Visita guidata nel centro storico di Oristano

di Luigi Orrù di San Raimondo ed Enrico Sanjust di Teulada

Piazza Duomo

Il nostro itinerario si propone di visitare i luoghi di Oristano maggiormente legati alla storia ed ai personaggi appartenenti alle famiglie nobili sarde. Punto di partenza del nostro percorso è la Piazza Duomo dove è possibile ammirare il Seminario e la Cattedrale.

 
Seminario: Il Seminario Tridentino venne fondato nel 1712 dall'Arcivescovo Francesco Masones. Don Francesco Masones nacque a Cagliari nel 1647 da Don Antonio e Donna Anna Maria Nin. Dopo alcuni anni trascorsi a Siniscola in qualità di Rettore, il Masones venne nominato nel 1674 Canonico della Diocesi di Ales. Le sue qualità umane e le profonde conoscenze teologiche ben presto gli permisero di ricevere incarichi sempre più importanti, fino a ricoprire la carica di Vicario generale. Nel 1693 venne nominato Vescovo e in tale veste si adoperò con grande zelo per realizzare la nascita del Seminario che vide finalmente la luce il 14 maggio 1703.
Nominato l'anno successivo Arcivescovo di Oristano, continuò la sua opera di apostolato nella nuova sede promuovendo anche qui la fondazione del Seminario. A questo proposito acquistò dal rettore di Isili per 600 ducati d’argento alcune casupole attigue al palazzo vescovile e, una volta inaugurato l'edificio il 1° maggio 1712, ne finanziò l’attività con l’1% delle rendite ecclesiastiche.
L’edificio che il Masones fece costruire era di dimensioni estremamente modeste, costituito da una sala per le lezioni e da quattro camere destinate agli insegnanti e ai loro sei allievi. Ben presto si rese necessario ampliare l'edificio per ospitare un numero maggiore di alunni. Nel periodo 1744 - 1746 vi fu un primo ampliamento da parte dell'Arcivescovo Fontana e successivamente un nuovo e consistente intervento venne promosso dall'arcivescovo Del Carretto.
Ulteriori interventi vennero realizzati, sotto la direzione del Cominotti, dal 1829 al 1834 e successivamente negli anni '70 del XIX secolo. Nel 1910 venne costruito un nuovo piano sopra la biblioteca e venne eretta la maestosa scala di ingresso a doppia rampa, su progetto dello scultore Giuseppe Sartorio.

