina Orrù, Suor Paola Maria Otgier, Suor Laurica Nin, Suor Anna Maria Deidda, Suor Anna Silvestre, Suor Dionigia Pastor, Suor Ignazia Pastor. Salvate: Suor Peppa Galcerini, Donna Francesca Sanna. Seguono le Convittrici: Donna Pepica Solinas, Donna Caterina Solinas, Donna Pepica Manca, Luigia Delvecio, Agostina Terragona, Pepica Terragona, Pepica Puggioni, Maria Grazia Marcello.

Via Genovesi

Svoltando per il Bastione Santa Caterina si arriva nella Piazzetta Lamarmora. Sulla destra si risale sulla via Lamarmora. Proseguendo dritti si percorre Via Genovesi.

Palazzo Zapata (Brondo) (Piazzetta Lamarmora, 3): Il palazzo, di forma assai irregolare e dalla facciata assai modesta, presenta un imponente portale in marmo fatto costruire nel 1622 da Don Antonio Brondo, Marchese di Villacidro, Conte di Serramanna e Signore di Monastir. Nel timpano compare lo stemma del figlio di Antonio, Francesco, con le armi paterne (Brondo e Ruecas) e materne (Gualbes e Zuniga).
Col matrimonio tra Donna Giuseppina Brondo di Castelvi, figlia di Francesco, e Don Ignazio Zapata Tizon, celebrato nel 1665, il palazzo passò alla famiglia Zapata. Per volere del Barone Francesco Zapata, nel 1774 fu costruito dal Belgrano il teatro attiguo al palazzo, dotato di posti in platea, un loggione e due ordini di palchi. Il teatro, ceduto nel 1831 al Comune di Cagliari, divenne poi il Teatro Civico.


Palazzo Rossi (Via Genovesi, 1/3): Facciata sulla Via Genovesi

Facciata sulla Via Genovesi
Palazzo Rossi

Palazzo De Candia (Via Genovesi 8/18): Situato tra Palazzo Zapata e Palazzo Sanjust, il palazzo fu originariamente di proprietà della famiglia Misorro. Nel XIX secolo venne ceduto alla famiglia De Candia che provvedette a ristrutturare l'edificio e ad abbellirlo. La facciata principale, ristrutturata probabilmente dall’architetto Cima, presenta elementi neoclassici. Il palazzo fu abitato dai De Candia fino al 1898, anno in cui fu venduto all'avvocato Francesco Muntoni che vi abitò coi suoi discendenti fino alla metà degli anni '50. Nel 1968 Palazzo De Candia venne acquistato da Benedetta Imeroni Inserra. Oggi ospita un elegante ristorante e bed and breakfast.


Palazzo Sanjust (Via Genovesi 20): Il palazzo, tra i più antichi e imponenti del quartiere, si affaccia sulla Via Genovesi e sulla via Università. In diversi testi viene denominato "Sanjust Ripoll", ritenendo che sia giunto alla famiglia Sanjust dal matrimonio tra Carlo Sanjust e Mariangela Ripoll. In realtà il palazzo arrivò ai Sanjust tramite la famiglia Cutis, una famiglia di mercanti nobilitata nel 1682 nella persona di Giovanni Battista. Giovanni Battista Cutis lasciò il palazzo alla figlia Laura, moglie di Giovanni Sanjust Manca, e da qui alla discendenza Sanjust Cutis. Ancora oggi il palazzo è abitato dagli eredi della famiglia.


Palazzo Scolopi (già casa detta "di Rosso") (Via Genovesi, 5): Il palazzo occupa un’area rettangolare nella parte iniziale della via dei Genovesi, quasi prospiciente la via San Giuseppe, tra i palazzi Rossi (già Porcile e Boyl) e Barca-Pirisi (già del conte Fancello e del vescovo Borro). Si sviluppa su tre piani alti e un mezzanello; il basamento è avvolto da fasce lisce continue, interrotto da un unico ingresso centrale rettangolare con cornice in pietra e da sei finestre semplici. Nei piani superiori, segnati da cornici marcapiano, sono presenti sette aperture per piano, riquadrate con cornici semplici modanate, tutte munite di balconcini in ghisa: quelli del piano nobile sono a filo della facciata, escluso quello grande centrale sorretto da quattro mensole in pietra in corrispondenza del portale; quelli del secondo piano sono alternati a filo e in aggetto, questi ultimi poggianti su mensole metalliche, mentre quelli dell’ultimo piano sono tutti a filo della facciata.
Le prime notizie dell’edificio risalgono al XVII secolo, quando apparteneva a Giovanni Antonio Rosso, ricco mercante di origine genovese che nel 1682 verrà insignito dei privilegi di Cavalierato e nobiltà. Come membro dell’Arciconfraternita dei Genovesi fece cospicue offerte e doni alla chiesa dei Santi Giorgio e Caterina della Costa, ottenendo il giuspatronato sulla terza cappella a destra della navata, dedicata alla Madonna delle Grazie, col pio legato di garantirne il decoro e la celebrazione perpetua di messe settimanali, mediante ipoteca del suo palazzo. Alla morte di Don Giovanni Antonio Rosso gli succedette la figlia Donna Isabella, sposata fin dal 1680 con Don Giuliano Aurame, un giureconsulto ligure originario di Alassio, che nello stesso anno venne decorato anch’egli dei privilegi di cavalierato e nobiltà. La loro figlia Donna Angela Aurame Rosso, morta nel 1749, per donazione testamentaria lasciò il palazzo al Collegio di San Giuseppe, retto dai Padri delle Scuole Pie, detti Scolopi.
L’edificio risulta interessato dal progetto di allargamento stradale del Cima approvato nel 1857, per cui si è indotti a ritenere che la stessa facciata sia stata in tale occasione disegnata dallo stesso architetto Cima.
Con le leggi sulla soppressione degli ordini religiosi e dei conventi e il successivo incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato (1866 e 1867), il palazzo entrò a far parte del patrimonio demaniale denominato fondo asse ecclesiastico. Fino agli anni ‘20 del Novecento vi avevano sede gli uffici del Genio Civile e della Conservatoria delle Ipoteche. Acquisito da privati il palazzo è stato recentemente restaurato.


