Visita guidata nel quartiere Castello (Cagliari) - primo itinerario
di Luigi Orrù di San Raimondo
Piazza Palazzo – Via Canelles – Via Genovesi – Vico Lamarmora- Via Lamarmora – Piazza Palazzo
Piazza Palazzo
La nostra visita nel quartiere Castello di Cagliari, sulle tracce delle famiglie nobili sarde, prende inizio dalla Piazza Palazzo, la piazza che per diversi secoli rappresentò il centro del potere politico, religioso ed amministrativo. Nella Piazza infatti si trovano il Palazzo Reale (detto anche Regio o Viceregio), il Palazzo arcivescovile, la Cattedrale di S. Maria, la Chiesa di N.S. della Speranza e l'antico palazzo di città.
Palazzo Reale: Già esistente ai tempi della dominazione pisana, con la conquista aragonese il Palazzo divenne ben presto sede e dimora del rappresentante del nuovo potere. Numerosi documenti attestano come fino alla fine del ‘600 il palazzo subì diverse modifiche, ampliamenti e ristrutturazioni, tutte volte a permettere al palazzo non solo di fungere da sede del viceré e della sua corte, ma anche di svolgere le diverse funzioni pubbliche che via via assumeva. Con la dominazione sabauda il Palazzo ricevette nuove attenzioni. Tra il 1730 ed il 1770 vennero svolti una serie di imponenti lavori che, terminati alla fine del secolo, diedero al Palazzo Reale la configurazione attuale. |
Interno del Palazzo Reale |
Il Palazzo, nella sua lunga storia,
accolse diversi sovrani: Pietro IV il Cerimonioso e Alfonso V il Magnanimo
(1355 e 1421), Carlo V (1535) ed infine, tra il 1799 ed il 1814, la famiglia
reale in fuga da Torino (Vittorio Emanuele I vi soggiornò dal 1806
al 1814). |
Palazzo Arcivescovile:
Il palazzo, già esistente nel XIII secolo, è da sempre la
sede dell’Arcivescovo. Profondamente rimaneggiato nel corso dei
secoli, appare oggi secondo l’ultimo rifacimento avvenuto negli
anni ’30 del secolo scorso. Dalle semplici linee architettoniche,
presenta nell’androne un elegante scalone in marmo. Il primo piano
ospitò nei primi dell’Ottocento Carlo Felice. |
Cattedrale di S. Maria: La chiesa di Santa Maria fu costruita dai Pisani nel XIII secolo. Sebbene l'impianto si sia mantenuto sostanzialmente inalterato nel corso dei secoli, anche per la mancanza di spazio circostante, diversi furono invece gli interventi al suo interno. Già dopo il 1274 la chiesa fu modificata secondo lo stile gotico. Tali interventi proseguirono anche dopo la conquista aragonese. Nel 1612 l'arcivescovo D'Esquivel decise di rialzare il presbiterio creando la cripta dei martiri cagliaritani. I lavori più imponenti vennero però realizzati dall'arcivescovo Vico che tra il 1669 ed il 1674 trasformò la chiesa con numerosi interventi e privilegiandone lo stile barocco.
Cattedrale |
Gli interventi nella chiesa, seppur
meno invadenti, proseguirono fino al XX secolo con i dipinti realizzati
dal pittore Filippo Figari ed il rifacimento della facciata negli anni
’30 in stile “romanico – pisano – lucchese”. |
Monumento ad Ambrogio Machin |
Dedicato invece all’Arcivescovo
Ambrogio Machin è il monumento situato nel braccio sinistro del
transetto, sotto la tribuna costruita per permettere alla famiglia reale
di assistere alle funzioni sacre. L’Arcivescovo è rappresentato
mentre prega. |
Mausoleo di M. Giuseppina di Savoia |
Nella cripta dei Santi Martiri,
sono collocati il mausoleo in memoria di Maria Giuseppina di Savoia
(1753 - 1810), la cui salma venne trasportata a Cagliari nel 1811. Il
mausoleo venne realizzato dallo scultore sassarese Andrea Galassi, su
commissione del fratello di Giuseppa, Carlo Felice. Sempre nella cripta
si trova il monumento al principino Carlo Emanuele di Savoia, figlio
di Vittorio Emanuele I, morto di vaiolo nel 1799. L'opera fu realizzata
da Fra Antonio Cano. |
Monumento a Luigi Amat |
Nella navata sinistra, nella terza
cappella, si trova il monumento funebre al Collare dell’Annunziata
Luigi Amat di Sorso, illustre esponente della famiglia Amat. L’opera
venne realizzata dallo scultore palermitano Federico Siracusa. |
Chiesa
della Speranza: Situata tra la Cattedrale e l’ex palazzo
di città, agli inizi della Via Fossario, la Chiesa della Speranza
riveste un significato molto importante per la nobiltà sarda.
E’ qui infatti che durante la dominazione spagnola si riuniva
lo stamento militare, ovverosia il ramo del parlamento formato dall’aristocrazia
(mentre il ramo reale si riuniva nel Palazzo di città ed il
ramo ecclesiastico nella Cattedrale, dove poi si riuniva l’intero
parlamento in seduta comune). |
Le prime notizie relative
ad una Cappella intitolata alla Madonna della Speranza, fondata dalla
famiglia Aymerich, risalgono alla metà del XV secolo. Non vi
è però unanimità tra gli studiosi se la Chiesa
fosse sin dall’inizio un edificio autonomo o parte della Cattedrale.
Realizzata in stile gotico – catalano, presenta un ambiente rettangolare
con volte a crociera, completa quella centrale e mezze quelle estreme.
Sulla destra sono presenti tre cappelline laterali, anch’esse
con volta a crociera completa. Lo stemma della famiglia Aymerich con l’aquila bicipite concessa da Carlo V a Salvatore Aymerich nel 1535 compare sia nella chiave di volta della campata centrale sia nella facciata esterna. |
Interno della Chiesa |
Ex Palazzo
di Città: L’edificio venne con ogni probabilità
costruito nel XIV secolo, quando Alfonso IV d’Aragona, accogliendo
un’istanza dei consiglieri cittadini, autorizzò nel 1331
la costruzione di una sede adeguata alle funzioni di una città
regia. La lastra marmorea posta sopra il portale ricorda la visita
di Carlo V nel 1535 prima della spedizione verso Tunisi. |
Via Canelles
Proseguendo la nostra visita verso Via Canelles, notiamo di fronte alla Piazza Palazzo alcuni palazzi aristocratici, appartenuti alle famiglie Lostia, Pes di Villamarina, agli Amat ed ai Flores. Sono palazzi dalle linee molto semplici, e ciò può lasciare perplessi. Considerato che i palazzi costituivano un simbolo esteriore della potenza raggiunta da una famiglia, può sembrar strano che palazzi situati di fronte alla piazza più importante della città non fossero arricchiti da linee e decorazioni significative. In realtà dobbiamo tener presente che la Piazza Palazzo ha assunto l'attuale forma solo dopo il 1912. Prima di questa data erano presenti diversi edifici che rendevano la piazza stessa piuttosto angusta. Ciò può spiegare quindi come alcuni dei palazzi sopra citati (es. Palazzo Amat) abbiano la facciata più rappresentativa che dà sulla Via Lamarmora anziché sulla Piazza Palazzo.
Palazzo Pes di Villamarina (V. Canelles, 62): Il palazzo, stilisticamente semplice, e confinante da un lato con il palazzo Amat (già Flores d'Arcais) e dall'altro lato con un palazzo di proprietà Lostia, risultava alla metà dell'800 di proprietà della nobile famiglia Pes di Villamarina. |
Palazzo Amat (Flores d'Arcais) (V. Canelles 60 - V. Lamarmora 93): Appartenuto originariamente ai Flores d’Arcais (e non ai De Candia come indicato in alcuni testi), il palazzo presenta una facciata, opera del Cima, verso via Lamarmora; ed un’altra, decisamente più semplice e priva di decorazioni verso la Via Canelles. Il palazzo, intorno al 1900, venne venduto a Carlo Amat Quesada, fratello minore del Marchese Amat di San Filippo. |
Palazzo
Serra di Santa Maria (V. Canelles, 58): Il palazzo, originariamente
appartenente alla famiglia Usay, successivamente venne acquistato
da Donna Maria Maddalena Zapata, madre del Marchese d’Albis
Francesco Manca Guiso. Ricostruito alla fine del ‘700 inglobando
altri due edifici della via Lamarmora, venne acquisito nella prima
metà dell’800 dalla nobile e ricca famiglia Serra di
Santa Maria, originaria di Selegas (nella facciata del palazzo compare
lo stemma di questa famiglia). |
Palazzo
Lostia di Santa Sofia (V. Canelles, 31/33 - Via Duomo, 4): Nel
1830 il conte Raffaele Lostia di S. Sofia lo acquistò dal marchese
di Samassi Don Giuseppe Simon Carcassona per 9.000 lire sarde. L’edificio
si sviluppa su tre piani. Intorno alla metà dell’800
fu modificato dall’architetto Gaetano Cima, che costruì
un nuovo ingresso sulla via Canelles, con volte a botte e a padiglione
affrescate, impreziosito da lesene e da una cornice modanata, oggi
purtroppo fortemente degradate. Originariamente aveva l’ingresso
nella via del Duomo, che esiste tuttora, e facciata sulla via Canelles.