Cattedrale: La cattedrale di Oristano è frutto di un complesso di architetture costruite in tempi diversi: l’aspetto attuale si deve al XVIII secolo, quando gli interventi di rifacimento cancellarono quasi completamente le precedenti strutture romaniche e gotiche. Di una presunta cattedrale risalente al XII secolo con materiali di spoglio provenienti da Tharros e Othoca non rimane alcuna testimonianza. Al 1228 risale invece l’edificazione voluta dal giudice Mariano II e dall’arcivesovo Torchitorio ad opera di maestranze lombarde. All’arcivescovo Antonio Nin si deve il rifacimento totale a partire dal 1721 ad opera di G.B. Arieti di Alghero. La facciata, mai terminata, presenta un portale con timpano spezzato e una finestra tra due nicchie; isolato appare invece il campanile ottagonale, che fino al secondo ordine, con le sue monofore, è contemporaneo alla costruzione duecentesca del duomo, mentre la parte terminale, con la cella campanaria, i mascheroni e la cupola a cipolla rivestita di maiolica policroma, è invece settecentesca.
L’interno è a navata unica con volta a botte, tre cappelle per lato comunicanti tramite arcate e cupola all’incrocio dei bracci del transetto. Questi, di gusto neoclassico, sono opera di G. Cominotti (1830), e si incrociano con la navata. L’abside quadrangolare è affiancata da due cappelle. La decorazione pittorica dell’edificio risale invece al 1912.
Tra le cappelle, la terza cappella sulla destra, dedicata a S.Archelao, contiente un altare in marmi policromi del genovese P.Pozzo (1739), autore della decorazione marmorea di buona parte della chiesa. La seconda cappella a sinistra, dedicata a S.Giuseppe, conserva un retablo in legno policromo dorato, del 1760.
Le testate dei transetti vedono gli altari neoclassici di S.Luigi Gonzaga e di S. Giovanni Nepomuceno con le decorazioni scultoree di A.Galassi (1830-33).
Nel transetto destro si apre la gotica cappella del Rimedio, unico ambiente superstite della cattedrale duecentesca, con volta a crociera e grande bifora, che conserva due frammenti in marmo di ambone romanico recanti, nella parte interna, rilievi con Daniele nella fossa dei leoni e Due leoni, ascrivibili all’XI-XII secolo, mentre la parte esterna fu scolpita alla fine del ‘300 da artista barcellonese e riutilizzata forse come predella di retablo marmoreo con Storie della Vergine, Cristo giudice e Santi. Sull’altare si conserva la statua marmorea della Madonna del Rimedio (XIV sec.), e a destra la lapide sepolcrale del canonico giurista Filippo Mameli, recante la data 1359.
Dietro il marmoreo altare maggiore si conserva la grande tela ovale dell’Assunta con S.Archelao attribuita al torinese V.A. Rapous (seconda metà del XVIII secolo), e ai lati l’Adorazione dei Magi e l’Ultima Cena di G. Marghinotti (1847).
Attraverso la sagrestia dei Beneficiati si accede al cosiddetto “archivietto” (1627), ambiente ecclettico a pianta quadrata con cupola emisferica su scuffie ancora di gusto gotico, mentre l’aula Capitolare conserva, oltre a codici miniati (XIII-XV secolo), paramenti sacri, arredi sacri e tele del Settecento, due picchiotti con protomi leonine in bronzo datati 1228 e firmati da Piacentino, scultore di ambito pisano, appartenenti alle porte dell’antica cattedrale romanica.

Di fronte al seminario è situata la Chiesa della Santissima Trinità, risalente al XVII secolo, mentre sulla sinistra troviamo la Chiesa di San Francesco.

Chiesa della Santissima Trinità:

Chiesa di San Francesco: La chiesa di S.Francesco, edificio in stile gotico risalente al XIII sec. di cui rimangono alcuni resti in facciata, venne abbattuta e ricostruita in forme neoclassiche da G. Cima (1841-42). Ha una facciata con ampia scalinata e pronao tetrastilo con timpano.
L’interno, a pianta centrale, ha due cappelle laterali, abside semicircolare e cupola emisferica con lanterna e decorazione a cassettoni sostenuta da semicolonne ioniche, pilastri e archi a tutto sesto.
L’altare sinistro conserva il famoso Crocifisso detto “di Nicodemo”, capolavoro di scultura lignea spagnola ascrivibile al XIV-XV secolo.
La sagrestia conserva pregevoli opere: la tavola centrale raffigurante “San Francesco che riceve la stimmate”, di P. Cavaro (1533), facente parte di un retablo già conservato in questa chiesa e smembrato, i cui i pannelli superstiti sono custoditi nell’Antiquarium Arborense; una statua marmorea di S. Basilio firmata da Nino Pisano (1360-68); due tavole facenti parte di un’ancona di B. Castagnola (1602), oltre che preziosi arredi sacri.


 

Piazza Eleonora

Nella Piazza si trovano numerosi edifici di grande interesse.

Palazzo Campus Colonna: Il bel palazzo ottocentesco, attualmente di proprietà dell'amministrazione comunale, appartenne alla famiglia Campus. Tramite il matrimonio tra Giuseppina Campus e Giosuè Colonna, l'edificio venne ereditato da quest'ultima famiglia. I Colonna erano una famiglia proveniente da Ponza che si trasferirì nella seconda metà dell'800 in Sardegna. Divennero ricchi industriali e costruirono un altro edificio lungo Corso Umberto.


Palazzo Civico

Palazzo Civico (ex convento degli Scolopi): L'edificio, attualmente sede del Palazzo Civico, appartenne fino al 1866 agli Scolopi. Col passaggio del complesso allo Stato i locali del convento vennero adibiti a regio ginnasio e successivamente a sede del tribunale.