Retro del Palazzo Barca Pirisi (Borro) (Via Genovesi, 7/15)

Retro del Palazzo Barca Pirisi (già Borro)
Palazzo Barca Pirisi (Borro)
Palazzo Orrù (V. Genovesi 17/19 - Via Lamarmora 24/26)
Palazzo Orrù (facciata sulla Via Genovesi)
Palazzo Orrù

Palazzo Sanna Borro (V. Genovesi - Via San Giuseppe 1/7): Il palazzo occupa un’area irregolare all’angolo tra la via dei Genovesi e la via San Giuseppe, dove è l’ingresso. Si compone di tre piani alti più un piano attico, aggiunto posteriormente. La facciata è segnata da fasce marcapiano e finestre incorniciate da cornici semplici, i balconi, in ferro battuto lavorato, sono a filo nel primo piano, aggettanti nei piani superiori. Non sappiamo quando sia stato costruito, ma dall’elenco dei nobili abitanti nella città di Cagliari compilato per Carlo Felice nel 1825, fra le famiglie residenti nel quartiere di Castello, nel primo tratto della via dei Genovesi, troviamo quella di Don Giuseppe Porqueddu, con la moglie Donna Francesca Meloni e le figlie Donna Giuseppa e Donna Ignazia. Don Giuseppe Porqueddu, senorbiese, era nipote del vescovo di Iglesias Don Domenico e del gesuita Don Antonio Vincenzo Porqueddu, autore nel 1779 de Il tesoro della Sardegna nei bachi e gelsi. Il palazzo fu al centro di una vicenda giudiziaria: Don Giuseppe Porqueddu con testamento del 9 aprile 1836 istituiva erede universale l’unica sua figlia superstite Donna Maria Ignazia, e legava al nipote Don Peppino Porqueddu, figlio del fratello Raffaele, i suoi beni di Senorbì, Ortacesus ed altri villaggi, coi mobili che teneva in essi e con la metà del bestiame, coll’obbligo di vivere in essi villaggi almeno per tre mesi all’anno, quando pure ciò non gli fosse di grave incomodo. Ritenendo poi di avere un diritto certo alla successione alla contea di Monteleone e al fidecommesso Brunengo ordinò che si rivendicassero giudizialmente, e, in caso positivo, dispose che contea e fidecommesso passassero in usufrutto al fratello Don Raffaele e poi al nipote Don Peppino. Morendo poi il nipote senza figli legittimi, o prendendo lo stato religioso, chiamava alla successione l’altro nipote Don Antioco, fratello di Don Peppino. Nello stesso testamento dispose ancora che appena seguito il suo decesso, Don Peppino potesse andare ad abitare i mezzanelli della casa che possedeva nella strada di S. Giuseppe, legandogli l'abitazione insieme ai mobili di cui era fornita. Don Peppino Porqueddu entrò frattanto come novizio nella Compagnia di Gesù; perciò lo zio Don Giuseppe, nel marzo del 1837, trovandosi in Senorbì colpito da malattia, fece chiamare il notaio Pasquale Desogus di Suelli per dettargli un codicillo, col quale intendeva revocare quanto aveva già disposto a favore del nipote Don Peppino col precedente testamento, costituendo in fidecommesso tutti i beni mobili, stabili e semoventi che possedeva in Senorbì e suoi territori, come pure nei villaggi di Sant'Andrea Frius, San Basilio ed Ortacesus, unitamente a dodici case che possedeva in Cagliari nel quartiere di Villanova, a favore dell’altro suo nipote Don Antioco, sostituendogli successivamente, in caso di morte senza prole, gli altri suoi nipoti Don Francesco Porqueddu e Don Vincenzo Sanna Borro, figlio questo della sorella Marianna. Il notaio sarebbe ritornato più tardi per fargli firmare solennemente secondo le consuete forme di legge il codicillo opportunamente predisposto. Ma al suo ritorno il notaio Desogus non riuscì a rivedere il testatore, il quale morì nella notte senza poter firmare il documento, a causa dell’opposizione di Donna Francesca Meloni, moglie del testatore e della figlia Donna Ignazia. Ne nacque allora una lunga lite giudiziaria tra Don Antioco Porqueddu - che diventerà generale di cavalleria, direttore della Tanca Regia e deputato - e il fratello Peppino, e lo stesso Don Antioco e la zia e la cugina: vistosi privato dell’immediato possesso dei beni dello zio, sia col fidecommesso a suo favore disposto dallo zio col codicillo che non ebbe effetti legali perché non firmato dal testatore, sia perché, a suo, dire, il fratello, facendosi sacerdote, avrebbe comunque mancato alle condizioni disposte dallo zio Giuseppe nel testamento legale e non avrebbe più avuto alcun diritto all’eredità. La causa si concluderà a favore di Don Peppino Porqueddu con sentenza della R. Udienza del 19 febbraio 1838, confermata da altra coi voti del Supremo Consiglio di Sardegna sedente in Torino del 17 settembre 1840, che sarà riconosciuto in diritto a mantenere il possesso dei beni ereditari. Donna Ignazia Porqueddu, rimasta vedova presto di un Sequi Fois di Bortigali, fu in seguito interdetta legalmente – forse impazzita – e posta sotto tutela del cugino sacerdote Don Peppino, secondo le risultanze del Vecchio Sommarione, nel quale le viene attribuito, oltre il palazzo di Via San Giuseppe, anche un altro nella odierna via Corte d’Appello, allora chiamata strada di Santa Croce, presso la piazzetta della basilica. Estinta la famiglia Porqueddu, il palazzo di via S. Giuseppe fu ereditato dall’ultimo erede designato, l’avv. Don Vincenzo Sanna Borro e da questi passò alla figlia Clementina, sposata al nob. Luigi De Magistris dei Conti di Castella, la cui discendenza vi abita tuttora.