Queste le coerenze nel citate 1830: a sud con la casa degli eredi
Pullo Delvecchio, a nord con l’ufficio della Reale Insinuazione,
di prospetto nella strada della Speranza (oggi via Duomo) con una
casa del Capitolo ed una del Barone di Villa Peruccio e per l’altra
facciata in via Santa Caterina, o dei Cavalieri, con la casa del Cav.
Carlo Palietti. Il palazzo venne abitato sino alla prima metà
del XX secolo dalla nobile famiglia Lostia di Santa Sofia; nello stesso
periodo una parte, per via di matrimonio, passò al marchese
Vittorio Quesada di S. Sebastiano. |
Palazzo
Sanna Sulis (Via Canelles, 46/48): Retro del palazzo Sanna
Sulis |
Palazzo Sanna Sulis |
Palazzo Atzeni Tedesco (V. Canelles, 25/19): Di probabile antico impianto, il palazzo conclude l'isolato tra la via Canelles, il vico primo Lamarmora e via del Duomo e ha subito diversi rifacimenti sino ad arrivare all'attuale aspetto con accenni tardo neoclassici - liberty. Si sviluppa su due piani alti, mezzanelli e pianterreno; la facciata è scandita da cornici marcapiano e da un cornicione a motivi floreali e sei finestre accoppiate in ogni piano. Lungo il piano terra delle facciate ritroviamo il particolare finto bugnato liscio continuo, attribuito, secondo diverse pubblicazioni, a Gaetano Cima, ma senza prove. Ciascuna apertura, dotata di un balconcino, è riquadrata da eleganti colonnine a spirale e sormontata da formelle in cotto raffiguranti teste femminili. Le finestre del primo piano sono sormontate, alternativamente, da cornici rettilinee a trabeazione poggianti su mensole. Il portale d'ingresso ad arco, con cornice in pietra modanata, è di fattura settecentesca che richiama altri ingressi del quartiere, quali quello del vicino antico ingresso sul retro del Palazzo Pes Sanna-Sulis in via Canelles 48, quello del Palazzo già Sini-Fundoni in via Canelles 56, e ancora quelli del Palazzo del marchese di Samassi (oggi Floris-Thorel) in via Lamarmora e del Palazzo Fois via Genovesi 112. L'interessante ingresso presenta un arco ribassato che immette al vano scala, caratterizzato da una doppia rampa a tenaglia, con corrimano a colonnine, che porta a un primo pianerottolo di ingresso ai mezzanelli, sulla cui balaustra poggiano le colonnine che reggono la volta. Una seconda rampa conduce agli appartamenti del piano nobile e del secondo piano. Non si conosce l'epoca né la committenza di questa particolare scala, che presenta alcune vaghe analogie con quella del Palazzo Floris-Thorel, riscontrabili nella volta e nell'uso di balaustre a rampe alternate. In fondo all'ingresso, sotto la scala, un altro ambiente dava accesso ai sotterranei, oggi murati.
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Nonostante
l'attuale denominazione sia piuttosto recente e borghese - anni
'30 del Novecento - il palazzo ha una sua lunga e nobile storia.
Le notizie storiche ci riportano alla seconda metà del Settecento,
e precisamente al 1768, quando, da un documento, apprendiamo che
apparteneva al nobile avvocato Salvatore Durante, cavaliere; successivamente,
data la sua posizione vicina al regio palazzo e quindi al centro
del potere, fu abitato, come altri palazzi vicini, da alcuni giudici
della Reale Udienza. Più tardi, un censimento del 1825 attesta che,
nella strada di Santa Caterina, abitava il nobile tempiese Don Pietro
Misorro. Non sappiamo con certezza se si tratti dello stesso edificio,
però qualche anno dopo, e precisamente intorno al 1850, il registro
del vecchio catasto ci indica che la proprietaria ne era Donna Ignazia
Misorro del fu Raimondo, residente in Genova, maritata al nob. Luigi
Augusto Buglioni dei conti di Monale, poi ammiraglio e senatore
del Regno, aiutante generale di campo del Re. La stessa proprietaria
possedeva anche la casa in via Genovesi, che lo stesso registro
catastale ci dice con una postilla, esser "passata a De Candia",
nome con cui quest'ultimo palazzo è tuttora noto. Tornando al palazzo
Atzeni-Tedesco, ci torna ancora una volta in aiuto un registro del
vecchio catasto, dal quale apprendiamo che, intorno al 1875, apparteneva
al prof. avvocato Antioco Loru (Villacidro, 1818 - Cagliari, 1898),
docente di diritto nella nostra università, di cui fu anche Rettore
Magnifico dal 1868 al 1872 e dal 1885 al 1886, Preside della Facoltà
di giurisprudenza (1875-1883). Fu ancora Sindaco di Cagliari nel
1851-1852, consigliere e presidente del Consiglio provinciale di
Cagliari, consigliere comunale. Nel 1883 fu nominato Senatore del
Regno d'Italia. Una personalità di tutto rispetto nella nostra città
insomma. Era sposato con Donna Luigia Boy Dearca, proprietaria a
sua volta del Palazzo già Otger nel vico primo Lamarmora. Fino al
1920, anno della morte, vi abitò Donna Luisa Roych ved. del console
di Turchia Don Giuseppe Sanjust Amat, che non sappiamo se ne sia
stata anche proprietaria dopo il senatore Loru. La presenza della
famiglia Atzeni-Tedesco è attestata dal censimento della cattedrale
del 1930, dove questo palazzo risulta essere abitato da ben dieci
famiglie, divise tra sottani, mezzanelli, primo e secondo piano:
al primo piano risulta infatti risiedere il Dott. Plinio Atzeni
Tedesco, un medico chirurgo e professore universitario, nato a Cagliari
nel 1897 e morto a Roma nel 1980, con la moglie Maria Setti, senza
figli. L'edificio è stato dichiarato d'interesse culturale con decreto
del 16 febbraio 1989. |
Palazzo
Otger (Vico I Lamarmora): Conclude l’isolato, con
ingresso nel vico 1° Lamarmora, il palazzo – o almeno
ciò che resta – di Don Luigi Porcile (1848-1920). La
facciata, in due piani alti più un ammezzato, non si discosta
molto dallo stile di altri edifici del quartiere, se non per l’uso,
abbastanza inconsueto nel rione, di mattoncini a vista, per i piani
alti, che ne rendono gradevole l’aspetto, mentre l’ammezzato
e il piano terra sono rivestiti di fasce continue ad intonaco liscio.
Le aperture del piano nobile sono caratterizzate da cinque balconi
in ferro battuto (uno non più esistente). Quello centrale,
più ampio rispetto agli altri, è affiancato da altri
due balconcini in muratura posti a filo della facciata, mentre al
secondo piano sono presenti solo i balconi posti alle estremità,
mancando quello centrale. La finestra centrale del piano nobile
è sormontata da un timpano a lunetta, affiancata da finestre
sormontate invece da cornici rettilinee a trabeazione poggianti
su mensole; le altre finestre laterali, a coppie, sono decorate
invece da motivi floreali, così come quelle del piano superiore.
È probabilmente uno degli ultimi interventi nel quartiere,
riscontrabili da elementi Liberty, eseguiti alla fine dell'Ottocento,
quando l'edificio, unitamente al vicino Palazzo oggi noto come Atzeni-Tedesco,
apparteneva a Donna Luigia Boy Dearca, moglie del prof. Antioco
Loru, senatore, sindaco di Cagliari e rettore della nostra Università.
Il fregio posto sul portone d’ingresso, a forma di cartiglio
piumato, reca le di lei iniziali L B (Luigia Boy) sormontate dalla
corona nobiliare. In diverse pubblicazioni viene citato come palazzo
Atzeri-Vacca-Deroma-Serra di S. Maria: nulla sappiamo sugli Atzeri-Vacca
e sull’appartenenza ai Deroma, famiglia oristanese; notiamo
che questi ultimi erano marchesi di S. Maria, mentre la famiglia
Serra di S. Maria possedette, nel ‘900 il prospiciente palazzo
già dei Borro. Forse l’omonimia di predicato ha creato
qualche confusione. Il palazzo invece ha una sua storia abbastanza
documentata, che ci permette di attribuirne la proprietà
alla famiglia Otger e precedentemente ai Carnicer, dai quali prese
anche nome il vicolo. Con sentenza del 17 marzo 1824, infatti, la
Reale Udienza autorizzava il barone Don Vincenzo Otger di Villaperuccio
alla vendita di un predio in località Su Loi, sottoposto
a fidecommesso, surrogandone il valore con la casa grande posseduta
dallo stesso barone entro il Castello di Cagliari, “che ha
tre facciate una alla strada dritta, altra alla discesa denominata
di Carnicer, e la terza alla strada di Santa Caterina confinante
da una parte a casa dell’Ill.mo Sig. Marchese di Laconi, dall’altro
a casa dell’Ill.ma Sig.ra Marchesa La Planargia, e dalla terza
alla casa dell’Ill.ma Sig.ra Marchesa S. Vittorio, e per la
parte di dietro laterale ancora alla casa dello speziale Giuseppe
Lai, che prima era dell’Ill.mo Sig. Marchese Laconi”.