Monumento ad Eleonora

Monumento ad Eleonora d'Arborea: Il monumento, posto al centro della piazza, venne realizzato nel 1881 dai fiorentini Ulisse Cambi e Mariano Falcini.

Palazzo Corrias Carta : Alla confluenza tra il corso Umberto e la piazza Eleonora sorge il palazzo appartenuto al Nobile Don Giuseppe Corrias, edificato tra il 1860 e il 1874 su progetto attribuito al Cima. Al suo interno conserva affreschi e decorazioni eseguite nel 1870 da Giovanni Dancardi e Davide Dechiffer. È composto da due corpi asimmetrici, raccordati all’angolo della piazza da una soluzione cilindrica, che offre una piacevole visione prospettica. Le finestre di questo elemento, sono al piano nobile evidenziate da paraste e, come al piano superiore, accompagnate da balconi. Sopra la finestra in corrispondenza al portone principale spicca lo stemma di famiglia, che rappresenta uno scudo troncato, con nella parte superiore un cervo tra due cipressi, passante sulla pianura erbosa, sormontato da tre stelle, il tutto sormontato da una corona marchionale. Nella parte inferiore, un cuore accostato da quattro api. Il suddetto Giuseppe Corrias (1811 – 1890) aveva ottenuto la Nobiltà nel 1834 su richiesta del padre Giovanni Battista, avvocato. Fu uno degli oristanesi più in vista dei suoi tempi: avvocato, fu sindaco della sua città, e in questa veste fu uno dei promotori per la realizzazione del monumento a Eleonora d’Arborea; dal 1849 al 1860 fu ripetutamente eletto alla Camera subalpina e nel 1861 alla prima legislatura del Regno d’Italia. Uno dei suoi figli, un altro Giuseppe, percorse una brillante carriera nella magistratura, divenendo Presidente di sezione della Corte di Cassazione di Palermo. Successivamente il palazzo passò per parentela alla famiglia Carta, che aveva ottenuto la nobiltà nel 1833 con i fratelli Francesco e Salvatore, entrambi notai, capitano dei Miliziani il primo e censore diocesano il secondo. Don Salvatore Carta nel 1853 acquistò dai Vivaldi-Pasqua per 1.025.000 lire lo stagno e le peschiere di di Mar’e Pontis, presso Cabras. L’avvocato Efisio Luigi Carta, figlio di Salvatore, fu direttore e poi liquidatore della Banca Agricola Sarda. Uno dei suoi nipoti, Don Efisio, scomparve tragicamente in seguito a sequestro nel 1978. Le vicende delle peschiere di Cabras sono state raccontate da Giuseppe Fiori in “Baroni in laguna”.
Altri palazzi nella Piazza Eleonora: Sempre nella Piazza Eleonora si trovano diversi altri palazzi interessanti tra cui il palazzo Mameli e l'ex Palazzo di Città.

Dalla Piazza Eleonora si può percorrere il Corso Umberto (Via Dritta), dove tra i vari palazzi architettonicamente interessanti troviamo in particolare il Palazzo d'Arcais ed il Palazzo Colonna, con la sua caratteristica torretta.

Corso Umberto (Via Dritta)


Palazzi di Corso Umberto

Palazzi di Corso Umberto:

Palazzo d'Arcais: Il palazzo fu costruito da Don Damiano Nurra, Marchese d'Arcais. Progettato probabilmente anch'esso dall'architetto Viana, che già curò la costruzione della chiesa e del convento del Carmine, presenta una facciata piuttosto austera, con quattro balconcini in ferrobattuto semi circolari nel piano nobile. Il palazzo venne ereditato dal nipote del Nurra, Don Francesco Flores, e successivamente fu ceduto al generale Poddighe e, successivamente, alla famiglia Siviero. Dal 1983 è di proprietà dell'amministrazione provinciale.
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Palazzo d'Arcais

Palazzo Colonna

Palazzo Colonna:

Attraversato Corso Umberto si arriva nella Piazza Roma, dove troviamo la Torre di Mariano. A pochi metri sulla destra è situata anche la Chiesa di San Sebastiano. Sulla sinistra della Torre abbiamo la Via De Castro dove troviamo il Palazzo De Castro. Dalla Piazza Roma si può percorrere Via Parpaglia, dove troviamo il Palazzo Pira - Sanna e, più avanti, il Palazzo Parpaglia.