Palazzo Nieddu (V. Genovesi 32/36): Scheda in corso di preparazione


Palazzo Cao Pinna (V. Genovesi 38/46): Scheda in corso di preparazione


Palazzo Aymerich (Via Genovesi - Via Lamarmora 42/48): Il palazzo sorge su un substrato di origine medievale, conglobante più strutture abitative. Il Palazzo aveva il suo lato nobile nell’ala rivolta verso la Via Lamarmora, costituita da un piano terra e due ulteriori piani, mentre sulla Via Genovesi l’edificio era costituito da un piano terra e cinque piani. Ristrutturato dall’architetto Cima (autore anche del Palazzo Aymerich a Laconi) tra il 1830 e 1840 secondo uno stile neoclassico, fu fino al 1931 la dimora del Marchese di Laconi (Castelvì e poi Aymerich). Venne venduto alla famiglia Puxeddu e poi distrutto dai bombardamenti aerei del 1943. Il sottopassaggio esistente, oggi murato, venne detto Portico Laconi.

Palazzo Fois (V. Genovesi 54 - Vico I Genovesi 1/5 - Via Corte d'Appello): Il palazzo si estende su un’area irregolare piuttosto vasta tra la via dei Genovesi, il vico I Genovesi e la via Corte d’Appello. Presenta tre piani alti sulla via Genovesi, che diventano cinque sulla parallela via Corte d’Appello grazie alla pendenza fra le strade. Di gusto neoclassico, la facciata presenta un basamento liscio a fasce orizzontali e cornici marcapiano modanate ai piani superiori. Le finestre dei piani superiori sono incorniciate da cornici semplici modanate, quelle sulle due strade parallele presentano anche balconi in ferro battuto aggettanti poggianti su mensole. L’arretramento rispetto alla linea stradale sulla via Genovesi risulta dal progetto di allargamento del Cima approvato nel 1857, per cui si ritiene che gli interi prospetti del palazzo siano stati in tale occasione rivisti dallo stesso architetto Cima.
Dalla matricola possessori del Vecchio Sommarione risulta che l’edificio allora indicato col n. di mappa 4327 di via S. Giuseppe (riferito al vico 1° Genovesi, allora chiamato discesa S. Giuseppe, dove è l’ingresso principale) era di proprietà del canonico Don Giovanni Vargiu della cattedrale di Cagliari. In seguito passò alla nipote Giuseppa Medda Vargiu moglie dell’avv. Giovanni Fois di Ozieri, figlio di quel Giuseppe Fois che possedeva un altro palazzo nella stessa via Genovesi ai numeri 110-112.




Palazzo Ballero

Palazzo Ballero (V. Genovesi 56/60): Il palazzo, che si eleva in tre piani con aperture caratterizzate da semplici cornici e balconi in ferro battuto, si trova in prossimità del tratto più stretto e angusto della via Genovesi, quello che non fu interessato dai lavori previsti dal piano regolatore del Cima del 1857 mediante il taglio e il conseguente arretramento delle facciate dei palazzi, in modo da ottenere un allargamento regolare della strada, come fu invece eseguito nel primo tratto. Tale interruzione del progetto si può vedere negli edifici di fronte, con un brusco restringimento della via. Nel Vecchio Sommarione del catasto di metà Ottocento il palazzo risulta intestato a Sardo Donna Catterina fu Enrico maritata Ballero Don Gaetano , da cui passò ai figli Antonio e Anna Ballero, che vi abitò col marito cap. Don Efisio Canelles Sanjust (1844 - 1908) e i suoi figli, tra i quali ricordiamo Gaetano (per tutti Don Tatano), famoso poeta in vernacolo cagliaritano e insigne magistrato. Donna Caterina Sardo Porcile morir in questo palazzo nel 1916.


Palazzo Zapata (V. Genovesi 86/90): Il Palazzo è tra i più antichi di Cagliari, essendo databile al XVI secolo. Di stile rinascimentale appartenne alla nobile famiglia Zapata, tra le più antiche e potenti famiglie cagliaritane. Semidistrutto dai bombardamenti del 1943, rimane oggi l’ala destra, dove si possono ammirare quattro file di finestre, con bei balconi di ferro, disposte su due piani. Le finestre inferiori sono sormontate da cornici rettilinee e quelle superiori da timpani che poggiano su paraste corinzie.
Sulla porta d’ingresso è collocato lo stemma Zapata.



Palazzo Sanjust (Cadello)

Palazzo Sanjust (Cadello) (V. Genovesi 92/96): Del palazzo, noto come Cadello, non si conosce molto. Di pianta rettangolare, si sviluppa su due piani altri e un mezzanello, senza nessun particolare architettonico. Le finestre, di disegno semplice, sono prive di balconi. Quelle del mezzanello sono asimmetriche rispetto a quelle dei piani superiori. La facciata presenta due portali alle due estremità : la parte sinistra, di cui rimane appena una porzione di arco del portale - da cui si accede ancora all’edificio - confinante col palazzo Asquer-Zapata, è in parte demolita in conseguenza dei bombardamenti del 1943, che fecero crollare anche una parte di quest’ultimo, mentre dall‘altro ingresso si accedeva probabilmente alla carrozziera, poi trasformata in sottano abitabile. I Cadello, che ebbero il marchesato di San Sperate, si estinsero nel 1846 con un Efisio, morto celibe, e il titolo passò alla prima sorella Donna Anna Maria, sposata col Marchese di Neoneli Don Pietro Ripoll, Conte di Tuili. Al tempo della redazione della prima matricola catastale dei beni urbani, l edificio risulta in possesso di Don Carlo Sanjust Barone di Teulada, che probabilmente lo ebbe dalla moglie Donna Mariangela Ripoll-Cadello, Marchesa di San Sperate per eredità materna e Marchesa di Neoneli e Contessa di Tuili per via paterna. Tutti questi titoli passarono poi ai Sanjust.