Storicamente sappiamo che nel 1563 apparteneva a Don Pietro Alagon
e confinava di spalle con le case del nobile Don Monserrato Sanjust
verso la via Canelles e parte con case dell’Egr. “Misser”
Giovanni Atzeni verso la via Lamarmora, oggi rispettivamente Palazzo
Carboni e Palazzo Ponsiglioni già Rodriguez. Successivamente
posseduta dai coniugi Don Raimondo e Donna Isabella Zatrillas, fu
poi di Don Antonio Masones e nel 1645 fu posta al pubblico incanto
e acquistata dal nobile Don Francesco Carnicer. Questi i confini
dell’epoca: nel carrer major, affronta per davanti a casa
del fu Gaspare Fortesa, oggi posseduta dal dott. in diritto Antioco
Cani Spada, parte a casa del fu Michele Masones che oggi possiede
il nob. Don Matteo Manconi strada frammezzo, di spalle con casa
del fu nob. Don Melchiorre Aymerich Signore della villa di Mara
che oggi possiede il nob. Don Ignazio Aymerich conte di Villamar,
da un lato con casa dell’Illustre qm. Don Jayme de Castelví
marchese di Laconi, che oggi possiede l’Illustre Marchese
di Laconi, il suddetto carrer major mediante, dall’altro lato
con casa del fu nob. Don Luigi de Aragaill y Gualbes strada frammezzo,
che oggi possiede l’Ill. Marchese di Palmas”. Con la morte senza successione dell’ultimo Carnicer, Don Francesco, nel 1787 e l’estinzione della famiglia, il palazzo e tutti i suoi beni vennero lasciati per testamento alla di lui vedova Donna Luigia Ripoll, che poco tempo dopo si risposò con Don Francesco Giuseppe Otger, barone di Villaperuccio; da questo matrimonio nacque un figlio, Don Vincenzo Otger, che erediterà il palazzo Carnicer, unitamente ad altro degli Otger poco distante, nella via Duomo, una vigna in regione S. Maria Chiara tra Cagliari e Pirri (nell’attuale via Cadello), altra vigna a Sarroch, un predio a Quartucciu ed alcune case alla Marina. Anche Don Vincenzo Otger fu l’ultimo della sua famiglia (ebbe solo una figlia illegittima riconosciuta), e col suo testamento del 2 marzo 1834 lasciò il suo patrimonio ai poveri di Cagliari, in suffragio della sua anima. Con Regio Brevetto del 22 maggio 1847 fu approvato il piano di riparto fra i vari pii stabilimenti cittadini e questo palazzo venne assegnato all’Ospedale Civile, mentre l’altro di via Duomo venne assegnato al Conservatorio della Provvidenza. Nel 1811 il palazzo Otger-Carnicer risulta affittato al conte Don Pietro Ballero, Intendente generale del Monte di Riscatto. L’ultimo Barone Otger vi abitò fino alla morte, preferendo affittare la vecchia casa di via Duomo. Dal testamento del barone Otger emerge il ritratto di una persona raffinata, che praticava la musica e il ballo, di cui aveva un maestro, ed ospitale verso i musicisti forestieri. |
Palazzo Otger |
Palazzo
Pes di San Vittorio (Vivaldi Pasqua) (V. Canelles, 17/15): Il
palazzo appartenne al marchese Don Pietro Vivaldi Zatrillas (1754-1809);
fu portato in dote dalla figlia Caterina Vivaldi Chabod (1789-1847)
nel 1811 a Don Giuseppe Maria Pes de Quesada, 2° marchese di
S. Vittorio (1781-1860), che nel 1844, a causa della sua numerosa
famiglia e strettezza del suo patrimonio, ottenne dalla R. Cancelleria
lo svincolamento di un terzo del compenso sul riscatto feudale accordatogli.
La dote apportata dalla moglie valeva 8.000 scudi, di cui 5.000
nel valore del palazzo di Castello. Per spese di restauro dovettero
accendere due censi al 6 %. Nel 1844 si rinnovò il tetto
e si eresse un altro piano. Il prezzo del riscatto del Marchesato
di San Vittorio fu stabilito in lire sarde 43,738.1.8, pari a lire
nuove 83,977.12 corrispondenti al 100 per 5 alla rendita di lire
sarde 2186.18.1, pari a lire nuove 4198,856. |
Palazzo
Serra (Sanjust) (V. Canelles, 11/9): Scheda in corso di
preparazione |
Palazzo Carboni (V. Canelles 38/36 - Via Lamarmora 37/41) |
Palazzo
Asquer (V. Canelles 32/22): Il palazzo sorge al posto di
un altro edificio dal quale nel 1688 partirono i colpi che uccisero
il Vicerè di Camarassa. A seguito di quest’omicidio
la casa, di proprietà Brondo, venne rasa al suolo. Nel nuovo
edificio, tutt’oggi esistente, compare la lapide seicentesca
in memoria dell’omicidio il cui testo recita: "PARA PERPETVA
NOTA DE INFAMIA DE QVE FVEREON TRAYDORES DEL REY NVESTRO SENOR DON
JAIME ARTAL DEL CASTELVI QVE FVE MARQVES DE CEA DONA FRANCISCA CETRILLAS
QVE FVE MARQVESA DE SIETEFUENTE DON ANTONIO BRONDO DON SILVESTRE
AYMERICH DON FRANCISCO CAO DON FRANCISCO PORTVGVES Y DON GAVINO
GRIXONI COMO REOS DE CRIMEN LESE MAGESTAD POR HOMICIDAS DEL MARQVES
DE CAMARASA VIRREY DE CERDENA FVERON CONDENADOS A MVERTE PERDIDA
DE BIENES Y DE HONORES DEMOLIDAS SVS CASAS CONSERVANDI EN SV RVINA
ETERNA IGNOMIA DE SV NEFANDA MEMORIA Y POR SER EN ESTO SITIO LA
CASA DE DONDE SE COMETIO DELICTO TAN ATROZ A VEYNTE Y VNO DE JYLIO
DE MIL SEISCIOENTOS SESENTA Y OCHO SE ERIGIO ESTE EPITAPHIO" |
Palazzi
Sanjust / De Candia (V. Canelles, 7/3): Il complesso, comprendente i numeri civici 7,5 e 3 della via Canelles e il n. 10 di via Fossario, costituisce oggi un unico edificio di proprietà delle Pie Suore della Redenzione. Un tempo era invece formato da due distinti palazzi: uno di proprietà Sanjust e l'altro di proprietà De Candia. |
Palazzo
Pes - Viale (V. Canelles, 4): Il palazzo, situato alla
fine della Via Canelles, fu costruito dalla nobile famiglia Viale,
nobilitata alla fine del ‘700 ed oggi estinta. Nel balcone
centrale del primo piano, fino a pochi anni fa, era presente nella
ringhiera in ferro battuto lo stemma di questa famiglia (lo stemma
è stato poi ricostruito durante l'ultimo restauro). Il palazzo
si articola su due piani con un bel portale d’ingresso, di
gusto manieristico. Nell’800 il palazzo passò alla nobile famiglia Castelli. Qui visse il Generale Luigi Castelli (1810 - 1885) con la moglie Donna Gabriella Corte. Alla morte di quest'ultima il palazzo venne donato ai discendenti Pes Corte (la sorella di Donna Gabriella Corte, Luigia, aveva infatti sposato il Conte Rafaele Pes). |
Scuola
Elementare Santa Caterina (Piazza Angioni, 1): Costruito
nel 1907 con uno stile neoclassico sull’area rimasta libera
in seguito alla demolizione della chiesa e dell’annesso convento,
risalenti al 1641, l’edificio ospita la scuola elementare
Santa Caterina. La Scuola elementare Santa Caterina, assieme alla
Satta, è la più antica di Cagliari. Il can. Spano,
nella sua Guida di Cagliari, ci racconta che anticamente il convento
aveva una parte che sovrastava con un portico la strada del Fossario,
e fu teatro di una terribile disgrazia: la notte del 27 dicembre
1747, verso le nove di sera, durante una tempesta, crollò
precipitando nel sottostante terrapieno, causando la morte di una
ventina tra monache e educande. Questa parte del monastero non venne
più riedificata. Per la cronaca morirono 12 monache e 10
educande. Solo due furono tratte in salvo 48 ore dopo. Le monache
morte furono: la sorella del Giudice D. Francesco Cadello, Suor
Giacinta Deliperi, Suor Luigia Claveria, Suor Anna Bastida, Suor
Giuseppa Manconi, Suor Giovannina Orrù, Suor Paola Maria
Otgier, Suor Laurica Nin, Suor Anna Maria Deidda, Suor Anna Silvestre,
Suor Dionigia Pastor, Suor Ignazia Pastor. Salvate: Suor Peppa Galcerini,
Donna Francesca Sanna. Seguono le Convittrici: Donna Pepica Solinas,
Donna Caterina Solinas, Donna Pepica Manca, Luigia Delvecio, Agostina
Terragona, Pepica Terragona, Pepica Puggioni, Maria Grazia Marcello. |
Via Genovesi
Svoltando per il Bastione Santa Caterina si arriva nella Piazzetta Lamarmora. Sulla destra si risale sulla via Lamarmora. Proseguendo dritti si percorre Via Genovesi.