Piazza Roma


Torre di Mariano

Torre di Mariano : Situata nell'attuale piazza Roma, la Torre di San Cristoforo o di Mariano II, era una delle porte di ingresso alla città, chiamata Porta Manna. Superstite delle mura erette per volontà del giudice arborense Mariano II de Bas Serra, la torre ha un impianto architettonico che si compone di due volumi sovrapposti, entrambi a base quadrata.
Il corpo principale si eleva per un’altezza di circa 19 metri e si sviluppa ad “U”, con il lato aperto rivolto verso l’interno della città. La costruzione è tozza e massiccia, formata da tre piani sovrapposti, sull'ultimo è situata una torretta merlata più piccola, dove ha sede una campana del 1430; la parte rivolta verso la città è aperta, mentre gli altri tre lati rivolti verso l'esterno, sono chiusi.
La porta è inquadrata in un fornice a tutto sesto in cui si apre un arco ogivale di dimensioni minori che contiene l'iscrizione recante la data del 1290, anno di edificazione della torre.


Chiesa di San Sebastiano:
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Chiesa di San Sebastiano

Via De Castro

Palazzo De Castro: Il palazzo fu di proprietà di Salvator Angelo De Castro. Della costruzione originaria rimangono solamente le cornici cinquecentesche delle finestre.
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Palazzo De Castro

Via Parpaglia

Palazzo Pira Sanna: Il palazzo, probabilmente costituito da due diversi edifici accorpati, appartenne a Gaspare Pira Sanna, figlio del Cavaliere Cosimo Pira e di Giovanna Sanna. Gaspare, per i suoi meriti in campo militare, ottenne la nobilitazione nel 1639.
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Palazzo Pira Sanna

Teatro Garau

Teatro Garau: A pochi passi dal Palazzo Pira Sanna troviamo il Teatro dedicato al commediografo oristanese Antonio Garau.



Palazzo Falqui

Palazzo Falqui :


Palazzo Parpaglia: Il palazzo, costruito in stile neoclassico intorno al 1860 dal nobile Salvatore Enna, fu acquistato dall'avvocato Salvatore Parpaglia, esponente di una nobile famiglia piemontese trasferitasi in Sardegna nel XVIII secolo. Salvatore Parpaglia nacque a Bosa nel 1831, fu più volte sindaco di Oristano, consigliere provinciale della circoscrizione, deputato dal 1870 al 1897 e senatore nel 1898. Morì a Bosa il 30 aprile 1916.
L’edificio divenne successivamente la casa del fascio oristanese, tribunale militare di guerra, uffici comunali ed una scuola media. Dal 1992 è sede del museo Antiquarium Arborense dove sono esposti importanti beni artistici.

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Palazzo Parpaglia

Superato il Palazzo Parpaglia sulla sinistra troviamo, nella Via Santa Chiara, l'omonima chiesa.
Chiesa di Santa Chiara (Via Santa Chiara): Antica chiesa tardomedioevale, contigua all'omonimo convento. La costruzione dovette iniziare nel 1343 (Bolla di Clemente VI a favore del Giudice d'Arborea, Pietro III de Bas Serra) ma la chiesa doveva essere già consacrata nel 1348, perché una lapide ricorda la sepoltura della Giudicessa Costanza di Saluzzo. Risulta che in seguito dovette essere molto importante (qualcuno l'ha definita come "cappella palatina" dei Giudici d'Arborea) perché un documento riguarda l'autorizzazione papale a Timbora de Rocabertí Giudicessa d'Arborea a visitare in compagnia delle figlie il convento attiguo, in alcuni giorni dell'anno.La chiesa fu iniziata con un impianto architettonico francamente romanico, e terminata in stile gotico; un disastroso "restauro" verso gli anni '20 del secolo scorso la rese artificiosamente gotica per quanto riguarda specialmente le volte. Recentissimi restauri eseguiti secondo le attuali vedute hanno consentito di gettare le basi per il recupero di alcuni pregevoli affreschi originali.