Palazzo Mearza di San Fedele (V. Genovesi 98/102): La facciata, di due piani con una parziale sopraelevazione, è caratterizzata da un bel portale ad arco, bugnato. Le finestre hanno cornici semplici con balconi in ferro battuto. Restaurato a metà Ottocento su precedenti impianti settecenteschi, del palazzo si conosce poco: nel 1841 il Consiglio degli Edili autorizzò il Marchese di San Fedele al rifacimento della facciata e al restauro del palazzo. Dalla matricola catastale di metà ‘800 infatti risulta che l’edificio in via Genovesi al n. di mappa 4331 apparteneva a Don Gaetano Mearza Marchese di San Fedele, in procura del sacerdote Giovanni Arthemalle. È poi aggiunto “enfiteuta Basilica di S.S.M.e L.”. Originari di Ozieri, i Mearza si trasferirono a Cagliari alla fine del ‘700 con l’avv. Don Bachisio, giudice della Reale Udienza e in seguito Sostituto Avvocato Fiscale Regio, che nel 1798 vi sposò Donna Marianna Guirisi-Buschetti, figlia di Donna Caterina Buschetti Borro pretendente alla successione del feudo di Marrubiu e marchesato di San Carlo. Dopo una lunga lite giudiziaria feudo e marchesato vennero però assegnati ai Paliacio, altri discendenti dei Borro. In compensazione di ciò, e per comporre pacificamente le controversie insorte tra le parti interessate al feudo di San Carlo, al quale anche Don Gaetano Mearza-Guirisi, ufficiale di carriera, pretendeva aver diritto, e in considerazione dei lunghi servizi prestati nella carriera civile e militare da vari antenati paterni e materni, Carlo Alberto gli conferì il 6 giugno del 1840 il titolo e la dignità di Marchese col predicato di San Fedele, trasmissibile come fosse un titolo feudale, ai suoi discendenti maschi primogeniti, ed in difetto di questi anche alle femmine discendenti da maschi. Per la singolarità del caso e gli speciali motivi, venne inoltre dispensato dal consueto pagamento dei diritti di finanza, mezzannata e sigillo. La famiglia si estinse nel corso dell’800 e il palazzo appartenne ad alcune figlie del Barone Rossi.


Palazzo Cao di San Marco (V. Genovesi 104-108): Le prime notizie su questo palazzo risalgono a quando vi abitava il giudice Don Giovanni Battista Serralutzu, nato in Cuglieri nel 1760. Terminati gli studi, si laureò in Leggi presso l’Università di Cagliari, città dove visse per tutta la vita. Intrapresa la carriera nella magistratura raggiunse il grado di presidente e proreggente del tribunale della Reale Udienza. Fu decorato della croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Nel 1795 sposò nella parrocchia di Sant'Eulalia Francesca Novaro Belgrano, da cui ebbe quattro figli, dei quali gli ultimi due morti giovani. Anche la figlia secondogenita Donna Clara, che aveva sposato Don Giuseppe Pollini, figlio del famoso Conte Pollini che aveva fatto costruire la omonima villa ai piedi del colle di San Michele, morì giovanissima, di parto, per cui unica erede rimase la figlia maggiore Donna Caterina, andata sposa nel 1818 al Conte Don Efisio Cao di San Marco. Dal censimento nobiliare voluto da Carlo Felice per la città di Cagliari nel 1825 – il cosiddetto Elenco Prefettizio – fra le famiglie residenti nel quartiere di Castello, proprio in cima alla via dei Genovesi, troviamo quella del giudice Don Battista Serralutzu seguita da quella della figlia Donna Caterina col marito Don Efisio Cao. Alla morte del giudice Serralutzu, nel 1828, il palazzo passò all’unica figlia superstite Donna Caterina e al marito di questa Don Efisio Cao, che nel 1830 sarà creato Conte di San Marco, anche se nel vecchio catasto appare intestato a Donna Francesca Novaro vedova Serralutzu. All’epoca il palazzo presentava un piccolo giardino sulla via Stretta. Intorno al 1858 il palazzo fu riprogettato dall’architetto Gaetano Cima, arretrandolo rispetto agli edifici adiacenti: secondo il piano regolatore preparato dallo stesso Cima nel 1857 era previsto infatti l’allargamento della strada a cinque metri. Di particolare interesse è l’ingresso, a pianta ottagonale e ricoperto da una volta “a spicchi” affrescati. Un’ampia scala in lavagna (sa bizzarra in cagliaritano) con ringhiera in ghisa lavorata e corrimano in legno conduce ai piani superiori. Al primo piano, nel balcone centrale sempre in ghisa, è presente lo stemma della famiglia. La facciata è ornata da due festoni di stucco e un fascio di spighe sorretto da due cornucopie che sormontano le tre finestre centrali del primo piano. Le altre finestre del piano nobile sono sormontate invece da timpani e quelle superiori da cornici semplici. Alla morte del Conte Cao, nel 1869, il palazzo venne suddiviso tra alcuni dei suoi 11 figli: una parte andò al primogenito Don Vincenzo († 1881), consigliere di Corte d’Appello, la cui unica figlia Donna Teresa che aveva sposato Don Agostino Sanna–Serralutzu lo trasmise alla propria discendenza; un’altra parte fu ereditata dall’altro figlio Don Battista, avvocato e segretario generale del Comune di Cagliari, che vi abitò fino alla morte, nel 1915. Vi abitarono inoltre il gen. Enrico Cao di San Marco, pluridecorato al valor militare che prese parte alle guerre d’indipendenza italiana, e l’avv. Don Andrea Cao-Cugia, che vi aveva anche lo studio, entrambi deceduti senza discendenza.


Palazzo Fois (V. Genovesi 110-112): Di presumibile impianto settecentesco, da una stima del regio misuratore Giuseppe Maina del 1789 risultava di proprietà dell’Ospedale di Sant'Antonio. Il palazzo si estende ad angolo tra la via e metà del vico III Genovesi. Dalla matricola possessori del Vecchio Sommarione risulta allora indicato col n. civico 42 e di proprietà di Giuseppe Fois di Ozieri in procura del Beneficiato Antonio Michele Fois. Più tardi venne abitato dalla famiglia dell’avv. Giovanni Fois e della figlia Vincenzina sposata al magg. Don Giovanni Cao-Pinna, che vi abitò fino alla morte della moglie nel 1901. Il palazzo non presenta particolari rilievi, il portale, ad arco in pietra modanata, è asimmetrico rispetto al prospetto, le finestre sono incorniciate da cornici semplici con balconi in ferro battuto.