Palazzo
Zapata (Brondo) (Piazzetta Lamarmora, 3): Il palazzo, di
forma assai irregolare e dalla facciata assai modesta, presenta
un imponente portale in marmo fatto costruire nel 1622 da Don Antonio
Brondo, Marchese di Villacidro, Conte di Serramanna e Signore di
Monastir. Nel timpano compare lo stemma del figlio di Antonio, Francesco,
con le armi paterne (Brondo e Ruecas) e materne (Gualbes e Zuniga). |
Palazzo
Rossi (Via Genovesi, 1/3): Facciata sulla Via Genovesi |
Palazzo Rossi |
Palazzo
De Candia (Via Genovesi 8/18): Situato tra Palazzo Zapata
e Palazzo Sanjust, il palazzo fu originariamente di proprietà
della famiglia Misorro. Nel XIX secolo venne ceduto alla famiglia
De Candia che provvedette a ristrutturare l'edificio e ad abbellirlo.
La facciata principale, ristrutturata probabilmente dall’architetto
Cima, presenta elementi neoclassici. Il palazzo fu abitato dai De
Candia fino al 1898, anno in cui fu venduto all'avvocato Francesco
Muntoni che vi abitò coi suoi discendenti fino alla metà
degli anni '50. Nel 1968 Palazzo De Candia venne acquistato da Benedetta
Imeroni Inserra. Oggi ospita un elegante ristorante e bed and breakfast. |
Palazzo
Sanjust (Via Genovesi 20): Il palazzo, tra i più
antichi e imponenti del quartiere, si affaccia sulla Via Genovesi
e sulla via Università. In diversi testi viene denominato
"Sanjust Ripoll", ritenendo che sia giunto alla famiglia
Sanjust dal matrimonio tra Carlo Sanjust e Mariangela Ripoll. In
realtà il palazzo arrivò ai Sanjust tramite la famiglia
Cutis, una famiglia di mercanti nobilitata nel 1682 nella persona
di Giovanni Battista. Giovanni Battista Cutis lasciò il palazzo
alla figlia Laura, moglie di Giovanni Sanjust Manca, e da qui alla
discendenza Sanjust Cutis. Ancora oggi il palazzo è abitato
dagli eredi della famiglia. |
Palazzo
Scolopi (già casa detta "di Rosso") (Via Genovesi,
5): Il palazzo occupa un’area rettangolare nella
parte iniziale della via dei Genovesi, quasi prospiciente la via
San Giuseppe, tra i palazzi Rossi (già Porcile e Boyl) e
Barca-Pirisi (già del conte Fancello e del vescovo Borro).
Si sviluppa su tre piani alti e un mezzanello; il basamento è
avvolto da fasce lisce continue, interrotto da un unico ingresso
centrale rettangolare con cornice in pietra e da sei finestre semplici.
Nei piani superiori, segnati da cornici marcapiano, sono presenti
sette aperture per piano, riquadrate con cornici semplici modanate,
tutte munite di balconcini in ghisa: quelli del piano nobile sono
a filo della facciata, escluso quello grande centrale sorretto da
quattro mensole in pietra in corrispondenza del portale; quelli
del secondo piano sono alternati a filo e in aggetto, questi ultimi
poggianti su mensole metalliche, mentre quelli dell’ultimo
piano sono tutti a filo della facciata. Le prime notizie dell’edificio risalgono al XVII secolo, quando apparteneva a Giovanni Antonio Rosso, ricco mercante di origine genovese che nel 1682 verrà insignito dei privilegi di Cavalierato e nobiltà. Come membro dell’Arciconfraternita dei Genovesi fece cospicue offerte e doni alla chiesa dei Santi Giorgio e Caterina della Costa, ottenendo il giuspatronato sulla terza cappella a destra della navata, dedicata alla Madonna delle Grazie, col pio legato di garantirne il decoro e la celebrazione perpetua di messe settimanali, mediante ipoteca del suo palazzo. Alla morte di Don Giovanni Antonio Rosso gli succedette la figlia Donna Isabella, sposata fin dal 1680 con Don Giuliano Aurame, un giureconsulto ligure originario di Alassio, che nello stesso anno venne decorato anch’egli dei privilegi di cavalierato e nobiltà. La loro figlia Donna Angela Aurame Rosso, morta nel 1749, per donazione testamentaria lasciò il palazzo al Collegio di San Giuseppe, retto dai Padri delle Scuole Pie, detti Scolopi. L’edificio risulta interessato dal progetto di allargamento stradale del Cima approvato nel 1857, per cui si è indotti a ritenere che la stessa facciata sia stata in tale occasione disegnata dallo stesso architetto Cima. Con le leggi sulla soppressione degli ordini religiosi e dei conventi e il successivo incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato (1866 e 1867), il palazzo entrò a far parte del patrimonio demaniale denominato fondo asse ecclesiastico. Fino agli anni ‘20 del Novecento vi avevano sede gli uffici del Genio Civile e della Conservatoria delle Ipoteche. Acquisito da privati il palazzo è stato recentemente restaurato. |
Retro
del Palazzo Barca Pirisi (Borro) (Via Genovesi, 7/15) |
Palazzo Barca Pirisi (Borro) |
Palazzo Orrù (V. Genovesi 17/19 - Via Lamarmora 24/26) |
Palazzo Orrù |
Palazzo
Sanna Borro (V. Genovesi - Via San Giuseppe 1/7): Il palazzo
occupa un’area irregolare all’angolo tra la via dei
Genovesi e la via San Giuseppe, dove è l’ingresso.
Si compone di tre piani alti più un piano attico, aggiunto
posteriormente. La facciata è segnata da fasce marcapiano
e finestre incorniciate da cornici semplici, i balconi, in ferro
battuto lavorato, sono a filo nel primo piano, aggettanti nei piani
superiori. Non sappiamo quando sia stato costruito, ma dall’elenco
dei nobili abitanti nella città di Cagliari compilato per
Carlo Felice nel 1825, fra le famiglie residenti nel quartiere di
Castello, nel primo tratto della via dei Genovesi, troviamo quella
di Don Giuseppe Porqueddu, con la moglie Donna Francesca Meloni
e le figlie Donna Giuseppa e Donna Ignazia. Don Giuseppe Porqueddu,
senorbiese, era nipote del vescovo di Iglesias Don Domenico e del
gesuita Don Antonio Vincenzo Porqueddu, autore nel 1779 de Il tesoro
della Sardegna nei bachi e gelsi. Il palazzo fu al centro di una
vicenda giudiziaria: Don Giuseppe Porqueddu con testamento del 9
aprile 1836 istituiva erede universale l’unica sua figlia
superstite Donna Maria Ignazia, e legava al nipote Don Peppino Porqueddu,
figlio del fratello Raffaele, i suoi beni di Senorbì, Ortacesus
ed altri villaggi, coi mobili che teneva in essi e con la metà
del bestiame, coll’obbligo di vivere in essi villaggi almeno
per tre mesi all’anno, quando pure ciò non gli fosse
di grave incomodo. Ritenendo poi di avere un diritto certo alla
successione alla contea di Monteleone e al fidecommesso Brunengo
ordinò che si rivendicassero giudizialmente, e, in caso positivo,
dispose che contea e fidecommesso passassero in usufrutto al fratello
Don Raffaele e poi al nipote Don Peppino. Morendo poi il nipote
senza figli legittimi, o prendendo lo stato religioso, chiamava
alla successione l’altro nipote Don Antioco, fratello di Don
Peppino. Nello stesso testamento dispose ancora che appena seguito
il suo decesso, Don Peppino potesse andare ad abitare i mezzanelli
della casa che possedeva nella strada di S. Giuseppe, legandogli
l'abitazione insieme ai mobili di cui era fornita. Don Peppino Porqueddu
entrò frattanto come novizio nella Compagnia di Gesù;
perciò lo zio Don Giuseppe, nel marzo del 1837, trovandosi
in Senorbì colpito da malattia, fece chiamare il notaio Pasquale
Desogus di Suelli per dettargli un codicillo, col quale intendeva
revocare quanto aveva già disposto a favore del nipote Don
Peppino col precedente testamento, costituendo in fidecommesso tutti
i beni mobili, stabili e semoventi che possedeva in Senorbì
e suoi territori, come pure nei villaggi di Sant'Andrea Frius, San
Basilio ed Ortacesus, unitamente a dodici case che possedeva in
Cagliari nel quartiere di Villanova, a favore dell’altro suo
nipote Don Antioco, sostituendogli successivamente, in caso di morte
senza prole, gli altri suoi nipoti Don Francesco Porqueddu e Don
Vincenzo Sanna Borro, figlio questo della sorella Marianna. Il notaio
sarebbe ritornato più tardi per fargli firmare solennemente
secondo le consuete forme di legge il codicillo opportunamente predisposto.