Ritornati alla Via Parpaglia troviamo la chiesa di Santa Lucia. Svoltati per Via La Marmora arriviamo nella Piazzetta Martini (Tre Palme) dove troviamo la Chiesa di San Domenico, il palazzo Tola ed il palazzo Passino.
Chiesa di Santa Lucia:

Chiesa di San Domenico : La chiesa ed il convento di San Domenico furono edificati nel XVII secolo. La chiesa presenta due cappelle: una dedicata a San Vincenzo e l'altra al Santissimo nome di Gesù. Nella chiesa campeggiano gli stemmi Serra e Sanna Bruno.

Palazzo Passino:

Palazzo Tola : Il palazzo, anch'esso di stile neoclassico, fu nel XIX secolo di proprietà del sacerdote Don Luigi Tola; nato a Solarussa nel 1744, fu vicario parrocchiale del suo paese e poi canonico arborense con la prebenda di Nuraxinieddu. Nobilitato, in forma personale, nel 1801 dal re Carlo Emanuele IV, che si trovava a Napoli, ottenne conferma dei privilegi mediante solenni diplomi in pergamena dal re Vittorio Emanuele I il 5 luglio 1810. In tale occasione, oltre ai privilegi di Cavalierato e Nobiltà, ottenne anche la concessione di un pittoresco stemma, che è così descritto: “Uno scudo con fondo di campagna, il cui orizzonte è coperto da un monte, dalla cima del quale spunta un sole d’oro alla sinistra dello scudo. Vedesi a piè del monte un vaso coperto di fiori con tre spiche pendenti dal lato destro, e vari grappoli d’uva rovesciati dal lato sinistro il tutto sormontato da una ghirlanda di rose gialle e rosse intrecciate di verde e nel centro di essa un T d’oro poggiante sui fiori del vaso. È il T coperto per metà da un velo bianco trasparente, con dietro una fiaccola accesa, in linea obliqua e fiancheggiato dai due lati da una spada e una penna, quella dalla sinistra colla punta all’insù e questa dalla destra colla punta all’ingiù. Sostiene poi il T un’aquila con le ali spiegate sedente sulla linea trasversale di esso col capo rivolto dalla parte del sole nascente all’angolo sinistro dello scudo”. Lo scudo è sormontato da un elmo d’argento posto in profilo bordato, e graticolato con cinque affibbiature d’oro, ornato del burletto e dei lambrecchini.
Morì a Oristano il 18 novembre del 1829, disponendo un lascito di seimila scudi al Capitolo della Cattedrale per la costruzione all’interno del duomo di una cappella con altare e statua marmorea, da dedicare a San Luigi Gonzaga. Il progetto venne affidato dall’arcivescovo Bua nel 1830 al celebre architetto piemontese Giuseppe Cominotti. La nuova cappella venne consacrata nel 1837. In stile Impero, le pareti sono decorate a finti damaschi rossi alternati da lesene in marmo grigio, il tutto accompagnato da sfarzose decorazioni in stucco e oro. Le statue e i fregi marmorei delle decorazioni vennero eseguite dallo scultore sassarese Andrea Galassi, allievo del Canova, che eseguì anche il monumento funebre allo stesso canonico Tola, che è raffigurato in un medaglione in alto, circondato da due cornucopie, simbolo di opulenza. Nella parte inferiore del monumento è scolpito invece lo stemma descritto sopra.


Dalla piazzetta Tre Palme, proseguendo dritti, si può notare il palazzo Paderi (che fa angolo tra Piazza Eleonora e Via Carmine) e, proprio nella Via Carmine, a pochi metri dal Palazzo Paderi, si trova la Chiesa del Carmine.