Palazzi appartenuti all'Ospedale Civile e Capitolo di Cagliari, Palazzo del Duca di Mandas e Palazzo Salazar Grondona (V. Genovesi 93-103): Nella fotografia sulla destra si possono notare diversi edifici. Il palazzo avente i numeri civici 97-103, facente angolo con il Vico Lamarmora era originariamente costituito da due diversi palazzi: il primo intestato all'Ospedale civile, il secondo intestato al Capitolo di Cagliari. Col tempo i due palazzi sono stati unificati e le facciate rese uniformi. E' tuttavia possibile ipotizzare che l'edificio intestato all'Ospedale Civile comprendesse le prime due file di finestre, mentre le successive riguardavano il palazzo appartenuto al Capitolo. Più avanti, si notano i ruderi del palazzo del Duca di Mandas. La parte rimasta era probabilmente l'ingresso carrozzabile. Infine, è possibile scorgere la casa appartenuta a Donna Rita Grondona, moglie di Don Efisio Salazar, e successivamente alla nipote Donna Teresa Grondona, moglie di Don Enrico Garau.

Palazzo Siotto (V. Genovesi 114-116): Il palazzo oggi noto come Siotto era un tempo l abitazione cagliaritana degli Alagòn, Marchesi di Villasor, e si estende su un area regolare che conclude l’isolato tra la via dei Genovesi, il vico III Genovesi e la via Stretta. Non essendoci al momento attestazioni sull‘epoca della sua costruzione, possiamo però immaginare che sia stato abitato dal momento che la famiglia lasciò la Casa-Forte di Villasor, risalente al 1400, villaggio di cui venne infeudata dapprima con titolo comitale nel 1537 con un Giacomo, elevato in marchesato nel 1594 con un altro Giacomo, nipote del primo. Il palazzo rimase in possesso della famiglia fino alla sua estinzione avvenuta con Emanuela, morta nel 1765. La marchesa Emanuela aveva sposato nel 1704 Don Giuseppe de Silva dei conti di Cifuentes, che nel 1717, partigiano degli Asburgo, andò a Vienna ministro dell’imperatore d’Austria, nonché presidente del Consiglio d Italia. Il feudo di Villasor venne perciò ereditato dai De Silva, il cui ramo primogenito si era ormai definitivamente trasferito in Spagna. Rimase però a Cagliari il figlio minore Don Emanuele de Silva, che morì, senza figli, nel 1756: con lui cessò la presenza della famiglia in Sardegna, e il feudo fu lasciato all’amministrazione di un podatario, che abitava nel palazzo. Per questo motivo nel vecchio catasto l’edificio appare intestato al Marchese di Santa Cruz e Villasor (che era Don Francesco-Borgia-Gioacchino de Silva Bazàn, titolare in Spagna del marchesato di Santa Cruz de Mudela e di numerosi altri titoli), in procura dell’avv. Francesco Floris-Franchino, console di Spagna a Cagliari. Nel 1878 gli eredi De Silva venderanno il palazzo allo stesso avvocato Floris e alla moglie Elisabetta Thorel. La famiglia Floris-Thorel lo rivenderà a sua volta verso il 1920 a Don Giuseppe Siotto, avvocato, rappresentante dell’Ordine Mauriziano in Sardegna, persona facoltosissima che fece costruire anche una villa nelle campagne di Sarroch, dove aveva stabilito una importante azienda agricola. Il suo unico figlio maschio Luigi morì in battaglia nel 1916 durante la Prima Guerra mondiale poco più che ventenne e nel 1986 l ultima figlia vivente istituì con testamento la Fondazione Istituto Storico "Giuseppe Siotto", in memoria del padre. Secondo fonti non documentate il palazzo sarebbe stato costruito nel 1850, ma fonti notarili ne attestano l esistenza anche nei secoli precedenti; nel 1927 venne ristrutturato dall’ing. Giacomo Crespi per i Siotto. La facciata principale, sulla via Genovesi, di un solo piano, si compone di un ampio portale ad arco con finte bugne lisce, sormontato da un ampio balcone in muratura poggiante su due mensole e affiancato da cornice marcapiano aggettante. Le finestre sono sormontate da timpani, triangolari quelli laterali, a lunetta quello centrale. Segue sulla stessa via un cortile, un tempo giardino. Dalla parte del vico Genovesi e sulla via Stretta lo stabile si sviluppa in altezza, sfruttando la pendenza stradale; vi si trovano diversi appartamenti, separati dal resto dell’abitazione.
Probabilmente questa è la parte più rimasta intatta nel tempo, e la ristrutturazione del 1927 interessò solo il piano nobile su via Genovesi.
Attualmente vi sono ospitati biblioteca, museo, archivio e uffici della Fondazione. Vi si tengono inoltre concerti e conferenze.



Palazzo Sanjust (V. Genovesi 113/115 - V. Lamarmora 118): Retro del palazzo

Facciata sulla Via Genovesi di Palazzo Sanjust
Palazzo Sanjust

Palazzo Cugia (V. Genovesi 120-124 - Via Santa Croce): Lo stabile, comunemente denominato Palazzo Nieddu o Cugia, oltre al prospetto principale su Via Genovesi, prospetta altresì sulle Vie Santa Croce e Via Stretta. La parte terminale di quest’ultima via, chiusa da un portone, fa parte del palazzo. Attraverso questo portone si accedeva a due ampi locali, probabilmente un tempo carrozziere o stalle. Le notizie più antiche di questo edificio risalgono al 1598, come risulta da un documento dell’Archivio di Stato di Cagliari, che certifica il collaudo di alcune riparazioni effettuate nei porticati dei cortili del palazzo del Conte di Quirra. E’ probabile che l’allora Conte di Quirra, Don Gioacchino Carroz Centelles, che fu il primo Marchese di Quirra, si fosse trasferito dal Castello di San Michele nella casa di Castello, che non è detto avesse l’estensione attuale, per controbilanciare forse, con la sua presenza, l’influenza politica degli Alagon. Lo stemma che campeggia sul balcone del piano nobile comprende, inquartate, le armi delle famiglie Carroz e Centelles.
Il palazzo ospitò, fino al riscatto dei feudi, la Curia del marchesato di Quirra.