Ma al suo ritorno il notaio Desogus non riuscì a rivedere
il testatore, il quale morì nella notte senza poter firmare
il documento, a causa dell’opposizione di Donna Francesca
Meloni, moglie del testatore e della figlia Donna Ignazia. Ne nacque
allora una lunga lite giudiziaria tra Don Antioco Porqueddu - che
diventerà generale di cavalleria, direttore della Tanca Regia
e deputato - e il fratello Peppino, e lo stesso Don Antioco e la
zia e la cugina: vistosi privato dell’immediato possesso dei
beni dello zio, sia col fidecommesso a suo favore disposto dallo
zio col codicillo che non ebbe effetti legali perché non
firmato dal testatore, sia perché, a suo, dire, il fratello,
facendosi sacerdote, avrebbe comunque mancato alle condizioni disposte
dallo zio Giuseppe nel testamento legale e non avrebbe più
avuto alcun diritto all’eredità. La causa si concluderà
a favore di Don Peppino Porqueddu con sentenza della R. Udienza
del 19 febbraio 1838, confermata da altra coi voti del Supremo Consiglio
di Sardegna sedente in Torino del 17 settembre 1840, che sarà
riconosciuto in diritto a mantenere il possesso dei beni ereditari.
Donna Ignazia Porqueddu, rimasta vedova presto di un Sequi Fois
di Bortigali, fu in seguito interdetta legalmente – forse
impazzita – e posta sotto tutela del cugino sacerdote Don
Peppino, secondo le risultanze del Vecchio Sommarione, nel quale
le viene attribuito, oltre il palazzo di Via San Giuseppe, anche
un altro nella odierna via Corte d’Appello, allora chiamata
strada di Santa Croce, presso la piazzetta della basilica. Estinta
la famiglia Porqueddu, il palazzo di via S. Giuseppe fu ereditato
dall’ultimo erede designato, l’avv. Don Vincenzo Sanna
Borro e da questi passò alla figlia Clementina, sposata al
nob. Luigi De Magistris dei Conti di Castella, la cui discendenza
vi abita tuttora. |
Palazzo
Nieddu (V. Genovesi 32/36): Scheda in
corso di preparazione |
Palazzo
Cao Pinna (V. Genovesi 38/46): Scheda
in corso di preparazione |
Palazzo
Aymerich (Via Genovesi - Via Lamarmora 42/48): Il palazzo
sorge su un substrato di origine medievale, conglobante più
strutture abitative. Il Palazzo aveva il suo lato nobile nell’ala
rivolta verso la Via Lamarmora, costituita da un piano terra e due
ulteriori piani, mentre sulla Via Genovesi l’edificio era
costituito da un piano terra e cinque piani. Ristrutturato dall’architetto
Cima (autore anche del Palazzo Aymerich a Laconi) tra il 1830 e
1840 secondo uno stile neoclassico, fu fino al 1931 la dimora del
Marchese di Laconi (Castelvì e poi Aymerich). Venne venduto
alla famiglia Puxeddu e poi distrutto dai bombardamenti aerei del
1943. Il sottopassaggio esistente, oggi murato, venne detto Portico
Laconi. |
Palazzo
Fois (V. Genovesi 54 - Vico I Genovesi 1/5 - Via
Corte d'Appello): Il palazzo si estende su un’area
irregolare piuttosto vasta tra la via dei Genovesi, il vico I Genovesi
e la via Corte d’Appello. Presenta tre piani alti sulla via
Genovesi, che diventano cinque sulla parallela via Corte d’Appello
grazie alla pendenza fra le strade. Di gusto neoclassico, la facciata
presenta un basamento liscio a fasce orizzontali e cornici marcapiano
modanate ai piani superiori. Le finestre dei piani superiori sono
incorniciate da cornici semplici modanate, quelle sulle due strade
parallele presentano anche balconi in ferro battuto aggettanti poggianti
su mensole. L’arretramento rispetto alla linea stradale sulla
via Genovesi risulta dal progetto di allargamento del Cima approvato
nel 1857, per cui si ritiene che gli interi prospetti del palazzo
siano stati in tale occasione rivisti dallo stesso architetto Cima.
|
Palazzo Ballero |
Palazzo
Ballero (V. Genovesi 56/60): Il palazzo,
che si eleva in tre piani con aperture caratterizzate da semplici
cornici e balconi in ferro battuto, si trova in prossimità
del tratto più stretto e angusto della via Genovesi, quello
che non fu interessato dai lavori previsti dal piano regolatore
del Cima del 1857 mediante il taglio e il conseguente arretramento
delle facciate dei palazzi, in modo da ottenere un allargamento
regolare della strada, come fu invece eseguito nel primo tratto.
Tale interruzione del progetto si può vedere negli edifici
di fronte, con un brusco restringimento della via. Nel Vecchio Sommarione
del catasto di metà Ottocento il palazzo risulta intestato
a Sardo Donna Catterina fu Enrico maritata Ballero Don Gaetano ,
da cui passò ai figli Antonio e Anna Ballero, che vi abitò
col marito cap. Don Efisio Canelles Sanjust (1844 - 1908) e i suoi
figli, tra i quali ricordiamo Gaetano (per tutti Don Tatano), famoso
poeta in vernacolo cagliaritano e insigne magistrato. Donna Caterina
Sardo Porcile morir in questo palazzo nel 1916. |
Palazzo
Zapata (V. Genovesi 86/90): Il Palazzo
è tra i più antichi di Cagliari, essendo databile
al XVI secolo. Di stile rinascimentale appartenne alla nobile famiglia
Zapata, tra le più antiche e potenti famiglie cagliaritane.
Semidistrutto dai bombardamenti del 1943, rimane oggi l’ala
destra, dove si possono ammirare quattro file di finestre, con bei
balconi di ferro, disposte su due piani. Le finestre inferiori sono
sormontate da cornici rettilinee e quelle superiori da timpani che
poggiano su paraste corinzie. |
Palazzo Sanjust (Cadello) |
Palazzo
Sanjust (Cadello) (V. Genovesi 92/96):
Del palazzo, noto come Cadello, non si conosce molto. Di pianta
rettangolare, si sviluppa su due piani altri e un mezzanello, senza
nessun particolare architettonico. Le finestre, di disegno semplice,
sono prive di balconi. Quelle del mezzanello sono asimmetriche rispetto
a quelle dei piani superiori. La facciata presenta due portali alle
due estremità : la parte sinistra, di cui rimane appena una
porzione di arco del portale - da cui si accede ancora all’edificio
- confinante col palazzo Asquer-Zapata, è in parte demolita
in conseguenza dei bombardamenti del 1943, che fecero crollare anche
una parte di quest’ultimo, mentre dall‘altro ingresso
si accedeva probabilmente alla carrozziera, poi trasformata in sottano
abitabile. I Cadello, che ebbero il marchesato di San Sperate, si
estinsero nel 1846 con un Efisio, morto celibe, e il titolo passò
alla prima sorella Donna Anna Maria, sposata col Marchese di Neoneli
Don Pietro Ripoll, Conte di Tuili. Al tempo della redazione della
prima matricola catastale dei beni urbani, l edificio risulta in
possesso di Don Carlo Sanjust Barone di Teulada, che probabilmente
lo ebbe dalla moglie Donna Mariangela Ripoll-Cadello, Marchesa di
San Sperate per eredità materna e Marchesa di Neoneli e Contessa
di Tuili per via paterna. Tutti questi titoli passarono poi ai Sanjust. |
Palazzo
Mearza di San Fedele (V. Genovesi 98/102): La
facciata, di due piani con una parziale sopraelevazione, è
caratterizzata da un bel portale ad arco, bugnato. Le finestre hanno
cornici semplici con balconi in ferro battuto. Restaurato a metà
Ottocento su precedenti impianti settecenteschi, del palazzo si
conosce poco: nel 1841 il Consiglio degli Edili autorizzò
il Marchese di San Fedele al rifacimento della facciata e al restauro
del palazzo. Dalla matricola catastale di metà ‘800
infatti risulta che l’edificio in via Genovesi al n. di mappa
4331 apparteneva a Don Gaetano Mearza Marchese di San Fedele, in
procura del sacerdote Giovanni Arthemalle. È poi aggiunto
“enfiteuta Basilica di S.S.M.e L.”. Originari di Ozieri,
i Mearza si trasferirono a Cagliari alla fine del ‘700 con
l’avv. Don Bachisio, giudice della Reale Udienza e in seguito
Sostituto Avvocato Fiscale Regio, che nel 1798 vi sposò Donna
Marianna Guirisi-Buschetti, figlia di Donna Caterina Buschetti Borro
pretendente alla successione del feudo di Marrubiu e marchesato
di San Carlo. Dopo una lunga lite giudiziaria feudo e marchesato
vennero però assegnati ai Paliacio, altri discendenti dei
Borro. In compensazione di ciò, e per comporre pacificamente
le controversie insorte tra le parti interessate al feudo di San
Carlo, al quale anche Don Gaetano Mearza-Guirisi, ufficiale di carriera,
pretendeva aver diritto, e in considerazione dei lunghi servizi
prestati nella carriera civile e militare da vari antenati paterni
e materni, Carlo Alberto gli conferì il 6 giugno del 1840
il titolo e la dignità di Marchese col predicato di San Fedele,
trasmissibile come fosse un titolo feudale, ai suoi discendenti
maschi primogeniti, ed in difetto di questi anche alle femmine discendenti
da maschi. Per la singolarità del caso e gli speciali motivi,
venne inoltre dispensato dal consueto pagamento dei diritti di finanza,
mezzannata e sigillo. La famiglia si estinse nel corso dell’800
e il palazzo appartenne ad alcune figlie del Barone Rossi. |
Palazzo
Cao di San Marco (V. Genovesi 104-108): Le
prime notizie su questo palazzo risalgono a quando vi abitava il
giudice Don Giovanni Battista Serralutzu, nato in Cuglieri nel 1760.