Palazzo Paderi: Di aspetto severo, caratterizzato da una lunga facciata in blocchi di arenaria sulla via Carmine e una più breve in piazza Eleonora, ha le finestre incorniciate in trachite rossa, accompagnate da tre balconi al piano nobile sul lato della piazza; lungo il vico Arcais, prima del giardino, sopra un ingresso secondario presenta uno stemma con una iscrizione intorno che ci ricorda come nel 1548 la casa appartenesse ad Andrea Dessì Paderi, ragione per cui l’edificio è anche impropriamente noto come Palazzo Dessì Paderi. Attualmente di proprietà della ASL e in stato di abbandono il palazzo appartenne fino all’Ottocento alla nobile famiglia Paderi, nota fin dal secolo XV. Secondo gli storici era considerata pubblicamente nobile ed impegnata negli uffici dell’amministrazione del Marchesato di Oristano. Nel 1481 un Sebastiano era ufficiale del Campidano Maggiore di Oristano. Nel 1608 Domenico fece edificare il convento dei Cappuccini di Oristano, ampliato in seguito da un suo omonimo nipote.
Nel 1630 i Paderi ebbero la nobiltà con Baldassarre, ufficiale del Campidano di Simaxis, che fu armato cavaliere il 23 maggio secondo le commissioni spedite il 10 febbraio 1630 e confermate col diploma di cavalierato del 18 dicembre 1631. Lo stesso Baldassarre donò un suo palazzo per la fondazione dell’attiguo convento e chiesa di San Domenico. L’edificio, trasformato da successivi interventi, sorge lungo la via Lamarmora ed ospitò i frati Domenicani fino al 1832. In seguito divenne sede dell’amministrazione delle gabelle; durante la prima guerra mondiale fu destinato ad usi militari e nel 1924 divenne sede della Caserma Nioi della Guardia di Finanza. Recentemente restaurato, attualmente è sede dell’Agenzia del Demanio.
Don Sisinnio Paderi, figlio di Baldassarre, prese parte al Parlamento del duca di Avellano nel 1642 e i suoi discendenti saranno presenti a tutti i parlamenti successivi. Ricoprirono più volte la carica di Veguer Real della città fino all’800. Espressero diversi canonici del duomo e fondarono un canonicato ereditario. Si imparentarono sempre con le principali famiglie nobili della città raggiungendo una posizione di primo piano. Domenico fu nominato amministratore della Real Tanca di Paulilatino nel 1778 e nel 1777 istituì il fidecommesso familiare, surrogando uno precedente del 1766. Per tutto il XVIII sec. e fino agli albori del successivo portarono unito per eredità il cognome della nobile famiglia oristanese degli Areso o Aresu.
Figlio di Domenico fu Don Sisinnio che nel 1799 chiese il titolo di marchese di Sant'Anna coll’erezione in feudo dell’omonimo oliveto che possedeva nei territori di Donigala Fenughedu, in considerazione dei meriti paterni e con l’offerta di costruirvi e dotare una cappella per la comodità dei contadini, ma la sua richiesta non ebbe corso: è il momento del maggior splendore della famiglia, che ha esteso i suoi interessi a Cagliari, dove Don Sisinnio si era sposato con una delle ultime discendenti dei Ventimiglia, famiglia decorata di titolo comitale. Il titolo marchionale l’avrebbe senz’altro posto ai vertici delle famiglie oristanesi, la cui aristocrazia all’epoca contava solo un altro marchese, quello d’Arcais e un solo conte, Valentino di S. Martino (i Malliano, marchesi di S. Maria per eredità dalla famiglia Deroma si erano ormai già allontanati da Oristano); le altre antiche famiglie, come i Trogo e gli Aresu, di cui i Paderi aggiunsero il cognome, erano ormai estinte. Considerando che le altre famiglie nobili che popolarono la città nell’Ottocento erano quasi tutte di recente nobiltà o forestiere, i Paderi erano forse la più antica rimasta.
Don Sisinnio nel luglio del 1800, venne decorato della Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro e del titolo di Conte di S. Anna.