Da alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Cagliari, relativi al passaggio di questo feudo dalla famiglia Catalan alla famiglia Osorio, si apprende che nel 1775 Don Gioacchino Grondona Lopez, allora podatario della Marchesa Gilaberta Carroz Catalan, già Josepha Dominga Cathalà y Lujan, aveva commissionato alcuni lavori nel palazzo, dove viveva, al picapedrer Masci Rambau, forse sotto la guida del regio architetto Giuseppe Viana. Nello stesso periodo, il Rambau, infatti, per alcuni lavori effettuati nel palazzo dell'Università degli Studi, sotto la direzione del capitano ingegnere Vassallo Belgrano di Famolasco e dello stesso Viana, era stato retribuito con la cospicua somma di 100 scudi. La facciata del palazzo, inoltre, assomiglia molto a quella del palazzo dei marchesi Alfieri, ad Asti, opera appunto del Viana. Nel 1798, il Supremo Tribunale della Corona di Madrid attribuì, dopo un lungo iter giudiziario, il feudo di Quirra a Don Carlo Filippo Osorio de la Cueva y Castelvì, Duca di Albuquerque, Conte di Cervellon, ed essendo stata la sentenza ratificata anche dal Consiglio Supremo della Corona di Torino nel 1805, nel 1807 il nuovo podatario della famiglia Osorio, Don Giuseppe Maria Fancello, sfrattò dal palazzo, dove risiedeva, il precedente podatario della famiglia Catalan, Don Gioacchino Grondona. In quell'occasione, nel palazzo, furono realizzati alcuni tramezzi e sostituiti ben 400 vetri alle finestre. Al Fancello subentrò, come podatario della famiglia Osorio, l'Avvocato Don Pietro Nieddu, genero del Fancello che, intorno al 1830, fu creato Conte di Santa Margherita e che, dopo il riscatto dei feudi, divenne proprietario del palazzo. Probabilmente per incarico del Nieddu, l'architetto Gaetano Cima diresse alcuni lavori effettuati nel palazzo, ma una perizia tecnica, effettuata nel 1919, dall'ingegnere Dino De Gioannis, adombra che l'intervento dell'architetto fosse limitato alla facciata (con il tamponamento delle finestre adiacenti al balcone centrale, per mettere questo in maggior evidenza), allo scalone d'onore (con la realizzazione delle ringhiere in ghisa e dei capitelli che, come nel giardino della Villa Santa Maria a Pula, costruita su suo progetto, dovevano sostenere dei vasi ornamentali realizzati in tufo calcareo di Castello), alla tramezzatura di alcuni locali sotterranei e alla realizzazione della cisterna nel centro del cortile grande. Questa è stata costruita partendo dal livello originariamente corrispondente a quello della Via Stretta dalla quale si accedeva al cortile attraverso un'arcata, colmando lo spazio circostante fino al piano attuale. Nel 1860 il Conte Don Pietro Nieddu, a fronte di alcuni obblighi contratti, cedette il palazzo a Donna Maria del Pilar Loreto Osorio Gutierrez de los Rios y de la Cueva, Duchessa di Fernan Nuñez e del Arco, Contessa di Cervellon, Marchesa di Quirra, figlia di Don Carlo Filippo Osorio, ultimo feudatario di Quirra di cui era stato podatario. Nel 1895 la Marchesa di Quirra rivendette il palazzo a Don Gavino Nieddu, Conte di Santa Margherita, secondogenito del Conte Pietro, e a sua moglie Enrichetta Cappai, nipoti ex sorore di Donna Enrichetta, e l'erede del defunto marito, in quanto nipote ex sorore di questi: l'ammiraglio Don Umberto Cugia di Sant'Orsola. Alla morte, nel 1930, di Enrico Randaccio Cappai, la sorella Rita coniugata Cugia divenne proprietaria esclusivo della metà dello stabile pertinente alla Contessa Nieddu e, alla sua morte lo divenne la figlia Maria Cugia Randaccio, coniugata Cremese. Maria Cugia Cremese, alla sua morte, nel 1994, legò a Paolo Amat di San Filippo, anch'egli bisnipote ex sorore della Contessa Enrichetta Nieddu Cappai, la sua quota del palazzo, escluso un appartamento al secondo piano precedentemente venduto. L'ammiraglio Cugia che risiedeva a Genova vendette, dal canto suo, la propria quota all'Università di Cagliari nel 1979. Al suo interno il palazzo contiene delle bellissime tappezzerie francesi realizzate nella seconda metà dell'800 dal Dofour.

Via Lamamora (tratto centrale)

Svoltando a destra e percorrendo il Vico Martini si arriva in Via Lamarmora. Sulla sinistra si trovano il Palazzo Sanjust, il Palazzo Amat e la Chiesa della Purissima. Sulla destra si trovano:

Palazzo Ruda Sanjust

Palazzo Ruda Sanjust (V. Lamarmora 135-133): Il palazzo, nel 1772, risultava di proprietà di Don Giovanni Antonio Borro, Vescovo di Bosa; nel 1797 il proprietario era Don Domenico Pitzolo. Nel XIX secolo passò di proprietà a Don Giovanni Amat Amat e successivamente ai Ruda Sanjust di San Lorenzo.


Palazzo Roberti Nin di San Tommaso (V. Lamarmora 122): Il palazzo, architettonicamente semplice, presenta un portale d’ingresso in blocchi di calcare. Appartenne originariamente ai Nin (e probabilmente ancor prima ai Carcassona), un’importante famiglia cagliaritana di origine ebraica convertita al cristianesimo nel 1485. I Nin ebbero diversi titoli sia nel ramo principale (Baroni di Senis, di Posada, Conti del Castillo, Duchi di Sotomayor) sia nel ramo cadetto (Marchesi di San Tommaso e San Saverio).
Col matrimonio tra il Conte Edmondo Roberti di Castelvero e Maria Luigia Nin di San Tommaso, il palazzo passò ai Roberti.


Palazzo De Magistris (V. Lamarmora 120): Anche questo palazzo risultava essere di proprietà Carcassona, poi Nin e poi ancora Roberti. I Roberti sono una famiglia nobile piemontese, un cui esponente, Giuseppe (1775 – 1844), fu Viceré di Sardegna nel 1831. Il figlio Edmondo, più volte sindaco di Cagliari tra il 1846 ed il 1875, sposò nel 1829 Maria Luigia Nin di San Tommaso. Da questo matrimonio nacquero un figlio maschio e sette femmine che si sposarono con esponenti di illustri famiglie: Necco, Incisa, Pilò Boyl, Sanjust, Quesada e De Magistris. In virtù del matrimonio tra Orazia Roberti Nin ed il Conte Casimiro De Magistris di Castella, il palazzo divenne la residenza dei De Magistris fino ai nostri giorni. Anche i De Magistris sono una famiglia piemontese, nobilitata nel XVI secolo, che giunse a Cagliari nel XIX secolo inserendosi subito nel novero delle famiglie più importanti. Tra i suoi personaggi più rappresentativi ricordiamo i fratelli Casimiro (Prefetto), Paolo (Sindaco di Cagliari) e Luigi (Arcivescovo) De Magistris Ballero e Carlo De Magistris Cannas, penultimo Conte, persona di grande cultura e signorilità.