Terminati gli studi, si laureò in Leggi presso l’Università
di Cagliari, città dove visse per tutta la vita. Intrapresa
la carriera nella magistratura raggiunse il grado di presidente
e proreggente del tribunale della Reale Udienza. Fu decorato della
croce dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Nel 1795 sposò
nella parrocchia di Sant'Eulalia Francesca Novaro Belgrano, da cui
ebbe quattro figli, dei quali gli ultimi due morti giovani. Anche
la figlia secondogenita Donna Clara, che aveva sposato Don Giuseppe
Pollini, figlio del famoso Conte Pollini che aveva fatto costruire
la omonima villa ai piedi del colle di San Michele, morì
giovanissima, di parto, per cui unica erede rimase la figlia maggiore
Donna Caterina, andata sposa nel 1818 al Conte Don Efisio Cao di
San Marco. Dal censimento nobiliare voluto da Carlo Felice per la
città di Cagliari nel 1825 – il cosiddetto Elenco Prefettizio
– fra le famiglie residenti nel quartiere di Castello, proprio
in cima alla via dei Genovesi, troviamo quella del giudice Don Battista
Serralutzu seguita da quella della figlia Donna Caterina col marito
Don Efisio Cao. Alla morte del giudice Serralutzu, nel 1828, il
palazzo passò all’unica figlia superstite Donna Caterina
e al marito di questa Don Efisio Cao, che nel 1830 sarà creato
Conte di San Marco, anche se nel vecchio catasto appare intestato
a Donna Francesca Novaro vedova Serralutzu. All’epoca il palazzo
presentava un piccolo giardino sulla via Stretta. Intorno al 1858
il palazzo fu riprogettato dall’architetto Gaetano Cima, arretrandolo
rispetto agli edifici adiacenti: secondo il piano regolatore preparato
dallo stesso Cima nel 1857 era previsto infatti l’allargamento
della strada a cinque metri. Di particolare interesse è l’ingresso,
a pianta ottagonale e ricoperto da una volta “a spicchi”
affrescati. Un’ampia scala in lavagna (sa bizzarra in cagliaritano)
con ringhiera in ghisa lavorata e corrimano in legno conduce ai
piani superiori. Al primo piano, nel balcone centrale sempre in
ghisa, è presente lo stemma della famiglia. La facciata è
ornata da due festoni di stucco e un fascio di spighe sorretto da
due cornucopie che sormontano le tre finestre centrali del primo
piano. Le altre finestre del piano nobile sono sormontate invece
da timpani e quelle superiori da cornici semplici. Alla morte del
Conte Cao, nel 1869, il palazzo venne suddiviso tra alcuni dei suoi
11 figli: una parte andò al primogenito Don Vincenzo (†
1881), consigliere di Corte d’Appello, la cui unica figlia
Donna Teresa che aveva sposato Don Agostino Sanna–Serralutzu
lo trasmise alla propria discendenza; un’altra parte fu ereditata
dall’altro figlio Don Battista, avvocato e segretario generale
del Comune di Cagliari, che vi abitò fino alla morte, nel
1915. Vi abitarono inoltre il gen. Enrico Cao di San Marco, pluridecorato
al valor militare che prese parte alle guerre d’indipendenza
italiana, e l’avv. Don Andrea Cao-Cugia, che vi aveva anche
lo studio, entrambi deceduti senza discendenza. |
Palazzo
Fois (V. Genovesi 110-112): Di presumibile
impianto settecentesco, da una stima del regio misuratore Giuseppe
Maina del 1789 risultava di proprietà dell’Ospedale
di Sant'Antonio. Il palazzo si estende ad angolo tra la via e metà
del vico III Genovesi. Dalla matricola possessori del Vecchio Sommarione
risulta allora indicato col n. civico 42 e di proprietà di
Giuseppe Fois di Ozieri in procura del Beneficiato Antonio Michele
Fois. Più tardi venne abitato dalla famiglia dell’avv.
Giovanni Fois e della figlia Vincenzina sposata al magg. Don Giovanni
Cao-Pinna, che vi abitò fino alla morte della moglie nel
1901. Il palazzo non presenta particolari rilievi, il portale, ad
arco in pietra modanata, è asimmetrico rispetto al prospetto,
le finestre sono incorniciate da cornici semplici con balconi in
ferro battuto. |
Palazzi
appartenuti all'Ospedale Civile e Capitolo di Cagliari, Palazzo
del Duca di Mandas e Palazzo Salazar Grondona (V. Genovesi 93-103):
Nella fotografia sulla destra si possono notare diversi
edifici. Il palazzo avente i numeri civici 97-103, facente angolo
con il Vico Lamarmora era originariamente costituito da due diversi
palazzi: il primo intestato all'Ospedale civile, il secondo intestato
al Capitolo di Cagliari. Col tempo i due palazzi sono stati unificati
e le facciate rese uniformi. E' tuttavia possibile ipotizzare che
l'edificio intestato all'Ospedale Civile comprendesse le prime due
file di finestre, mentre le successive riguardavano il palazzo appartenuto
al Capitolo. Più avanti, si notano i ruderi del palazzo del
Duca di Mandas. La parte rimasta era probabilmente l'ingresso carrozzabile.
Infine, è possibile scorgere la casa appartenuta a Donna
Rita Grondona, moglie di Don Efisio Salazar, e successivamente alla
nipote Donna Teresa Grondona, moglie di Don Enrico Garau. |
Palazzo
Siotto (V. Genovesi 114-116): Il palazzo
oggi noto come Siotto era un tempo l abitazione cagliaritana degli
Alagòn, Marchesi di Villasor, e si estende su un area regolare
che conclude l’isolato tra la via dei Genovesi, il vico III
Genovesi e la via Stretta. Non essendoci al momento attestazioni
sull‘epoca della sua costruzione, possiamo però immaginare
che sia stato abitato dal momento che la famiglia lasciò
la Casa-Forte di Villasor, risalente al 1400, villaggio di cui venne
infeudata dapprima con titolo comitale nel 1537 con un Giacomo,
elevato in marchesato nel 1594 con un altro Giacomo, nipote del
primo. Il palazzo rimase in possesso della famiglia fino alla sua
estinzione avvenuta con Emanuela, morta nel 1765. La marchesa Emanuela
aveva sposato nel 1704 Don Giuseppe de Silva dei conti di Cifuentes,
che nel 1717, partigiano degli Asburgo, andò a Vienna ministro
dell’imperatore d’Austria, nonché presidente
del Consiglio d Italia. Il feudo di Villasor venne perciò
ereditato dai De Silva, il cui ramo primogenito si era ormai definitivamente
trasferito in Spagna. Rimase però a Cagliari il figlio minore
Don Emanuele de Silva, che morì, senza figli, nel 1756: con
lui cessò la presenza della famiglia in Sardegna, e il feudo
fu lasciato all’amministrazione di un podatario, che abitava
nel palazzo. Per questo motivo nel vecchio catasto l’edificio
appare intestato al Marchese di Santa Cruz e Villasor (che era Don
Francesco-Borgia-Gioacchino de Silva Bazàn, titolare in Spagna
del marchesato di Santa Cruz de Mudela e di numerosi altri titoli),
in procura dell’avv. Francesco Floris-Franchino, console di
Spagna a Cagliari. Nel 1878 gli eredi De Silva venderanno il palazzo
allo stesso avvocato Floris e alla moglie Elisabetta Thorel. La
famiglia Floris-Thorel lo rivenderà a sua volta verso il
1920 a Don Giuseppe Siotto, avvocato, rappresentante dell’Ordine
Mauriziano in Sardegna, persona facoltosissima che fece costruire
anche una villa nelle campagne di Sarroch, dove aveva stabilito
una importante azienda agricola. Il suo unico figlio maschio Luigi
morì in battaglia nel 1916 durante la Prima Guerra mondiale
poco più che ventenne e nel 1986 l ultima figlia vivente
istituì con testamento la Fondazione Istituto Storico "Giuseppe
Siotto", in memoria del padre. Secondo fonti non documentate
il palazzo sarebbe stato costruito nel 1850, ma fonti notarili ne
attestano l esistenza anche nei secoli precedenti; nel 1927 venne
ristrutturato dall’ing. Giacomo Crespi per i Siotto. La facciata
principale, sulla via Genovesi, di un solo piano, si compone di
un ampio portale ad arco con finte bugne lisce, sormontato da un
ampio balcone in muratura poggiante su due mensole e affiancato
da cornice marcapiano aggettante. Le finestre sono sormontate da
timpani, triangolari quelli laterali, a lunetta quello centrale.