Figlio di Don Sisinnio fu Don Raimondo che nonostante gli incarichi militari partecipò alla vita pubblica della sua città dapprima come Vicario Regio poi come sindaco. Morì nel 1842. Nel suo testamento e successivo inventario si denuncia il palazzo di Oristano, situato nella strada di Città, composto di un piano terreno e tre piani alti, sette botteghe terrene verso il Convento di San Domenico, un magazzino con cortile con pozzo, e un giardino di agrumi ed altri fruttati.
Dei suoi beni fu erede universale il figlio Maurizio che si dedicò anch'egli alla carriera militare.
È da ritenere che morto il conte Maurizio senza figli, il titolo sia passato allo zio che viveva ormai a Nizza.
Lo stemma gentilizio dei conti Paderi rappresenta in campo d’oro un castello o fortezza, talvolta una torre, fondata sovra un monte di verde, sormontata da tre pani, che alludono al cognome. Lo stemma di Andrea Dessì Paderi, di cui si è già parlato in apertura presenta invece uno scudo troncato, con due uccelli acquatici galleggianti fra le onde posti l’uno di fronte all’altro, forse due cigni, alludenti al cognome Dessi(n)i, nella parte superiore; nella parte inferiore un pavone rivolto verso un albero. Lo scudo, di forma ovale, è circondato dalla scritta + POSSEOR HVIVS DOMVS EST ANDREAS DESSI ET PADERI ORISTANIEN A. 1548.
Altra famiglia Paderi, originaria di Mogoro, nobilitata nel 1749, possedette un altro palazzo presso la cattedrale, dirimpetto all’episcopio. Era la casa di Don Antioco Paderi comandante della piazza e città di Oristano fin dal 1815, morto nel 1831. Fu venduta nel 1844 dalla cognata Donna Maria Grazia Diana, vedova di Don Salvatore Paderi, al notaio Giuseppe Tolu. Il comandante Paderi nel gennaio del 1830 si rese protagonista di un curioso episodio: in occasione del passaggio a Oristano di Don Raimondo Orrù di Sardara, conte di San Raimondo con la nuova sposa Donna Maria Solinas, rese loro gli onori militari facendo schierare tutta la truppa di guarnigione in città nella Porta grande, e facendo battere i tamburi a passo di marcia scortò il Conte Orrù fino alla sua casa nella strada di S. Francesco o della pescheria, dove la truppa si dispose su due file intorno alla casa stessa. Per aver permesso lo schieramento della truppa, togliendo anche i soldati di guardia alle carceri, lasciandovene soltanto due, con pericolo di evasione dei detenuti, e i militari di scorta ai forzati a Santa Giusta, il comandante Paderi e il tenente Mariotti, comandante il distaccamento cittadino, vennero richiamati addirittura dal viceré, ma dato il nome delle persone coinvolte, se la cavarono con un rimbrotto e l’invito a non praticare più in avvenire certi onori militari, spettanti solo al re o al viceré, mentre il Conte Orrù era solo capitano e comandante dei Miliziani del Monreale. Si ritiene che quest’ultimo palazzo sia l’odierno Palazzo Tolu in via Vittorio Emanuele n. 36.



Chiesa del Carmine

Chiesa del Carmine: La chiesa ed il convento del Carmine furono realizzati da Don Damiano Nurra, Marchese d'Arcais che, tra il 1776 ed il 1785. Don Damiano, accogliendo le richieste dei Padri Carmelitani che lamentavano il cattivo stato del convento ove abitavano e le condizioni disastrose della chiesa, fece riedificare dalle fondamenta la nuova chiesa ed il nuovo convento, affidandone la progettazione all'architetto Viana, ed ottenendo su di essa lo jus patronato. La chiesa avrebbe dovuto ospitare le spoglie dei discendenti del Marchese d'Arcais. Il convento fu soppresso nel 1866 dopo la confisca dei beni ecclesiastici da parte del regno sabaudo.


Ritornando indietro e proseguendo la passeggiata per via Ciutadella de Menorca, notiamo il Teatro San Martino. Al termine della via si arriva al palazzo dell'Episocopio. Sulla sinistra, nella Via Vittorio Emanuele II, il palazzo Tolu Mundula. Con quest'ultimo palazzo termina la nostra visita ad Oristano.
Teatro San Martino:
Episcopio:
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Episcopio

Palazzo Tolu :