Palazzo Manca di Villahermosa (V. Lamarmora 131-127): Il palazzo, erroneamente definito in alcuni testi “Manca di Villarios” era di proprietà dei Manca di Villahermosa e Nissa. Dalle carte catastali del XIX secolo risulta infatti di proprietà di Don Giovanni Manca di Nissa. L’edificio si sviluppa su tre piani con un interessante ingresso caratterizzato da due archi.


Palazzo Carboni (V. Lamarmora 125): Il palazzo è noto perchè in queste mura nacque il grande cantante Mario De Candia. Il palazzo apparteneva nel XVIII secolo alla famiglia Piras, poi divenne di proprietà di Don Giovanni Puggioni ed infine passò ai Carboni Boy. Sullo stesso lato di Via Lamarmora, subito dopo il palazzo Carboni troviamo un palazzo appartenuto a Don Francesco Gessa e subito dopo un altro intestato nel XIX secolo all'abate Don Francesco Flores d'Arcais.


Palazzo Sanjust (V. Lamarmora 118): Il palazzo, adiacente al Palazzo De Magistris, presenta due facciate: una verso via Lamarmora e l’altra verso Via Genovesi. La parte rivolta verso la Via Lamarmora presenta due piani alti con balconi in ferro battuto. I balconi del primo piano sono sormontati da archi a tutto sesto contenenti dei festoni di stile neclassico. Appartenuto nel ‘700 ai Cadello, Marchesi di San Sperate, il palazzo fu probabilmente ereditato nel XIX secolo dai Sanjust.

Palazzo Zanda (già di proprietà del Capitolo di Cagliari) (V. Lamarmora 114-110): Scheda in corso di preparazione

Palazzo già di proprietà del Capitolo di Cagliari (V. Lamarmora 108-106):

Palazzo Gessa (V. Lamarmora 121-115): Il palazzo risultava, nel XIX secolo, di proprietà dell'Avv. Don Francesco Gessa, che ottenne la nobilitazione nel 1846.


Palazzo Flores d'Arcais (V. Lamarmora 113-111): Scheda in corso di preparazione


Ruderi del Palazzo del Duca di Mandas (Via Lamarmora)

Palazzo Salazar Grondona (Via Lamarmora 104)

Palazzo Amat (Flores d'Arcais) (V. Lamarmora 93 - V. Canelles 60): Appartenuto originariamente ai Flores d’Arcais (e non ai De Candia come indicato in alcuni testi), il palazzo presenta una facciata, opera del Cima, verso via Lamarmora; ed un’altra, decisamente più semplice e priva di decorazioni verso la Via Canelles. Il palazzo, intorno al 1900, venne venduto a Carlo Amat Quesada, fratello minore del Marchese Amat di San Filippo.


Palazzo Lepori (V. Lamamora 98 - V. Genovesi 85/89): Un alto portale bugnato, privo di portone, si apre verso un lungo atrio buio: il palazzo appartenuto a Don Raimondo Lepori. Non sappiamo con precisione l'epoca della sua costruzione, ma da alcune similitudini della facciata e del portale presenti anche nei palazzi Barca Pirisi (Borro) e Villamarina, già dei marchesi d Albis ai numeri 18 e 75 della stessa strada, si può far risalire alla seconda metà del 700: la facciata del secondo di questi venne realizzata tra il 1775 e il 1791.
La prima notizia certa sull'edificio è una denuncia di beni del 1807, dove viene localizzato nella strada Dritta, a tramontana del palazzo del marchese di Samassi; nello stesso anno il Consiglio degli Edili concesse di porre una fila di balconi al piano superiore della casa nella via Dritta. Nel 1837 venne restaurata la facciata della via dei Genovesi, che da tempo era in rovina.
Dall'elenco dei nobili abitanti nel quartiere di Castello compilato per Carlo Felice nel 1825, fra le famiglie residenti nella strada della Purissima, troviamo inoltre quella del cav. Don Raimondo Lepori, che abitava col fratello Don Giuseppe, sacerdote.
Figura assai nota e importante ai suoi tempi, l'avvocato Lepori ebbe una lunga e proficua carriera: fu archivista dell azienda ex-gesuitica, segretario privato del vicerè Carlo Felice, primo prefetto della provincia di Cagliari nel 1807 e per più di trent anni, ebbe il grado di giudice della Reale Udienza e fu decorato della croce mauriziana. Durante la cosiddetta rivoluzione sarda di fine '700 fu uno dei più attivi deputati dello Stamento Militare; nel 1793, quando le armate repubblicane francesi tentarono invadere l'isola, ebbe il comando di un corpo di 2400 miliziani a cavallo. Morì, quasi centenario, nel 1852: aveva due fratelli sacerdoti e due sorelle suore e non essendosi sposato la famiglia si estinse con lui.
Ci piace ricordarlo citando le parole di Efisio Baccaredda in "Cagliari ai miei tempi" in questo grazioso ritratto: Ancor mi rammento delle solennità civili e religiose, nelle quali la nobiltà cagliaritana faceva bella mostra di sé, rifulgendo del suo maggior splendore. Mi par proprio di trovarmi a quei tempi e di vedere ancora Don Raimondo Lepori, Don Antioco Pullo e Don Giovanni Puggioni, vestiti in giubbe di raso o di velluto ricamate in oro, così che mi sembravano tre torroni di Cremona, assistere ginocchione nella scalinata che sovrasta alla cripta del duomo di Cagliari, attendere gongolanti il momento critico del lavabo, per adempiere all'onorifico ufficio, chi di sorreggere il bacile, chi di adoperare il mesciacqua, chi di porgere l'asciugamani all arcivescovo celebrante. Era uno spettacolo che inteneriva lo scorgere quei tre cavalieri boriosi e aggrondati, umiliarsi dinanzi a un uomo, fatto di carne e d'ossa come loro, puntuali e imprescindibili ogni giovedì santo presso l'altare maggiore de sa seu .
Successivamente non si hanno molte notizie sulla storia del palazzo: nella matricola possessori del vecchio catasto di metà '800 risulta intestato a tale Maddalena Saba vedova Agnese.
Sebbene versi in condizioni di forte degrado, l'edificio non è privo di particolari architettonici di qualche rilievo: su via Lamarmora presenta un ampia facciata di due piani con un mezzanello, caratterizzata da un portale bugnato alla romana di ispirazione cinquecentesca in posizione asimmetrica.
Accanto al portale si aprono le finestre del mezzanello e dei sotterranei, cui si accede dalla retrostante strada. Presenta ancora quattro finestre in ogni piano, riquadrate da cornici semplici, con balconi aggettanti in ferro battuto liscio, poggiati su mensole metalliche. L'ampio androne conserva ancora l'originale pavimentazione in pietra.