Segue sulla stessa via un cortile, un tempo giardino. Dalla parte
del vico Genovesi e sulla via Stretta lo stabile si sviluppa in
altezza, sfruttando la pendenza stradale; vi si trovano diversi
appartamenti, separati dal resto dell’abitazione. |
Palazzo
Sanjust (V. Genovesi 113/115 - V. Lamarmora 118): Retro
del palazzo |
Palazzo Sanjust |
Palazzo Cugia
(V. Genovesi 120-124 - Via Santa Croce): Lo
stabile, comunemente denominato Palazzo Nieddu o Cugia, oltre al prospetto
principale su Via Genovesi, prospetta altresì sulle Vie Santa Croce
e Via Stretta. La parte terminale di quest’ultima via, chiusa da
un portone, fa parte del palazzo. Attraverso questo portone si accedeva
a due ampi locali, probabilmente un tempo carrozziere o stalle. Le notizie
più antiche di questo edificio risalgono al 1598, come risulta
da un documento dell’Archivio di Stato di Cagliari, che certifica
il collaudo di alcune riparazioni effettuate nei porticati dei cortili
del palazzo del Conte di Quirra. E’ probabile che l’allora
Conte di Quirra, Don Gioacchino Carroz Centelles, che fu il primo Marchese
di Quirra, si fosse trasferito dal Castello di San Michele nella casa
di Castello, che non è detto avesse l’estensione attuale,
per controbilanciare forse, con la sua presenza, l’influenza politica
degli Alagon. Lo stemma che campeggia sul balcone del piano nobile comprende,
inquartate, le armi delle famiglie Carroz e Centelles. |
Da alcuni documenti dell'Archivio di Stato di Cagliari,
relativi al passaggio di questo feudo dalla famiglia Catalan alla famiglia
Osorio, si apprende che nel 1775 Don Gioacchino Grondona Lopez, allora
podatario della Marchesa Gilaberta Carroz Catalan, già Josepha Dominga
Cathalà y Lujan, aveva commissionato alcuni lavori nel palazzo, dove viveva,
al picapedrer Masci Rambau, forse sotto la guida del regio architetto
Giuseppe Viana. Nello stesso periodo, il Rambau, infatti, per alcuni lavori
effettuati nel palazzo dell'Università degli Studi, sotto la direzione
del capitano ingegnere Vassallo Belgrano di Famolasco e dello stesso Viana,
era stato retribuito con la cospicua somma di 100 scudi. La facciata del
palazzo, inoltre, assomiglia molto a quella del palazzo dei marchesi Alfieri,
ad Asti, opera appunto del Viana. Nel 1798, il Supremo Tribunale della
Corona di Madrid attribuì, dopo un lungo iter giudiziario, il feudo di
Quirra a Don Carlo Filippo Osorio de la Cueva y Castelvì, Duca di Albuquerque,
Conte di Cervellon, ed essendo stata la sentenza ratificata anche dal
Consiglio Supremo della Corona di Torino nel 1805, nel 1807 il nuovo podatario
della famiglia Osorio, Don Giuseppe Maria Fancello, sfrattò dal palazzo,
dove risiedeva, il precedente podatario della famiglia Catalan, Don Gioacchino
Grondona. In quell'occasione, nel palazzo, furono realizzati alcuni tramezzi
e sostituiti ben 400 vetri alle finestre. Al Fancello subentrò, come podatario
della famiglia Osorio, l'Avvocato Don Pietro Nieddu, genero del Fancello
che, intorno al 1830, fu creato Conte di Santa Margherita e che, dopo
il riscatto dei feudi, divenne proprietario del palazzo. Probabilmente
per incarico del Nieddu, l'architetto Gaetano Cima diresse alcuni lavori
effettuati nel palazzo, ma una perizia tecnica, effettuata nel 1919, dall'ingegnere
Dino De Gioannis, adombra che l'intervento dell'architetto fosse limitato
alla facciata (con il tamponamento delle finestre adiacenti al balcone
centrale, per mettere questo in maggior evidenza), allo scalone d'onore
(con la realizzazione delle ringhiere in ghisa e dei capitelli che, come
nel giardino della Villa Santa Maria a Pula, costruita su suo progetto,
dovevano sostenere dei vasi ornamentali realizzati in tufo calcareo di
Castello), alla tramezzatura di alcuni locali sotterranei e alla realizzazione
della cisterna nel centro del cortile grande. Questa è stata costruita
partendo dal livello originariamente corrispondente a quello della Via
Stretta dalla quale si accedeva al cortile attraverso un'arcata, colmando
lo spazio circostante fino al piano attuale. Nel 1860 il Conte Don Pietro
Nieddu, a fronte di alcuni obblighi contratti, cedette il palazzo a Donna
Maria del Pilar Loreto Osorio Gutierrez de los Rios y de la Cueva, Duchessa
di Fernan Nuñez e del Arco, Contessa di Cervellon, Marchesa di Quirra,
figlia di Don Carlo Filippo Osorio, ultimo feudatario di Quirra di cui
era stato podatario. Nel 1895 la Marchesa di Quirra rivendette il palazzo
a Don Gavino Nieddu, Conte di Santa Margherita, secondogenito del Conte
Pietro, e a sua moglie Enrichetta Cappai, nipoti ex sorore di Donna Enrichetta,
e l'erede del defunto marito, in quanto nipote ex sorore di questi: l'ammiraglio
Don Umberto Cugia di Sant'Orsola. Alla morte, nel 1930, di Enrico Randaccio
Cappai, la sorella Rita coniugata Cugia divenne proprietaria esclusivo
della metà dello stabile pertinente alla Contessa Nieddu e, alla sua morte
lo divenne la figlia Maria Cugia Randaccio, coniugata Cremese. Maria Cugia
Cremese, alla sua morte, nel 1994, legò a Paolo Amat di San Filippo, anch'egli
bisnipote ex sorore della Contessa Enrichetta Nieddu Cappai, la sua quota
del palazzo, escluso un appartamento al secondo piano precedentemente
venduto. L'ammiraglio Cugia che risiedeva a Genova vendette, dal canto
suo, la propria quota all'Università di Cagliari nel 1979. Al suo interno
il palazzo contiene delle bellissime tappezzerie francesi realizzate nella
seconda metà dell'800 dal Dofour.
Via Lamamora (tratto centrale)
Svoltando a destra e percorrendo il Vico Martini si arriva in Via Lamarmora. Sulla sinistra si trovano il Palazzo Sanjust, il Palazzo Amat e la Chiesa della Purissima. Sulla destra si trovano:
Palazzo Ruda Sanjust |
Palazzo
Ruda Sanjust (V. Lamarmora 135-133):
Il palazzo, nel 1772, risultava di proprietà di Don Giovanni
Antonio Borro, Vescovo di Bosa; nel 1797 il proprietario era Don
Domenico Pitzolo. Nel XIX secolo passò di proprietà
a Don Giovanni Amat Amat e successivamente ai Ruda Sanjust di San
Lorenzo. |
Palazzo
Roberti Nin di San Tommaso (V. Lamarmora 122): Il palazzo,
architettonicamente semplice, presenta un portale d’ingresso
in blocchi di calcare. Appartenne originariamente ai Nin (e probabilmente
ancor prima ai Carcassona), un’importante famiglia cagliaritana
di origine ebraica convertita al cristianesimo nel 1485. I Nin ebbero
diversi titoli sia nel ramo principale (Baroni di Senis, di Posada,
Conti del Castillo, Duchi di Sotomayor) sia nel ramo cadetto (Marchesi
di San Tommaso e San Saverio). Col matrimonio tra il Conte Edmondo Roberti di Castelvero e Maria Luigia Nin di San Tommaso, il palazzo passò ai Roberti. |
Palazzo
De Magistris (V. Lamarmora 120): Anche questo palazzo risultava
essere di proprietà Carcassona, poi Nin e poi ancora Roberti.
I Roberti sono una famiglia nobile piemontese, un cui esponente,
Giuseppe (1775 – 1844), fu Viceré di Sardegna nel 1831.
Il figlio Edmondo, più volte sindaco di Cagliari tra il 1846
ed il 1875, sposò nel 1829 Maria Luigia Nin di San Tommaso.
Da questo matrimonio nacquero un figlio maschio e sette femmine
che si sposarono con esponenti di illustri famiglie: Necco, Incisa,
Pilò Boyl, Sanjust, Quesada e De Magistris. In virtù
del matrimonio tra Orazia Roberti Nin ed il Conte Casimiro De Magistris
di Castella, il palazzo divenne la residenza dei De Magistris fino
ai nostri giorni. Anche i De Magistris sono una famiglia piemontese,
nobilitata nel XVI secolo, che giunse a Cagliari nel XIX secolo
inserendosi subito nel novero delle famiglie più importanti.
Tra i suoi personaggi più rappresentativi ricordiamo i fratelli
Casimiro (Prefetto), Paolo (Sindaco di Cagliari) e Luigi (Arcivescovo)
De Magistris Ballero e Carlo De Magistris Cannas, penultimo Conte,
persona di grande cultura e signorilità. |
Palazzo
Manca di Villahermosa (V. Lamarmora 131-127):
Il palazzo, erroneamente definito in alcuni testi “Manca di
Villarios” era di proprietà dei Manca di Villahermosa
e Nissa. Dalle carte catastali del XIX secolo risulta infatti di
proprietà di Don Giovanni Manca di Nissa. L’edificio
si sviluppa su tre piani con un interessante ingresso caratterizzato
da due archi. |
Palazzo
Carboni (V. Lamarmora 125): Il palazzo
è noto perchè in queste mura nacque il grande cantante
Mario De Candia. Il palazzo apparteneva nel XVIII secolo alla famiglia
Piras, poi divenne di proprietà di Don Giovanni Puggioni
ed infine passò ai Carboni Boy. Sullo stesso lato di Via
Lamarmora, subito dopo il palazzo Carboni troviamo un palazzo appartenuto
a Don Francesco Gessa e subito dopo un altro intestato nel XIX secolo
all'abate Don Francesco Flores d'Arcais. |
Palazzo
Sanjust (V. Lamarmora 118): Il palazzo, adiacente al Palazzo
De Magistris, presenta due facciate: una verso via Lamarmora e l’altra
verso Via Genovesi. La parte rivolta verso la Via Lamarmora presenta
due piani alti con balconi in ferro battuto. I balconi del primo
piano sono sormontati da archi a tutto sesto contenenti dei festoni
di stile neclassico. Appartenuto nel ‘700 ai Cadello, Marchesi
di San Sperate, il palazzo fu probabilmente ereditato nel XIX secolo
dai Sanjust. |
Palazzo
Zanda (già di proprietà del Capitolo di Cagliari)
(V. Lamarmora 114-110): Scheda in corso di preparazione |
Palazzo già di proprietà del
Capitolo di Cagliari (V. Lamarmora 108-106): |
Palazzo
Gessa (V. Lamarmora 121-115): Il palazzo
risultava, nel XIX secolo, di proprietà dell'Avv. Don Francesco
Gessa, che ottenne la nobilitazione nel 1846. |
Palazzo
Flores d'Arcais (V. Lamarmora 113-111):
Scheda in corso di preparazione |
Ruderi
del Palazzo del Duca di Mandas (Via Lamarmora) |
Palazzo
Salazar Grondona (Via Lamarmora 104) |
Palazzo
Amat (Flores d'Arcais) (V. Lamarmora 93 - V. Canelles 60):
Appartenuto originariamente ai Flores d’Arcais (e
non ai De Candia come indicato in alcuni testi), il palazzo presenta
una facciata, opera del Cima, verso via Lamarmora; ed un’altra,
decisamente più semplice e priva di decorazioni verso la
Via Canelles. Il palazzo, intorno al 1900, venne venduto a Carlo
Amat Quesada, fratello minore del Marchese Amat di San Filippo. |
Palazzo
Lepori (V. Lamamora 98 - V. Genovesi 85/89): Un alto portale
bugnato, privo di portone, si apre verso un lungo atrio buio: il
palazzo appartenuto a Don Raimondo Lepori. Non sappiamo con precisione
l'epoca della sua costruzione, ma da alcune similitudini della facciata
e del portale presenti anche nei palazzi Barca Pirisi (Borro) e
Villamarina, già dei marchesi d Albis ai numeri 18 e 75 della
stessa strada, si può far risalire alla seconda metà
del 700: la facciata del secondo di questi venne realizzata tra
il 1775 e il 1791. La prima notizia certa sull'edificio è una denuncia di beni del 1807, dove viene localizzato nella strada Dritta, a tramontana del palazzo del marchese di Samassi; nello stesso anno il Consiglio degli Edili concesse di porre una fila di balconi al piano superiore della casa nella via Dritta. Nel 1837 venne restaurata la facciata della via dei Genovesi, che da tempo era in rovina. Dall'elenco dei nobili abitanti nel quartiere di Castello compilato per Carlo Felice nel 1825, fra le famiglie residenti nella strada della Purissima, troviamo inoltre quella del cav. Don Raimondo Lepori, che abitava col fratello Don Giuseppe, sacerdote. Figura assai nota e importante ai suoi tempi, l'avvocato Lepori ebbe una lunga e proficua carriera: fu archivista dell azienda ex-gesuitica, segretario privato del vicerè Carlo Felice, primo prefetto della provincia di Cagliari nel 1807 e per più di trent anni, ebbe il grado di giudice della Reale Udienza e fu decorato della croce mauriziana. Durante la cosiddetta rivoluzione sarda di fine '700 fu uno dei più attivi deputati dello Stamento Militare; nel 1793, quando le armate repubblicane francesi tentarono invadere l'isola, ebbe il comando di un corpo di 2400 miliziani a cavallo. Morì, quasi centenario, nel 1852: aveva due fratelli sacerdoti e due sorelle suore e non essendosi sposato la famiglia si estinse con lui. Ci piace ricordarlo citando le parole di Efisio Baccaredda in "Cagliari ai miei tempi" in questo grazioso ritratto: Ancor mi rammento delle solennità civili e religiose, nelle quali la nobiltà cagliaritana faceva bella mostra di sé, rifulgendo del suo maggior splendore. Mi par proprio di trovarmi a quei tempi e di vedere ancora Don Raimondo Lepori, Don Antioco Pullo e Don Giovanni Puggioni, vestiti in giubbe di raso o di velluto ricamate in oro, così che mi sembravano tre torroni di Cremona, assistere ginocchione nella scalinata che sovrasta alla cripta del duomo di Cagliari, attendere gongolanti il momento critico del lavabo, per adempiere all'onorifico ufficio, chi di sorreggere il bacile, chi di adoperare il mesciacqua, chi di porgere l'asciugamani all arcivescovo celebrante. Era uno spettacolo che inteneriva lo scorgere quei tre cavalieri boriosi e aggrondati, umiliarsi dinanzi a un uomo, fatto di carne e d'ossa come loro, puntuali e imprescindibili ogni giovedì santo presso l'altare maggiore de sa seu . Successivamente non si hanno molte notizie sulla storia del palazzo: nella matricola possessori del vecchio catasto di metà '800 risulta intestato a tale Maddalena Saba vedova Agnese. Sebbene versi in condizioni di forte degrado, l'edificio non è privo di particolari architettonici di qualche rilievo: su via Lamarmora presenta un ampia facciata di due piani con un mezzanello, caratterizzata da un portale bugnato alla romana di ispirazione cinquecentesca in posizione asimmetrica. Accanto al portale si aprono le finestre del mezzanello e dei sotterranei, cui si accede dalla retrostante strada. Presenta ancora quattro finestre in ogni piano, riquadrate da cornici semplici, con balconi aggettanti in ferro battuto liscio, poggiati su mensole metalliche. L'ampio androne conserva ancora l'originale pavimentazione in pietra. Sulla via Genovesi, dove si aprono tre ingressi ad altrettanti
locali, un tempo magazzini, la facciata è più semplice,
presenta un altro mezzanello e tre piani alti con finestre prive
di cornice ma con eleganti balconi in ferro lavorato poggianti
su mensole dello stesso metallo aggettanti. |
Palazzo Floris Thorel (già palazzo del Marchese
di Samassi) (V. Lamamora 96-88 - V. Genovesi 75-79):
Del palazzo oggi noto come Floris-Thorel si hanno le prime notizie
storicamente certe dalla prima metà del XVIII sec., quando
apparteneva a Don Antonio Simon y Squinto, primo acquisitore del
marchesato di Samassi e Serrenti nel 1736. Col suo testamento
del 23 marzo 1743 il marchese - deceduto il giorno successivo
- vincolava il suo palazzo in primogenitura istituendo un fidecommesso
a favore del suo erede Don Giambattista. Nello stesso anno il
marchese Giambattista acquistò la casa attigua dagli eredi
di Donna Maria Anna Moy e la unì alla casa paterna: l'edificio
presenta infatti due ingressi distinti. Nel 1753 apportò
notevoli miglioramenti facendovi costruire lo scalone d'onore
ancora esistente e rifare la facciata. Dopo la morte del marchese
Giambattista Simon, nel 1789, altri miglioramenti vennero eseguiti
dal figlio Don Giuseppe, Capitano Generale della Fanteria Miliziana
e Primo Scudiere e Gentiluomo di Camera di Carlo Felice: in tale
veste nel 1807 lo accompagnò a Palermo per il matrimonio
con Maria Cristina di Borbone.
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Palazzo
Asquer Bonfant (Nin del Castillo) (V. Lamamora 86-78):
Il palazzo, tra i più interessanti del quartiere, rappresenta
un esempio di architettura piemontese. Costruito intorno alla metà
del XVIII secolo, l’edificio si sviluppa su un piano terreno,
uno ammezzato e due piani alti. Il bel portale presenta un timpano
triangolare che poggia su un architrave retto da due paraste doriche.
Al centro del timpano si trova lo stemma della famiglia Nin. Il
palazzo sulla sinistra era collegato con l’ormai distrutto
palazzo Falqui Pes, sovrastando il portico Vivaldi Pasqua. |
Palazzo
Prunas (Barrago) (Piazza Carlo Alberto 3):
Il palazzo è costituito da tre piani ed uno ammezzato con
una facciata di stile neoclassico. Originariamente di proprietà
del Capitolo di Cagliari, passò ai Barrago, ed alla fine
del XIX secolo alla famiglia Prunas. In seguito fu abitato dalle
famiglie Serra e Ruda. |
Palazzo
Mameli (Piazza Carlo Alberto) |
Con l'arrivo nella Piazza Carlo Alberto termina il nostro itinerario.