Sulla via Genovesi, dove si aprono tre ingressi ad altrettanti locali, un tempo magazzini, la facciata è più semplice, presenta un altro mezzanello e tre piani alti con finestre prive di cornice ma con eleganti balconi in ferro lavorato poggianti su mensole dello stesso metallo aggettanti.



Palazzo Floris Thorel (già palazzo del Marchese di Samassi) (V. Lamamora 96-88 - V. Genovesi 75-79): Del palazzo oggi noto come Floris-Thorel si hanno le prime notizie storicamente certe dalla prima metà del XVIII sec., quando apparteneva a Don Antonio Simon y Squinto, primo acquisitore del marchesato di Samassi e Serrenti nel 1736. Col suo testamento del 23 marzo 1743 il marchese - deceduto il giorno successivo - vincolava il suo palazzo in primogenitura istituendo un fidecommesso a favore del suo erede Don Giambattista. Nello stesso anno il marchese Giambattista acquistò la casa attigua dagli eredi di Donna Maria Anna Moy e la unì alla casa paterna: l'edificio presenta infatti due ingressi distinti. Nel 1753 apportò notevoli miglioramenti facendovi costruire lo scalone d'onore ancora esistente e rifare la facciata. Dopo la morte del marchese Giambattista Simon, nel 1789, altri miglioramenti vennero eseguiti dal figlio Don Giuseppe, Capitano Generale della Fanteria Miliziana e Primo Scudiere e Gentiluomo di Camera di Carlo Felice: in tale veste nel 1807 lo accompagnò a Palermo per il matrimonio con Maria Cristina di Borbone.
In una denuncia di beni del 1807 il palazzo viene così descritto: nella strada dritta tre sotterranei, due botteghe e sei camere al pianterreno, dieci camere nei mezzanelli, sette al piano nobile, tre camere, una cucina e tre soffitte nel piano superiore, confinante a est con casa del Capitolo cagliaritano e del giudice Don Cosimo Canelles, strada in mezzo; a nord con casa di Don Raimondo Lepori; a sud con la casa del conte Nin del Castillo; dalla parte posteriore, sulla via dei Genovesi vi era una bottega, una carrozziera e una piccola scuderia, confinanti a ovest con le case di Don Antioco Cadello e del Visconte di Flumini, strada in mezzo; a nord con casa di Suor Angela Putzu monaca della Purissima; a sud con la casa del suddetto conte Nin del Castillo.
Per via di varie ipoteche che gravavano sull'edificio, il palazzo venne venduto nel 1809 a Don Giuseppe Rapallo, che già era sequestratario dei beni e delle rendite del feudo.
Nel 1840 il palazzo venne acquistato da Carlo Thorel, un ricco negoziante di origine svizzera esponente della nuova borghesia cagliaritana, la cui figlia Elisabetta sposò l'avvocato Francesco Floris Franchino, dando vita alla famiglia Floris-Thorel, che ereditò il palazzo. L'avv. Floris-Franchino, procuratore del Duca di Mandas e del Marchese di Villasor residenti a Madrid, divenne console di Spagna a Cagliari e dopo di lui lo furono un figlio e un nipote dello stesso nome. L'ufficio consolare aveva la sua sede in questo palazzo. A partire dall'Unità d'Italia, inoltre, una parte dell'edificio divenne sede della Procura generale del Re fino alla costruzione e al trasferimento nel nuovo Palazzo di Giustizia di piazza Repubblica.
Entrambe le facciate dell'edificio sono piuttosto semplici, quella principale sulla via Lamarmora presenta due piani con mezzanelli, 7 balconi in ferro battuto, aggettanti e poggianti su mensole in ferro, con finestre prive di cornice. Unico particolare: il doppio portale d'ingresso squadrato, caratterizzato da una cornice modanata di blocchi calcarei, che presenta analogie con altri ingressi cittadini. Il portale monumentale si apre sullo scalone d'onore a balaustre e rampe alternate, ispirato ai palazzi torinesi di disegno juvarriano. La facciata posteriore presenta un piano in più, con cinque finestre per piano, senza cornice, con balconi in ferro a filo della facciata.

 

Palazzo Asquer Bonfant (Nin del Castillo) (V. Lamamora 86-78): Il palazzo, tra i più interessanti del quartiere, rappresenta un esempio di architettura piemontese. Costruito intorno alla metà del XVIII secolo, l’edificio si sviluppa su un piano terreno, uno ammezzato e due piani alti. Il bel portale presenta un timpano triangolare che poggia su un architrave retto da due paraste doriche. Al centro del timpano si trova lo stemma della famiglia Nin. Il palazzo sulla sinistra era collegato con l’ormai distrutto palazzo Falqui Pes, sovrastando il portico Vivaldi Pasqua.

Palazzo Prunas (Barrago) (Piazza Carlo Alberto 3): Il palazzo è costituito da tre piani ed uno ammezzato con una facciata di stile neoclassico. Originariamente di proprietà del Capitolo di Cagliari, passò ai Barrago, ed alla fine del XIX secolo alla famiglia Prunas. In seguito fu abitato dalle famiglie Serra e Ruda.


Palazzo Mameli (Piazza Carlo Alberto)

Con l'arrivo nella Piazza Carlo Alberto termina il nostro itinerario.